venerdì, Luglio 26, 2024
Criminal & Compliance

Affidamento diretto illegittimo della commessa pubblica e non configurabilità del reato di cui all’art. 353-bis c.p., nota a  Cass. Pen. Sez. VI, Sentenza n. 5536, 28 ottobre 2021(dep. 16 febbraio 2022)

A cura del Dott. Antonio Canale

1.Premessa

Tra le questioni più interessanti in giurisprudenza, allo stato, rientra quella concernente il raggio applicativo dell’art. 353-bis cod. pen., che incrimina la “turbata libertà del procedimento di scelta del contraente”.

L’interrogativo ha riguardato la possibilità di configurazione del delitto de qua a fronte di comportamenti che si concretano nella fase antecedente alla gara, volti ad impedire l’indizione della stessa. Trattasi di azioni che ambiscono a conseguire, indebitamente, l’affidamento diretto della commessa pubblica.

Nel dettaglio, la Corte di Cassazione ha indagato i limiti esegetici derivanti dal perimetro tipico dell’art. 353-bis cod. pen., domandandosi se l’affidamento diretto possa rientrare nel solco dell’“atto equipollente” al quale la norma de qua si riferisce.

La questione è di grande importanza per i risvolti applicativi, attesa la centralità della materia delle pubbliche gare.  Si tratta di un settore nevralgico dell’economia nazionale, nonché particolarmente sensibile agli interessi euro-unitari. Si rende, allora, ancor più necessario comprendere quali sono i risvolti penalistici di condotte perturbatrici di questo tipo nella fase preliminare alla gara pubblica. Alla luce delle suindicate premesse, il presente contributo analizza la più recente decisione del massimo organo nomofilattico sul punto, previa effettuazione di una rapida ricognizione del reato di cui si parla.

 2. Il delitto di cui all’art. 353-bis cod. pen.

La disposizione normativa di cui all’art. 353-bis cod. pen. è stata introdotta con legge 13 agosto 2010, n. 136 (Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia).

Il delitto di “Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente” si è reso necessario, come emerge dai lavori preparatori alla legge introduttiva della presente fattispecie, per rispondere a imminenti esigenze.

In particolare, l’obiettivo era quello di inibire condotte volte a turbare non la gara, come accade ex art. 353 cod. pen., bensì le fasi preliminari ad essa. Com’è noto, l’Amministrazione pubblica, diversamente dal contraente privato, non può scegliere il contraente con il quale stipulare il patto senza criteri.

Deve determinarsi a contrarre, dimostrando la necessità della convenzione ai fini pubblici, e, in seguito, redigere un bando di gara ovvero procedere con atto equipollente.

L’art. 353 bis cod. pen., a tal proposito, incrimina chi turba il “procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente”.

La necessità di anticipazione dell’intervento penale era stata espressa dalla giurisprudenza di legittimità in precedenza, giacché si erano denunciati possibili vuoti di tutela che la disposizione di cui all’art. 353 cod. pen., concernente il delitto di turbata libertà dei pubblici incanti, aveva generato.

Taluni orientamenti giurisprudenziali[1] avevano ritenuto che il reato di cui all’art. 353 cod. pen.  non sarebbe configurabile nei casi in cui, alla commissione di una delle condotte illecite richieste dalla norma, non facesse seguito la pubblicazione del bando di gara e, quindi, il formale avvio della stessa procedura selettiva. La punibilità, in questo caso, non era ammessa neanche a titolo di tentativo. Infatti, l’art. 353 cod. pen. si incardina sul presupposto che vi sia una “gara”, la quale viene turbata o impedita dall’agente con l’elemento soggettivo del dolo generico.

Il fondamento politico criminale dell’art. 353-bis cod. pen., come si evince anche dai lavori preparatori, è normalmente rinvenuto nella esigenza di arretrare l’intervento penale rispetto al momento di effettiva indizione formale della gara.

Si osserva che il presupposto della disposizione è la pericolosità di quelle condotte volte ad adulterare il procedimento di redazione del contenuto del bando di gara o di altro atto[2].

Si vuole evitare che, a causa di minacce, frodi, ovvero violenze, la volontà della Amministrazione sia viziata. Il risultato della perturbazione della volontà sarebbe, infatti, un bando “personalizzato”, ossia costruito sulle specifiche istanze del futuro vincitore, autore o istigatore delle condotte illecite di cui sopra.

Il bene giuridico individuato sembra essere, allora, il principio di libertà di concorrenza e la salvaguardia degli interessi della pubblica amministrazione. Questo perché si vuole impedire l’affidamento della commessa ad un soggetto a scapito di altri, proteggendo la parità tra i concorrenti e la libera dialettica economica. Ci si pone, dunque, al servizio della libertà di concorrenza intesa quale bene funzionale ad assicurare ai pubblici poteri l’individuazione del migliore offerente.

Occorre infine rilevare, in relazione alla formulazione dell’art. 353-bis cod. pen., che si tratta di un reato di pericolo astratto, o, se si preferisce, presunto. Il momento consumativo del delitto si ha indipendentemente dalla realizzazione del fine, atteso che la finalità di turbare è posta, dalla legge, sul piano del dolo specifico. È sufficiente che sia messa in pericolo la correttezza della procedura amministrativa volta a stabilire il contenuto del bando, in ciò avendosi il suo turbamento. Non è necessario cioè che il contenuto del bando, o di un atto ad esso equipollente, venga effettivamente inquinato in modo tale da condizionare la scelta del contraente[3] .

3.Il caso affrontato dalla Corte di Cassazione

La Suprema Corte di Cassazione giudica tre ricorsi proposti da soggetti condannati ex art. 353-bis cod. pen. dalla Corte di Appello di OMISSIS, che a sua volta confermava una sentenza del Tribunale di OMISSIS.

Le corti territoriali concordavano nel ritenere penalmente responsabili gli imputati per avere, con mezzi fraudolenti e accordi corruttivi, turbato il procedimento di scelta del contraente di un ente pubblico favorendo l’affidamento a favore di un’impresa di uno degli imputati. Erano state escluse forme di pubblicità o richieste di offerta o partecipazione alla fase negoziale di altri possibili concorrenti. Si era creato il falso presupposto di una situazione di urgenza, al fine di fare riferimento ad una procedura di individuazione del contraente illegittima, perché in violazione della disposizione del d. lgs n. 163 del 2006, ratione temporis vigente.

Il motivo di ricorso, che peraltro è ritenuto dalla Suprema Corte assorbente gli altri, è quello concernente la violazione o falsa applicazione dell’art. 353-bis cod. pen.

L’opzione ricostruttiva avallata dai tribunali territoriali non è affatto isolata, come fa emergere l’indagine della Corte regolatrice.

Secondo l’orientamento di una parte della giurisprudenza, l’art. 353-bis cod. pen., facendo riferimento al “contenuto del bando o di altro atto equipollente”, può essere interpretato anche in senso estensivo. Si può intendere per “altro atto equipollente”, “ogni atto che – così come recita la rubrica della norma – abbia l’effetto di avviare la procedura di scelta del contraente, venendo così in considerazione, sulla scorta di un’interpretazione di segno ampio, pienamente conforme alla ratio legis, anche la deliberazione a contrarre”[4] .

La decisione in esame, così come altre dello stesso tenore, ricomprendono nella nozione di “atto equipollente” i casi in cui l’affidamento diretto sia utilizzato in maniera distorta, al fine di eludere l’indizione della gara, ritenendo così sussistente il reato previsto dall’art. 353-bis cod. pen.

4. La risoluzione del quesito di diritto

La Suprema Corte di Cassazione ritiene di dover accogliere il motivo di ricorso relativo alla violazione dell’art. 353-bis cod. pen., ritenuto assorbente rispetto agli altri.

Invero, il giudice di legittimità rileva che l’indirizzo accolto dalla Corte d’Appello non può essere seguito, attese le interessanti considerazioni svolte dalla Suprema Corte.

Il ragionamento condotto analizza gli sviluppi giurisprudenziali più importanti a proposito dei tipi di comportamenti che possono considerarsi atti a turbare il procedimento di scelta del contraente.

Non è sempre priva di rilevanza penale la condotta prodromica ad un affidamento diretto.  Se quest’ultimo è preceduto da un procedimento che contempla segmenti concorrenziali tra gli aspiranti, i quali rendono equivalente la trattativa privata – perlomeno in relazione alla fase iniziale del procedimento – a una procedura di gara ritenuta “ufficiosa”, “informale”, il discorso cambia.

Poiché, come si è evidenziato, il presupposto di funzionamento del delitto in questione è che vi sia un condizionamento del procedimento di scelta del contraente, occorre indagare se vi è un segmento di competizione. L’art. 353-bis interviene propriamente per reprimere la fenomenologia criminale che inquina il momento in cui si dovrebbe avere parità concorrenziale. E infatti, in molteplici occasioni, si è avuto riguardo ad ogni istituto competitivo, funzionale alla conclusione di un contratto con la pubblica amministrazione. Questo a patto che il suo funzionamento sia soggetto a regole, seppure meno stringenti rispetto a quelle congenite ai pubblici incanti e alle licitazioni private, ma comunque predeterminate, alle quali i privati devono attenersi e i pubblici poteri devono adeguarsi.

Alla luce di questa impostazione, la Corte Suprema rileva che “le uniche situazioni che si sottraggono all’applicazione della fattispecie”[5] sono quelle caratterizzate dalla ricerca del contraente priva di giudizi comparativi, neanche di tipo informale. Ed è esattamente quanto sembra accadere nel caso di specie.

In questi casi, di fatto, non vi è alcun concorso tra aspiranti contraenti, sicché non vi sarebbe spazio per un danno al diritto degli imprenditori a gareggiare in condizioni di parità per gli appalti pubblici.

In conclusione, il collegio decidente allontana l’indirizzo criticato poiché contrario al divieto di analogia.  Si aprirebbe spazio ad una ingiustificata estensione dell’ambito della norma incriminatrice, nonché dilatando il reticolo tipico della fattispecie con un procedimento analogico in malam partem in cui, attraverso considerazioni di natura teleologica, si soverchia la lettera della legge.

Si ritiene, da parte di chi scrive, di condividere l’opzione esegetica della Suprema Corte citata perché più attenta alle esigenze di rispetto del divieto di esegesi analogica, nonché al dato testuale. Tuttavia, si potrebbe auspicare un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite penali, affinché vi sia una pronuncia idonea ad evitare future torsioni interpretative.

[1]Ex pluribus, da ultimo, si veda Cass. Pen. Sez. V, sentenza n. 26556, 13 aprile 2021.

[2] F. Caringella,Manuale ragionato di diritto penale, parte speciale, edizione 2020 pag. 83

[3] “Poiché il condizionamento del contenuto del bando è il fine dell’azione, è evidente che il reato si consuma indipendentemente dalla realizzazione del fine medesimo”, così Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 29267, 5 aprile 2018.

[4]Così, testualmente, Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 13431, 16 febbraio 2017, in fattispecie di procedura di affidamento diretto avviata in violazione della normativa allora vigente.

[5] Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 5536, 28 ottobre 2021.

Lascia un commento