La massima.
“In tema di attenuanti generiche, la meritevolezza dell’adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non può mai essere data per presunta. È infatti necessario che il giudice dia apposita motivazione dalla quale emergano gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio” (Cass.pen., sez. IV, 01.12.20, n. 33867).
Il caso.
Il caso trae origine dal ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Brescia contro la sentenza emessa dal Tribunale di Cremona con la quale l’imputato veniva condannato per il reato di furto in abitazione, aggravato ai sensi dell’art. 61, n. 5, c.p alla pena di anni 1 mesi 9 di reclusione ed euro 600 di multa, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche in rapporto di equivalenza rispetto alla contestata recidiva qualificata ed alla ritenuta aggravante.
Il contenuto del ricorso si incentrava nella violazione dell’art. 62-bis c.p. per la carenza ed illogicità della motivazione sulla concessione delle attenuanti generiche in considerazione della gravità del fatto riconosciuta dalla medesima motivazione.
La motivazione.
I giudici di legittimità mutuano un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza (ex multis Cass. Pen., sez. I, 18.05.17, n. 46568) che afferma che – in tema di concessione delle attenuanti generiche ex art. 62-bis c.p. – tale beneficio deve essere ancorato ad una motivazione che dia conto, in positivo, delle ragioni poste a fondamento della scelta di mitigare il trattamento sanzionatorio, non potendosi considerare soddisfacente il generico riferimento alla necessità di adeguare la pena alla entità del fatto.
La Corte di Cassazione ha quindi annullato la sentenza – limitatamente al punto inerente le attenuanti generiche – e ha rinviato al giudice di primo grado poiché, a seguito alle limitazioni introdotte dal D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, il Pubblico ministero può appellare le sentenze di condanna solo quando modifichino il titolo del reato, escludano la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscano una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato, mentre il Procuratore Generale, può proporre appello soltanto nei casi di avocazione o nei casi in cui il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento.
Nel caso in esame quindi, non sussistendone tali ultimi presupposti, il rinvio è stato disposto non al giudice competente per l’appello, come previsto dall’art. 569, c. 4, c.p.p., ma al giudice che ha emesso la sentenza impugnata, cioè il Tribunale di Cremona.
Nato a Treviso l’11 dicembre 1991, dopo il diploma presso il liceo classico Cavanis di Venezia ha conseguito la laurea in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a Ciclo Unico), presso l’Università degli Studi di Verona nell’anno accademico 2016-2017, con una tesi dal titolo “Profili attuali del contrasto al fenomeno della corruzione e responsabilità degli enti” (Relatore Chia.mo Prof. Avv. Lorenzo Picotti), riguardante la tematica della corruzione e il c.d. caso del Mose di Venezia.
Durante l’ultimo anno universitario ha effettuato uno stage di 180 ore presso l’Ufficio Antimafia della Prefettura UTG di Venezia (dirigente affidatario Dott. N. Manno), partecipando altresì a svariate conferenze, seminari e incontri di studi in materia giuridica.
Dal 30 ottobre 2017 svolge la pratica forense, esclusivamente nel settore penale, presso lo Studio dell’Avv. Antonio Franchini, del Foro di Venezia.
Dal gennaio 2020 è assistente volontario, ex art. 68 c. 4, O.P., presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia (coordinatore Dott. F. Fiorentin).
Nella sessione 2019-2020 consegue l’abilitazione alla professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia.
È membro della Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici”.
Email di contatto: francescomartin.fm@gmail.com