La massima
“Appare logico presumere, ai fini del riconoscimento della recidiva, la pericolosità sociale dell’imputato se quest’ultimo è disoccupato e vive con i proventi dell’attività illecita.” (Cass. pen., sez. III, 04.02.21, n. 4427).
Il caso
La pronuncia origina dal ricorso per cassazione, presentato dal difensore dell’imputato, contro la sentenza della Corte d’Appello di Torino la quale aveva parzialmente modificato la decisione del Tribunale del medesimo capoluogo, in sede di giudizio abbreviato, che aveva condannato l’imputato alla pena di mesi 6 di reclusione e al pagamento di euro 1.200 di multa.
Il gravame si fondava sull’inosservanza dell’art. 99, c. 4, c.p. ed il vizio della motivazione sul rigetto del motivo di appello con cui si chiedeva l’esclusione della recidiva. La Corte di appello avrebbe ritenuto sussistente l’accresciuta pericolosità sociale solo in base alle precedenti condanne e non avrebbe motivato sui presupposti per la sussistenza della recidiva.
La motivazione
I giudici di legittimità, in una breve motivazione, si soffermano sulla doglianza formulata nel ricorso con riferimento alla recidiva.
In particolare dalla motivazione si evince che la Corte territoriale ha ritenuto sussistente la recidiva non in base alla mera analisi dei precedenti penali ma effettuando la valutazione sulla relazione qualificata tra il reato contestato ed i precedenti penali. La reiterazione del reato oggetto della condanna sarebbe espressione dell’accresciuta pericolosità sociale poiché l’attività illecita non è occasionale, in relazione alle condizioni di vita disagiate; l’imputato infatti è disoccupato e senza fissa dimora, sicché vive dei proventi dell’attività di cessione.
Inoltre, tale aspetto è stato valutato sotto il profilo soggettivo perché la commissione di altro reato, sempre per violazione del T.U. Stupefacenti, nonostante le precedenti condanne, è la dimostrazione di una negativa personalità.
La Corte di Cassazione ha dunque ritenuto corretta l’applicazione della recidiva operata dal giudice di prime cure ed insussistente è il vizio della motivazione dedotto.
Nato a Treviso l’11 dicembre 1991, dopo il diploma presso il liceo classico Cavanis di Venezia ha conseguito la laurea in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a Ciclo Unico), presso l’Università degli Studi di Verona nell’anno accademico 2016-2017, con una tesi dal titolo “Profili attuali del contrasto al fenomeno della corruzione e responsabilità degli enti” (Relatore Chia.mo Prof. Avv. Lorenzo Picotti), riguardante la tematica della corruzione e il c.d. caso del Mose di Venezia.
Durante l’ultimo anno universitario ha effettuato uno stage di 180 ore presso l’Ufficio Antimafia della Prefettura UTG di Venezia (dirigente affidatario Dott. N. Manno), partecipando altresì a svariate conferenze, seminari e incontri di studi in materia giuridica.
Dal 30 ottobre 2017 svolge la pratica forense, esclusivamente nel settore penale, presso lo Studio dell’Avv. Antonio Franchini, del Foro di Venezia.
Dal gennaio 2020 è assistente volontario, ex art. 68 c. 4, O.P., presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia (coordinatore Dott. F. Fiorentin).
Nella sessione 2019-2020 consegue l’abilitazione alla professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia.
È membro della Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici”.
Email di contatto: francescomartin.fm@gmail.com
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