martedì, Marzo 19, 2024
Criminal & Compliance

Cass. Pen., Sez. VI, 14 marzo 2022, n. 8599 sul deposito degli atti a mezzo PEC fuori dall’orario di cancelleria

La massima.

Nel caso dell’istanza di riesame depositata a mezzo PEC il termine previsto dall’art. 309, comma 5, c.p.p. non può che decorrere dal momento in cui l’ufficio ha conoscenza della richiesta di riesame, atteso che, diversamente, il procedimento sarebbe dipendente da variabili rimesse alla volontà delle parti, con possibili abusi” (Cass. Pen., Sez. VI, 14.03.2022, n. 8599).

Il caso.

La decisione origina dal ricorso per cassazione presentato da difensore dell’indagato contro l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame che aveva sostituito la misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari nei confronti dell’indagato, ritenuto gravemente indiziato del reato di corruzione propria.
Il gravame si basa sulla violazione dell’art. 309, comma 5, c.p.p. in quanto il Tribunale avrebbe dovuto accogliere la richiesta di inefficacia della misura a causa della inosservanza del termine per la trasmissione degli atti da parte del Pubblico Ministero.
La difesa rileva che sul fatto che la richiesta di riesame era stata trasmessa mediante PEC alla cancelleria del tribunale competente (oltre l’orario di chiusura della stessa) ed il termine di cinque giorni previsto dall’art. 309, comma 5, c.p.p. doveva dunque decorrere dal medesimo giorno, in quanto l’istanza, sebbene depositata oltre l’orario di apertura al pubblico, era comunque pervenuta in orario d’ufficio.
Sempre la difesa ritiene che, anche a far coincidere il dies a quo con il giorno successivo al deposito, il termine sarebbe decorso essendo stati trasmessi gli atti oltre al termine di cinque giorni.

La motivazione.

La Corte, nel ritenere il ricorso infondato, richiama l’orientamento della Corte costituzionale (Cort. Cost., sent. 232/1998) la quale ritiene che: “La scelta compiuta dal legislatore nel 1995 è inequivoca nel senso di sottrarre i tempi del procedimento di riesame ad ogni determinazione degli organi giudiziari che sia non vincolata a termini certi e non disponibili, in modo quindi da assicurare una effettiva garanzia alla persona colpita dalla misura in ordine ai tempi massimi della decisione”.
Orbene il termine previsto dall’art. 309, comma 5, c.p.p. decorre dal momento in cui il Tribunale apprende che una richiesta di riesame è stata presentata e ciò, nel sistema vigente al momento in cui la Corte è intervenuta, si verificava sempre con il deposito in cancelleria della richiesta di riesame, atteso che in quel momento l’ufficio aveva contezza della richiesta della parte.
Quello che non è consentito, secondo la Corte costituzionale, è la creazione di una frattura temporale tra il momento in cui la richiesta viene presentata con il deposito nella cancelleria del tribunale individuato ai sensi dell’art. 309, comma 7, c.p.p. e quello in cui viene comunicato l’avviso all’autorità procedente di trasmissione degli atti presentati ai sensi dell’art. 291 c.p.p.-
Tuttavia, per contrastare l’emergenza legata al Covid-19, è stato emanato il D.L. n.137/2020 che disciplina le disposizioni riguardanti la celebrazione a distanza delle udienze, le modalità di invio degli atti nonché le disposizioni riguardanti le udienze in appello e la disciplina della sospensione dei termini di prescrizione e cautelari.
Come noto, per gli atti diversi da quelli indicati dall’art. 415-bis c.p.p. è possibile perfezionare il deposito mediante invio alla casella PEC della singola cancelleria; difatti il deposto di un atto da parte del difensore inviato tramite PEC viene registrato dal personale di segreteria e di cancelleria degli uffici giudiziari nell’apposito registro per consentire la verifica della tempestività dell’atto e l’effettiva sua riconducibilità ad un soggetto legittimato a proporre l’impugnazione.
A differenza quindi della normativa generale prevista dal codice, quella emergenziale, in ragione della esigenza di limitare l’accesso agli uffici giudiziari, consente di trasmettere l’atto a mezzo PEC ed impone all’ufficio di annotare la data in cui la PEC è ricevuta.
La Corte rileva quindi che:” Si vuole dire che i principi affermati dalla Corte costituzionale, ispirati alla esigenza, come detto, di non creare fratture temporali tra il momento in cui l’ufficio “prende in carico” la richiesta e quello in cui viene trasmesso l’avviso al Pubblico ministero di trasmettere gli atti presentati a norma dell’art. 291 cod. proc. pen., devono essere adattati con un sistema in cui, diversamente dall’impianto del codice di rito, può non esservi coincidenza tra il momento in cui la richiesta è presentata e quello in cui l’Ufficio viene a conoscenza della richiesta in questione. Si tratta di profili che nell’ambito del sistema normativo delineato dal codice sono inscindibilmente connessi, nel senso che al deposito tempestivo della richiesta nella cancelleria del tribunale competente consegue la conoscenza della impugnazione da parte del Tribunale impugnazione e, quindi, automaticamente il decorso del termine previsto per la trasmissione degli atti da parte dell’Autorità procedente, ma che invece possono non coincidere a seguito della entrata in vigore della legge n. 176 del 2020, perché è possibile, al di là del tema della verifica della sua tempestività, che la richiesta venga “presentata” in un dato giorno ma che della stessa l’ufficio venga obiettivamente a conoscenza il giorno successivo”.

Nel caso de quo, dato che il Tribunale ha avuto la materiale conoscenza del deposito dell’istanza di riesame solamente il giorno dopo il deposito, una volta aperta la cancelleria, il termine di cui all’art. 309, comma 5, c.p.p. risulta essere stato rispettato.

La Corte di Cassazione ha quindi rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

La sentenza è qui disponibile Cass. Pen., Sez. VI, 14.03.2022, n. 8599

Francesco Martin

Dopo il diploma presso il liceo classico Cavanis di Venezia ha conseguito la laurea in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a Ciclo Unico), presso l’Università degli Studi di Verona nell’anno accademico 2016-2017, con una tesi dal titolo “Profili attuali del contrasto al fenomeno della corruzione e responsabilità degli enti” (Relatore Chia.mo Prof. Avv. Lorenzo Picotti), riguardante la tematica della corruzione e il caso del Mose di Venezia. Durante l’ultimo anno universitario ha effettuato uno stage di 180 ore presso l’Ufficio Antimafia della Prefettura UTG di Venezia (Dirigente affidatario Dott. N. Manno), partecipando altresì a svariate conferenze, seminari e incontri di studi in materia giuridica. Dal 30 ottobre 2017 ha svolto la pratica forense presso lo Studio dell’Avv. Antonio Franchini, del Foro di Venezia. Da gennaio a luglio 2020 ha ricoperto il ruolo di assistente volontario presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia (coordinatore Dott. F. Fiorentin) dove approfondisce le tematiche legate all'esecuzione della pena e alla vita dei detenuti e internati all'interno degli istituti penitenziari. Nella sessione 2019-2020 ha conseguito l’abilitazione alla professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia e dal 9 novembre 2020 è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Venezia. Da gennaio a settembre 2021 ha svolto la professione di avvocato presso lo Studio BM&A - sede di Treviso e da settembre 2021 è associate dell'area penale presso MDA Studio Legale e Tributario - sede di Venezia. Da gennaio 2022 è Cultore di materia di diritto penale 1 e 2 presso l'Università degli Studi di Udine (Prof. Avv. Enrico Amati). Nel luglio 2022 è risultato vincitore della borsa di ricerca senior (IUS/16 Diritto processuale penale), presso l'Università degli Studi di Udine, nell'ambito del progetto UNI4JUSTICE. Nel dicembre 2023 ha frequentato il corso "Sostenibilità e modelli 231. Il ruolo dell'organismo di vigilanza" - SDA Bocconi. È socio della Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici”, e socio A.I.G.A. - sede di Venezia.

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