Sull’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. alla ricettazione di particolare tenuità
1. L’ordinanza di rimessione
Con ordinanza del 12 luglio 2019, il Tribunale ordinario di Taranto ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 131 bis c.p., nella parte in cui non consentiva l’applicazione della norma in esame al reato di ricettazione attenuata, ex art. 648, comma secondo, c.p.
Il casus decisis originante l’ordinanza predetta appariva alquanto singolare: l’imputato si era reso responsabile dell’acquisto di confezioni di rasoi e lamette da barba di provenienza furtiva.
Risultava chiara, dunque, l’assoluta tenuità del fatto tipico, come tale suscettibile di essere sussunto, almeno in astratto, nel paradigma dell’art. 131 bis c.p.
Tuttavia tale soluzione era preclusa dai limiti edittali di pena previsti tanto dalla causa di non punibilità in discorso, quanto dalla ricettazione attenuata: l’art. 131 bis c.p., infatti, prevedeva (e prevede tuttora), ai fini della sua applicabilità, il limite massimo di 5 anni di reclusione per il reato oggetto di imputazione; viceversa, il delitto di cui all’art. 648, comma secondo, c.p., è punito fino a 6 anni di reclusione.
Di talchè, ad un primo sommario esame, sembrerebbe precludersi la possibilità di rendere non punibile la ricettazione attenuata.
Sennonchè il giudice a quo, attraverso il giudizio incidentale di costituzionalità, riteneva che l’art. 131 bis c.p., in tale accezione, violasse gli art. 3 e 27 Cost.
Ciò in quanto l’art. 648, comma secondo, c.p., pur prevedendo un massimo edittale superiore alla previsione di cui all’art. 131 bis c.p., non contempla un quantum minimo di pena detentiva. Sicchè, secondo i principi generali, la cornice di pena edittale della ricettazione di lieve entità si estenderebbe da un minimo di 15 giorni ad un massimo di 6 anni di reclusione.
Ebbene, tale previsione avrebbe cagionato, ad opinione del giudice rimettente, una irragionevole disparità di trattamento contraria al principio di ragionevolezza, osservando che l’art. 131 bis c.p. risultava viceversa applicabile a fattispecie omogenee (quali la truffa ed il furto) sol perché il limite di pena rimaneva circoscritto nei necessari 5 anni, pur prevedendo, tali ultimi reati, un minimo di pena (6 mesi) di molto superiore ai ridetti 15 giorni.
La così ampia forbice edittale della ricettazione di lieve entità (senza la previsione di un minimo) apriva, a tutta evidenza, la strada a fatti che il legislatore avrebbe potuto considerare come estremamente tenui, in astratto meritevoli di una irresponsabilità penale; ma su tale via si frapponeva l’ostacolo derivante dalla discrasia tra i massimi di pena previsti dalla legge.
Per tali motivi, ordunque, il giudice a quo sollevava la predetta questione di incostituzionalità.
2. Brevi cenni sull’art. 131 bis c.p.
E’doveroso premettere taluni brevi cenni sulla previsione di cui all’art. 131 bis c.p.
La disposizione citata è stata introdotta con il d.lgs. 16 Marzo 2015, n.28 e rubricata “esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”.
L’art. 131 bis c.p. prevede una causa di non punibilità in senso stretto, ancorata a mere valutazioni di opportunità: il legislatore, infatti, ha ritenuto che in presenza degli indici richiesti dalla disposizione in esame, il fatto, pur tipico, risulti non punibile, poiché disancorato dai quei principi di meritevolezza e proporzionalità della pena, necessari all’irrogazione della sanzione più afflittiva contemplata dall’ordinamento.
Occorre sin da subito chiarire come la portata dell’art. 131 bis c.p. sia radicalmente diversa dalla mancanza di offesa: invero, un fatto inoffensivo, cioè totalmente carente nell’offesa al bene giuridico, fa venir meno la stessa tipicità del fatto, con ciò determinando l’assoluzione del reo perché il fatto non sussiste, ai sensi dell’art. 530, primo comma, c.p.p.; viceversa, il riconoscimento della causa di non punibilità di cui si discorre viene da molti definita come una “condanna mascherata”: la medesima, infatti, determina da un lato la mera non punibilità del reo (di fronte ad un fatto tipico, antigiuridico e colpevole) e, dall’altro lato, rende applicabile il disposto di cui all’art. 651 bis c.p.p., che prevede addirittura l’efficacia di giudicato della sentenza che dichiari la non punibilità (quanto alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale ed al fatto che l’imputato lo abbia commesso) nei successivi giudizi extrapenali.
Ciò premesso, ed in modo tutt’affatto esaustivo, è possibile enucleare i 3 grandi requisiti necessari all’applicazione della predetta causa di esclusione della punibilità.
In primo luogo, come dianzi riportato, è necessario che il reato commesso dall’imputato preveda una pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni: limite edittale che ha sollevato i problemi enunciati in premessa e che, ordunque, è stato investito dalla censura di costituzionalità da parte del Tribunale rimettente.
In secondo luogo, è indispensabile che l’offesa risulti di particolare tenuità. Tale criterio risulta dirimente e deve essere valutato in relazione alla condotta del reo ed all’esiguità del danno e del pericolo dallo stesso cagionati: il legislatore ha quindi ritenuto a monte che, in presenza di fatti tenui, l’agente non sarebbe meritevole di pena ed in conseguenza difetterebbe ogni opportunità di punirlo.
Da ultimo, la legge richiede che il comportamento del reo risulti non abituale: su tale ultimo punto, dottrina e giurisprudenza non sposano sempre soluzioni univoche, spaziando da interpretazioni ragionevoli, quale quella dell’incompatibilità del reato abituale con l’art. 131 bis c.p., ad altre quantomeno discutibili, in tema di mancata applicazione della causa di non punibilità al reato a consumazione prolungata e, addirittura, al reato complesso.
L’applicazione dell’art. 131 bis c.p. ha trovato notevoli riscontri ed applicazione nella prassi: l’intervento del legislatore deve, quindi, accogliersi con estremo favore, in quanto ha reso possibile la non punibilità di fatti bagatellari e totalmente immeritevoli di pena, anche in un’ottica rieducativa del reo, ai sensi dell’art. 27, comma terzo, Cost.
3. Una precedente pronuncia: Corte Cost., sentenza n. 207 del 2017
Prima di entrare nel merito della sentenza oggetto del presente scritto, occorre rilevare come la Consulta si sia già pronunciata in passato in relazione alla questione odierna.
In tale decisione la Corte ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità in relazione all’art. 131 bis c.p., nella parte in cui non estendeva l’applicabilità dell’esimente all’ipotesi attenuata dell’art. 648, secondo comma, c.p.
La ragione della declaratoria di infondatezza è stata motivata, in sintesi, con l’esigenza di salvaguardare la discrezionalità legislativa nella prospettazione del limite di 5 anni di reclusione, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità: limite che ai giudici non appariva né arbitrario, né irragionevole.
Tuttavia, il Giudice delle Leggi rilevava l’anomalia dell’inconsueta ampiezza dell’intervallo tra minimo e massimo di pena detentiva, in relazione alla ricettazione attenuata: riconoscendo come in tale forbice edittale ben sarebbe stato possibile riscontrare fatti tenui, la Corte esortava il legislatore ad intervenire sull’art. 131 bis c.p., magari prescrivendo una pena minima al di sotto del quale il fatto avrebbe potuto essere considerato di particolare tenuità.
Il legislatore, tuttavia, rimaneva inerte sul punto: la naturale conseguenza dell’immobilismo legislativo è stata, dunque, l’ulteriore rimessione della questione alla Corte Costituzionale.
4. La soluzione adottata dalla Corte Costituzionale
Con una recente sentenza i Giudici di Legittimità hanno compiuto un decisivo revirement rispetto alla pronuncia del 2017, concludendo come la mancata sanatoria, da parte del legislatore, della questione controversa, giustifichi l’intervento riformatore della Corte.
Si legge nella motivazione: “l’assoluta mitezza del minimo edittale rispecchia una valutazione legislativa di scarsa offensività della ricettazione attenuata (…) In linea generale, l’opzione del legislatore di consentire l’irrogazione della pena detentiva nella misura minima assoluta rivela inequivocabilmente che egli prevede che possano rientrare nella sfera applicativa della norma incriminatrice anche condotte della più tenue offensività. Rispetto a queste ultime è dunque manifestamente irragionevole l’aprioristica esclusione dell’applicazione dell’esimente di cui all’art. 131 bis c.p., quale discende da un massimo edittale superiore ai cinque anni di reclusione[1]”.
La Consulta, ordunque, ritiene violato l’art. 3 Cost., in quanto la fattispecie determina un’ingiustificata disparità di trattamento, rendendo punibili condotte connotate da evidente tenuità, e viceversa lasciando impuniti fatti di reato che, pur tenui, prevedano un minimo edittale di pena superiore alla ricettazione attenuata.
“Deve quindi essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 131 bis c.p., per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva[2]”.
5. Conclusioni
La recente pronuncia della Corte Costituzionale è senz’altro da condividere.
Il caso oggetto dell’ordinanza di rimessione ne è la dimostrazione: un fatto assolutamente esiguo come l’acquisto di lamette da barba di provenienza furtiva non può automaticamente far discendere una responsabilità penale, sol perché il limite massimo di pena è superiore a quanto previsto dall’art. 131 bis c.p.
Di più, l’ampiezza dei limiti di pena della ricettazione attenuata rende evidente come l’acquisto o la ricezione di cose di provenienza delittuosa possa essere riconducibile a fattispecie di particolare tenuità: altrimenti, il legislatore non avrebbe optato per la reclusione minima.
La sentenza è peraltro da apprezzare anche nella misura in cui estende il principio di diritto ad altri reati, diversi dalla ricettazione: invero, in tutti i casi in cui i reati prevedano un massimo superiore ai 5 anni, ma tuttavia non prevedano un minimo, la scure di incostituzionalità sarà destinata ad operare, con la possibilità di applicare l’art. 131 bis c.p. ad ulteriori fattispecie, diverse dall’art. 648 c.p.
Una scelta, quella operata dal Giudice delle Leggi, prima ancora che costituzionalmente orientata, dotata di assoluto buon senso. La sanzione penale, primariamente afflittiva, deve essere comminata soltanto a fatti che ne siano realmente meritevoli: in caso contrario, sarebbero violati i massimi principi di proporzione e di sussidiarietà della pena.
Non da ultimo, ingolfare il sistema processuale con fatti bagatellari non farebbe altro che vulnerare il sistema Giustizia, già profondamente malato, con tutte le conseguenze ben note in tema di ragionevole durata dei procedimenti penali. Ecco come l’estensione della portata dell’art. 131 bis c.p. potrebbe anche rappresentare un meccanismo più ampio di deflazione processuale (potendo intervenire, come noto, sia in sede di archiviazione durante le indagini preliminari, sia in sede di proscioglimento predibattimentale, ex art. 469 c.p.p.).
Fonte immagine: Luiss.it
[1] Corte Cost., sentenza n.156, 21 Giugno 2020, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/corte-cost-21-luglio-2020-sentenza-n-156-dichiarata-la-parziale-illegittimita-costituzionale-dellart-131-bis-c-p-29772
[2] Corte Cost., cit.
https://avvocatodarioquaranta.it/
Avvocato penalista, nato nel 1993.
Ha conseguito il Master universitario di secondo livello in Diritto Penale dell’Impresa, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, con la votazione di 30/30 e lode, ottenendo altresì il premio indetto dall’Associazione AODV231 destinato ad uno studente del Master distintosi per merito, ex aequo con altro partecipante.
E’ membro dell’Osservatorio Giovani e Open Day dell’Unione delle Camere Penali Italiane ed è responsabile della Commissione Giovani della Camera Penale di Novara.
Frequenta dal 2021 il Corso biennale di tecnica e deontologia dell’avvocato penalista, attivato dalla Camera Penale di Torino.
Si laurea in Giurisprudenza all’Università del Piemonte Orientale con la votazione di 110/110, discutendo una tesi in diritto penale intitolata: “La tormentata vicenda del dolo eventuale: il caso Thyssenkrupp ed altri casi pratici applicativi”.
Durante gli studi universitari ha effettuato un tirocinio di 6 mesi presso la Procura della Repubblica di Novara, partecipando attivamente alle investigazioni ed alle udienze penali a fianco del Pubblico Ministero.
Da Maggio 2018 è Praticante Avvocato presso lo Studio Legale Inghilleri e si occupa esclusivamente di diritto penale. Da Dicembre 2018 è abilitato al patrocinio sostitutivo. Ad Ottobre del 2020 consegue l’abilitazione all’esercizio della professione di Avvocato presso la Corte d’Appello di Torino, riportando voti elevati nelle prove scritte (40-35-35) ed agli orali.
Nel corso della sua attività professionale ha affrontato molte pratiche di rilievo, inerenti in particolar modo i delitti contro la Pubblica Amministrazione, i delitti contro la persona, contro la famiglia e contro il patrimonio, nonchè in tema di reati tributari, reati colposi, reati fallimentari e delitti relativi al DPR n.309/1990. Si è occupato inoltre di importanti procedimenti penali per calunnia e diffamazione. Ha sostenuto numerose e rilevanti udienze penali in completa autonomia.
E’ collaboratore dell’area di Diritto Penale di Ius In Itinere e di All-In Giuridica, ed ha pubblicato un contributo sulla rivista Giurisprudenza Penale . E’altresì autore della sua personale rubrica di approfondimento scientifico, denominata “Articolo 40”, disponibile sul sito della Camera Penale di Novara. Vanta 46 pubblicazioni sulle menzionate riviste e banche dati, tra contributi autorali e note a sentenza.
Indirizzo mail: dario.quaranta40@gmail.com