martedì, Ottobre 8, 2024
Criminal & Compliance

“Truffa processuale”: analisi degli orientamenti giurisprudenziali

Relativamente al reato di truffa ex art 640 c.p. una delle tematiche maggiormente dibattute in dottrina ed in giurisprudenza è la c.d. “truffa processuale”.

In via di premessa, brevemente, si rappresentano gli elementi oggetti e soggettivi del reato di truffa cosi come disciplinato dall’art. 640 c.p.

L’art. 640 c.p. prevede che si configuri la truffa qualora un soggetto, mediante artifici e raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé un ingiusto profitto con altrui danno.

L’articolo in oggetto è posto a tutela del patrimonio e della libera formazione del consenso in seno al soggetto passivo.

Più nello specifico, la punibilità non deriva solamente dalla lesione alla sfera patrimoniale del singolo, già tutelato dalla disciplina in materia di contratti, bensì anche dell’interesse pubblicistico a che non sia leso il dovere di lealtà e correttezza e la libertà di scelta dei contraenti. Tuttavia, non bastando la mera violazione di un tale dovere, per la consumazione del reato è richiesta anche un’effettiva lesione del patrimonio altrui, conseguendo un ingiusto profitto.

La dottrina prevalente propende per un’interpretazione estensiva della norma ritenendo ricompresi anche le situazioni di simulazione o dissimulazione o subdolo espediente finalizzate ad indurre in errore un soggetto.

Oltre a ciò il reato di truffa si configura anche nel caso in cui il soggetto agente ometta di riferire, per silenzio o reticenza, delle circostanze che costituiscono violazione di uno specifico obbligo giuridico di comunicazione[1].

Secondo la monolitica giurisprudenza di legittimità integra il reato la concreta idoneità dei mezzi inutilizzati ad indurre in errore la vittima tenuto conto delle circostanze di fatto, della modalità di esecuzione del reato e della situazione psichica ed intellettuale della vittima[2].

Per quanto riguarda il danno cagionato alla vittima, lo stesso deve necessariamente essere di carattere patrimoniale mentre il profitto può avere anche natura morale o affettiva[3].

Ciò detto, in breve, sul reato di truffa ex art 640 c.p. si vuole, di seguito, analizzare il caso specifico della c.d. truffa processuale.

Per truffa processuale si intende il caso in cui una delle parti, in un giudizio civile, inducendo in inganno il giudice con artifici o raggiri, ottenga una sentenza o un provvedimento giurisdizionale favorevole e, pertanto, dannoso per la parte avversaria.

Questa tematica è oggetto di numerose pronunce della Corte di Cassazione discordanti tra loro sugli elementi costitutivi della suddetta figura di reato.

In proposito, sussistono due orientamenti principali: il primo, quello dominante, propende per la non sussistenza del suddetto reato per mancanza dell’elemento specifico del danno patrimoniale diretto; il secondo, di cui fa parte, come vedremo, un’importante sentenza delle Sezioni Unite, ritiene configurabile in tutti gli elementi di cui all’art. 640 c.p., il reato di truffa processuale.

Analizzando il primo orientamento si può notare come la giurisprudenza di legittimità abbia ritenuto che la c.d. truffa processuale, consistente nel fatto di chi, inducendo in errore il giudice in un processo civile o amministrativo mediante artifici e raggiri, ottenga una decisione favorevole, non integra il reato di cui all’art. 640 c.p. in quanto in tale fattispecie viene a mancare un elemento costitutivo del reato e cioè l’atto di disposizione patrimoniale[4].

Infatti, secondo questo orientamento, il Giudice, con il provvedimento giudiziale, non compie un atto di disposizione espressione dell’autonomia privata e della libertà di consenso, ma esercita il potere di natura pubblicistica, connesso all’esercizio della giurisdizione e pertanto non comporta un immediato danno di carattere patrimoniale.

Oltre a ciò, secondo un risalente orientamento della Cassazione, non è configurabile la c.d. truffa processuale “in quanto, ai fini della sussistenza della truffa è necessario, pur nell’ipotesi della distinzione tra soggetto ingannato e soggetto danneggiato, che il primo di detti soggetti si ponga in una prospettiva di gestione degli interessi patrimoniali del secondo il che evidentemente manca nel giudice, che si pone come terzo, pur se ingannato, tra l’agente e il soggetto danneggiato[5].

Riassumendo l’orientamento sopra analizzato si può concludere che la Cassazione, in numerose pronunce, non abbia riconosciuto la c.d. truffa processuale come ipotesi di reato stante la mancanza della diretta disposizione patrimoniale da parte del soggetto danneggiato e in ragione del fatto che il soggetto “ingannato” non lo stesso che subisce il danno patrimoniale ma un terzo, ossia il giudice.

A tale orientamento si contrappongono altre pronunce giurisprudenziali, di legittimità, che stanno trovando parere favorevole da parte della dottrina.

Sul punto, si evidenzia che tale indirizzo sostiene che la struttura del reato di truffa “non postula l’identità tra la persona offesa dal reato e quella indotta in errore e, quindi, il rato sussiste pur in assenza di tale identità, sempre che gli effetti dell’inganno e della condotta dell’ingannato si riversino sul patrimonio del danneggiato, non può escludersi, in via di ipotesi, la configurabilità della truffa nel caso in cui sia il giudice il soggetto ingannato dall’attività fraudolenta precostituita da una parte, avendo egli il potere di incidere pregiudizievolmente con un suo provvedimento sul patrimonio della parte contraria[6].

Un’opinione favorevole a tale orientamento la si può riscontrare nella pronuncia delle Sezioni Unite nella quale viene riconosciuto il reato di truffa processuale[7].

Infatti, secondo tale pronuncia, ai fini della configurabilità del delitto di truffa, deve sussistere, “da un lato, l’atto di disposizione patrimoniale, quale elemento costitutivo implicito della fattispecie incriminatrice, consistente in un atto volontario, causativo di un ingiusto profitto altrui a proprio danno e determinato dall’errore indotto da una condotta artificiosa, dall’altro, lo stesso atto dispositivo non deve necessariamente qualificarsi in termini di atto negoziale, ovvero in atto giuridico in senso stretto, ma po’ essere integrato anche da un permesso o assenso, dalla mera tolleranza o da una “traditio”, da un altro lato ancora, che “non può per conseguenza in linea teorica escludersi che tale atto volontario consista in una dazione di denaro effettuata nell’erronea convinzione di dovere eseguire un ordine del giudice conforme a legge”.

Secondo i summenzionati orientamenti giurisprudenziali, seppur rappresentanti una posizione minoritaria, si ritiene configurabile il reato di c.d. truffa processuale poiché si ritengono sussistenti gli elementi oggettivi dell’art. 640 c.p. anche nel caso di disposizione patrimoniale del soggetto danneggiato derivante da un provvedimento giurisdizionale emesso sulla base di un inganno perpetrato ai danni dell’Autorità Giudiziaria.

Tale conclusione viene condivisa da parte della dottrina la quale sostiene che l’orientamento di legittimità dominante sia ormai desueto e fin troppo rigido rispetto alla figura di reato di cui all’art. 640 c.p.

Infatti si sostiene che un’esclusione di tale fattispecie di reato potrebbe portare a non offrire una vera tutela alla persona offesa di un reato di truffa perpetrata mediante artifici e raggiri nei confronti di un soggetto terzo, l’Autorità Giudiziaria, il quale con il proprio provvedimento, può incidere in maniera diretta sul patrimonio del soggetto passivo del reato[8].

Tale opinione, sicuramente condivisibile, si scontra però con una recente pronuncia della giurisprudenza di legittimità in materia di truffa processuale ed emissione di decreto ingiuntivo.

In proposito la Cassazione ha stabilito che, “in tema di truffa, va esclusa la configurabilità del reato nel caso in cui il soggetto indotto in errore sia un giudice che, sulla base di una testimonianza falsa, abbia adottato un provvedimento giudiziale contenente una disposizione patrimoniale favorevole all’imputato atteso che detto provvedimento non è equiparabile a un libero atto di gestione d’interessi altrui costituendo esplicazione del potere giudiziale, di natura pubblicistica, finalizzato all’attuazione delle norme giuridiche e alla risoluzione dei conflitti d’interessi tra le parti[9].

Tale pronuncia di legittimità, a parere di chi scrive, non tiene in debita considerazione la portata effettiva dell’inganno subito dall’Autorità Giudiziaria e le conseguenze negative incidenti sul patrimonio del soggetto passivo del reato.

Difatti, se all’esito di testimonianza successivamente dichiaratasi come falsa, l’Autorità Giudiziaria emette un provvedimento di condanna, con serie ripercussioni sul patrimonio del soccombente, si ritiene siano configurabili gli elementi della truffa sia per quanto attiene agli artifici e raggiri, testimonianza falsa, che per il danno patrimoniale altrui, condanna emessa dal giudice.

Infatti, il soggetto passivo del reato, si trova nella situazione di dover eseguire un provvedimento giudiziale, quindi nella consapevolezza della correttezza della pronuncia e nella totale fiducia nell’Autorità Giudiziaria che l’ha emessa, che risulta viziata da artifici e raggiri indipendenti dalla volontà del soggetto che ha emesso la disposizione giudiziale.

In conclusione, alla luce di quanto sopra esposto, si ritiene che sarebbe opportuno un intervento risolutore delle Sezioni Unite orientato alla tutela della persona offesa del reato ed al buon funzionamento della giustizia.

[1] Cass. Sez. II sentenza del 23.03.2006 n. 10231

[2] Cass. Sez. II sentenza del 07.05.1987 n. 5584

[3] Cass. Sez. II sentenza del 28.07.1986 n. 7730

[4] Cass. Sez. II sentenza n. 3135/2012; Cass. Sez. II sentenza n. 498/2012; Cass. Sez. II sentenza n. 39314/2009; Cass. Sez. II n. 29929/2007; Cass. Sez. V n. 228075/2004; Cass. Sez. II n. 3135/2003.

[5] Cass. n. 1074/1996

[6] Cass. Sez. V n. 6335/1999

[7] Cass. Sez. Unite, sentenza del 29.09.2011 n. 155

[8] Di Tullio D’Elisiis Antonio in “Truffa: non è configurabile nel caso in cui sia indotto in errore un giudice” in https://www.diritto.it/truffa-non-e-configurabile-nel-caso-in-cui-sia-indotto-in-errore-un-giudice/

[9] Cass. Sez. II, sentenza del 28.11.2018, n. 55430

Avv. Roberto Tedesco

Sono un Avvocato iscritto all’Ordine degli Avvocati di Monza dal 15.10.2014. Ho maturato un’importante esperienza in ambito di diritto penale con particolare riferimento, oltre ai reati contro la persona ed il patrimonio, ai reati di carattere tributario e fallimentare. Sono iscritto nella lista dei difensori d’ufficio ex art. 29 comma 1 bis norme attuazione c.p.p. Durante la mia attività professionale ho avuto modo di affrontare anche problematiche di natura civilistica in ambito di diritto di famiglia e contenzioso civile. Credo molto nella mia professione, mi ritengo fortemente motivato a svolgere con la massima professionalità ciascun incarico, anche in situazioni di urgenza ed emergenza che mi venga assegnato. Mi reputo una persona seria ed affidabile; capace sia di eseguire la propria attività in autonomia che di interagire e collaborare nell'ambito di un lavoro di team. Visita il mio sito web https://avvrobertotedesco.it/

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