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Amazon e l’uso di sensitive data: l’UE contesta l’abuso di posizione dominante

Al termine di indagini cominciate nel luglio 2019, il 10 novembre la Commissione europea (di seguito anche “Commissione”) ha inviato ad Amazon uno Statement of Objections nel contesto di un procedimento antitrust. Secondo la conclusione preliminare raggiunta dalla Commissione, il colosso dell’e-commerce avrebbe, utilizzando una gran quantità di dati sensibili, praticato una “distorsione illegale della concorrenza nel mercato al dettaglio on-line[1] in Francia e in Germania. La Commissione ha altresì avviato un’ulteriore indagine per verificare le regolarità delle pratiche commerciali messe in atto da Amazon, in particolare con riguardo al servizio cd. “Buy Box”. In entrambi i casi, ad Amazon sarebbe contestato l’abuso di posizione dominante ex art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (di seguito “TFUE“).

L’abuso di posizione dominante

L’art. 102 TFUE vieta, in quanto incompatibile con il mercato interno, “lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo”, nella misura in cui possa arrecare pregiudizio alla concorrenza nell’ambito dell’Unione europea.

Ad una prima lettura, è già possibile osservare come la disposizione non abbia ad oggetto tanto la detenzione di una posizione dominante sul mercato; quest’ultima è infatti considerata come una legittima “forza economica” che consentirebbe all’impresa, potenzialmente, “di ostacolare la persistenza di una concorrenza efficace sul mercato e di adottare comportamenti indipendenti nei confronti dei propri clienti, concorrenti e consumatori[2]. Piuttosto, è l’abuso della posizione dominante stessa ad essere vietato. Le condotte tipiche che possono integrare tale abuso sono elencate in via esemplificativa dall’art. 102[3]. L’elenco, dunque, non è esaustivo: nel corso del tempo, ulteriori condotte abusive sono emerse concretamente sui mercati.

Ciò ha reso necessario formulare, attraverso la giurisprudenza della CGUE, una nozione generale di abuso in grado di comprendere anche le condotte non specificamente indicate nell’art. 102. È da questo che ha origine il concetto cd. speciale responsabilità, ossia l’obbligo generale in capo alle imprese in posizione dominante di astenersi da tutte quelle condotte che impedirebbero l’esercizio di un’effettiva concorrenza nel mercato di appartenenza.[4] Le stesse condotte sono, invece, consentite a un’impresa non in posizione dominante, in ragione dei diversi effetti che verrebbero a prodursi sulla concorrenza. L’impresa in posizione dominante dovrebbe dunque agire, nei confronti delle imprese concorrenti, come se fosse a sua volta ancora sottoposta alla pressione concorrenziale.

Muovendosi dall’abuso come violazione dello speciale dovere di responsabilità ha preso piede, nella giurisprudenza europea[5], la cd. competition on the merits. In base a questa teoria, l’impresa in posizione dominante violerebbe l’art. 102 TFUE ogniqualvolta “ottenga un vantaggio competitivo con mezzi non apprezzabili in termini di competition on the merits[6], cioè quando i risultati ottenuti non derivino dalla qualità della propria offerta commerciale e, dunque, dalla libera scelta del consumatore, da intendersi come consapevole valutazione di fattori come, ad esempio, un prezzo più o meno vantaggioso o la portata innovativa del prodotto.

Tale lettura, non priva di ambiguità interpretative, promuove una maggiore tutela del consumatore e della sua libertà di effettuare scelte consapevoli ma, allo stesso tempo, si discosta da quella tradizionale impostazione per cui era considerato legittimo detenere un certo potere di mercato. La mera presenza di un’impresa in posizione dominante, difatti, comincia ad essere di per sé considerata idonea ad indebolire la concorrenza, indipendentemente dal fatto che una condotta abusiva venga esercitata in via diretta dall’impresa.[7] È all’interno di questo quadro interpretativo che prendono forma le contestazioni mosse ad Amazon.

L’uso di sensitive data

Con la menzionata comunicazione di addebiti, la Commissione ha contestato ad Amazon l’utilizzo di dati non pubblici per riadattare le proprie offerte commerciali, ottenendo così indebiti vantaggi concorrenziali. Tali dati riguardano quei rivenditori indipendenti che si servono di Amazon come marketplace. Amazon riveste infatti un “doppio ruolo”: da un lato, fornisce un marketplace, ossia una piattaforma in cui venditori indipendenti propongono e vendono prodotti propri direttamente ai consumatori; dall’altro, vende a sua volta prodotti al dettaglio sul medesimo mercato, operando in concorrenza con quegli stessi venditori.

È proprio in virtù del suo ruolo di marketplace che Amazon ha accesso ad una serie di business data riguardanti i venditori indipendenti, cioè dati aziendali non pubblici, come ad esempio il numero di visualizzazioni dei prodotti, i reclami dei consumatori, le perfomance passate. Amazon avrebbe raccolto questi data in gran quantità, per poi renderli disponibili ai suoi dipendenti del retail business e farli confluire direttamente nei suoi sistemi automatizzati. Questa condotta, in base a quanto contestato dalla Commissione, violerebbe l’art. 102 TFUE, consentendo ad Amazon di evitare i normali rischi della concorrenza. Come si legge nello Statement of Objections Amazon, tramite questa modalità di uso dei dati, otterrebbe, nella veste di venditore al dettaglio, l’indebito vantaggio di poter rimodulare la sua offerta in base alle informazioni ottenute, concentrando ad esempio le offerte dei suoi prodotti tra i best-selling delle varie categorie. Ciò si traduce, in pratica, nell’elaborare strategie commerciali a discapito degli altri venditori nel marketplace che, non avendo accesso a questi dati, risultano inevitabilmente marginalizzati e vedono pregiudicate le loro possibilità di crescita all’interno del mercato.

Questo particolare tipo di abuso di posizione dominante, frutto della continua evoluzione tecnologica, assume la forma della digital dominance[8]. In questi casi, è possibile che l’impresa che gode della digital dominance risulti dominante altresì in base a criteri più tradizionali, come la detenzione di una quota di mercato rilevante o l’apposizione di barriere all’entrata dello stesso[9]. Il valore aggiunto, che consente all’impresa di rafforzare il suo potere sul mercato digitale, è la possibilità accedere a svariate categorie di dati, tra cui dati personali e di localizzazione, e di sfruttarli, in particolare se si tratta di “dati che per i concorrenti sarebbero difficili da raccogliere e replicare[10].

Un tipico uso dei dati così ottenuti emerge se si osserva il doppio ruolo di Amazon come marketplace e come venditore al dettaglio. Si tratta del cd. ‘leveraging’, che consiste “nell’utilizzare il proprio vantaggio all’interno di un mercato” (nel caso di specie, vantaggio raggiunto nel marketplace attraverso i dati sensibili ivi raccolti) “per fare pressione in mercati connessi[11] ossia, in questo caso, il mercato in cui Amazon agisce come retailer in concorrenza con altri venditori al dettaglio. Questi ultimi, alla luce della “pressione” così esercitata, saranno indotti a ricorrere ad Amazon come marketplace, in considerazione del suo effetto di rete e dell’estensione dell’utenza che riesce a raggiungere.[12]

La condotta in esame consisterebbe, in particolare, in una specifica categoria di leveraging, che prende il nome di self-preferencing. Si tratta di tutte quelle pratiche che vari giganti del digitale[13] elaborano per favorire l’offerta dei propri prodotti a discapito di quella dei concorrenti. L’aspetto più rilevante di queste condotte, in termini di diritto della concorrenza, è l’efficacia che hanno in termini di rafforzamento del potere di mercato dell’impresa che risulti già in posizione dominante, attraverso la produzione di effetti escludenti. Alle imprese che operano in concorrenza con quella in posizione dominante, dunque, sarebbe impedito o, comunque, reso più complesso, l’ingresso, la permanenza o la crescita all’interno del mercato di riferimento.

Al filone del self-preferencing appartiene anche la menzionata indagine della Commissione sul “Buy Box”, funzione di Amazon che regolamenta l’offerta del medesimo prodotto da parte di diversi venditori. L’offerta del venditore che riesce ad ottenere la Buy Box, in sostanza, viene mostrata in primo piano al consumatore, in un riquadro che appare automaticamente sulla schermata del dispositivo e che gli consente di procedere direttamente all’acquisto, senza dover consultare altre offerte di altri venditori. Con questa nuova indagine, la Commissione vuole accertare la regolarità dei criteri usati da Amazon per l’assegnazione della Buy Box; è emerso infatti il sospetto che i retailers che scelgono i servizi logistici e di delivery di Amazon siano favoriti e, quindi, artificiosamente indotti a rivolgersi ad Amazon per raggiungere gli indubbi vantaggi competitivi derivanti dall’ottenimento della Buy Box[14], il tutto a discapito degli altri venditori.

Conclusioni

Sia in tema di uso di sensitive data che della funzione Buy Box, le contestazioni della Commissione convergono sulla violazione dell’art. 102 TFUE. Sulla prima contestazione, nello Statement of Objections, la Vicepresidente esecutiva per la concorrenza Vestager ha sottolineato come “sia necessario assicurare che il doppio ruolo rivestito da Amazon non distorca la concorrenza” e che “i dati sull’attività dei venditori indipendenti non dovrebbero essere utilizzati a vantaggio di Amazon quando opera in concorrenza con tali venditori”.

Mentre un portavoce specifica che Amazon rappresenta “meno dell’1% del mercato globale di vendita al dettaglio” e che in ogni paese in cui Amazon opera ci sono altri venditori con un raggio di azione più ampio del loro[15], l’Unione Europea privilegia un altro punto di vista. La Commissione sottolinea infatti che in Francia e in Germania rispettivamente più del 70% e più dell’80% dei consumatori che hanno fatto acquisti on-line “hanno comprato qualcosa su Amazon negli ultimi 12 mesi[16]. Il tutto, a sottolineare quanto sia vasto il riflesso delle pratiche di Amazon, sia nei confronti dei concorrenti che dei consumatori, la cui libertà di scelta risulterebbe fortemente limitata.

Tuttavia, va ricordato che la pratica del self-preferecing, adottata in questo caso da Amazon, non dovrebbe essere considerata illegittima in astratto; andrebbe, invece, sottoposta ad un “effects test”, in base al quale la condotta sarà idonea ad integrare un abuso di posizione dominante soltanto qualora si verifichino in concreto degli effetti anticoncorrenziali nei confronti di concorrenti e consumatori.[17]

Da un opposto punto di vista, invero, va osservato che il ricorso al self-preferencing sembra fornire alle autorità di controllo la possibilità “di condurre indagini potenzialmente illimitate e di monitorare minuziosamente l’attività delle grandi imprese nel settore digitale[18], fungendo dunque da incisivo strumento di controllo anche indipendentemente dalla fondatezza delle contestazioni mosse. Sarebbe dunque auspicabile, in base ad un criterio di ragionevolezza, valutare sempre in concreto le pratiche dei big dell’e-commerce in termini di competition on the merits, per verificare, nella pratica, la legittimità dei vantaggi concorrenziali che ottengono e, dunque, degli effetti escludenti che producono nei confronti dei concorrenti. In caso contrario, è stato osservato che “se per effetto anti-concorrenziale si intende qualsivoglia svantaggio concorrenziale, il self-preferencing sarà da considerarsi illegittimo in ogni circostanza[19].

[1] “Statement by Executive Vice-President Vestager on Statement of Objections to Amazon for the use of non-public independent seller data and second investigation into its e-commerce business practices”, 10 novembre 2020, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/STATEMENT_20_2082

[2] Corte di Giustizia UE, C-85/76, Hoffmann-La Roche & co., 13 febbraio 1979

[3] Sono condotte tipiche di abuso di posizione dominante il price fixing, la limitazione di prodotti, mercati o sviluppo tecnologico in danno dei consumatori, l’applicazione di condotte dissimili a transazioni equivalenti e la subordinazione della conclusione di contratti a prestazioni supplementari che non abbiano alcun nesso con l’oggetto del contratto.

[4] Corte di Giustizia UE, C- 322/81, Michelin, 9 novembre 1983

[5] Corte di Giustizia UE, C-457/10, AstraZeneca, 6 dicembre 2012; C-209/10, Post Danmark, 27 marzo 2012; C‑413/14, Intel Corp. Inc., 6 settembre 2017

[6] M. Libertini, “Abuso del diritto e abuso di posizione dominante”, 2018

[7] A. Lamadrid, “ECJ’s Judgment in Case C-457/10 P Astra Zeneca”, https://chillingcompetition.com/2012/12/06/ecjs-judgment-in-case-c-45710-p-astra-zeneca/

[8] W. Sauter, “A duty of care to prevent online exploitation of consumers? Digital dominance and special responsibility in EU competition law”, 2019

[9] Ibid.

[10] Ibid.

[11] S. Scarpa Ferraglio, The Queen’s Gambit: la mossa Vestager per contrastare i Big Tech e rivoluzionare il diritto UE della concorrenza, novembre 2020, disponibile qui https://www.iusinitinere.it/the-queens-gambit-la-mossa-vestager-per-contrastare-i-big-tech-e-rivoluzionare-il-diritto-ue-della-concorrenza-32645

[12] Ibid.

[13] A tal proposito, si ricorda l’ammenda comminata, nel 2017, dalla Commissione a Google per abuso di posizione dominante con riguardo a Google shopping. Invero, Google fu accusato di promuovere il suo servizio di acquisti comparativi attraverso un posizionamento privilegiato nei risultati di ricerca, a discapito di analoghi servizi forniti dai concorrenti.

[14]Statement by Executive Vice-President Vestager on Statement of Objections to Amazon”, cit.

[15] S. Van Dorpe ,“Amazon probes show Vestager hasn’t given up her customary antitrust weapons”, 10 novembre 2020, disponibile qui https://www.politico.eu/article/amazon-probes-show-vestager-hasnt-given-up-her-customary-antitrust-weapons/

[16] “Statement by Executive Vice-President Vestager on Statement of Objections to Amazon”, cit.

[17] Digital Freedom Fund, “Self-preferencing and EU competition law”, https://digitalfreedomfund.org/wp-content/uploads/2020/05/5_DFF-Factsheet-Self-preferencing-and-EU-competition-law.pdf

[18]P. Ibanez Colomo, “Self-Preferencing: Yet Another Epithet in Need of Limiting Principles”, 2019, https://chillingcompetition.com/2019/04/24/self-preferencing-yet-another-epithet-in-need-of-limiting-principles/

[19] Ibid.

Marta Desantis

Marta Desantis, laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi del Sannio (con votazione di 110/110 e lode) con tesi in Comparazione e cultura giuridica dal titolo "Il risarcimento del danno Antitrust: analisi comparata tra il sistema europeo e statunitense". Praticante avvocato. Collaboratore dell'area di diritto internazionale.

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