Come attuare legittimamente un sistema di distribuzione selettiva: due casi a confronto
A cura di Francesca Bazzani
Introduzione
Nel settore della moda di lusso, l’utilizzo di sistemi di distribuzione selettiva è una pratica comune[1]finalizzata a proteggere non solo le modalità di vendita, ma anche l’immagine ed il prestigio dei marchi rinomati. Questi sistemi mirano a differenziare i prodotti distribuiti da quelli disponibili direttamente sul mercato per i consumatori rendendo, di conseguenza, i prodotti di lusso non facilmente reperibili, distinti dai marchi commercialmente più diffusi e spesso disponibili solo in punti vendita selezionati, che trattano beni di valore analogo e di pari prestigio.
Le specifiche dei sistemi di distribuzione selettiva sono state identificate dalla giurisprudenza comunitaria attraverso varie sentenze, che hanno nel tempo delineato in che modo tali sistemi possano costituire una deroga legittima al divieto imposto dal diritto antitrust, di porre in essere “restrizioni verticali”. La giurisprudenza nazionale ha quindi recepito ed applicato ai casi concreti, i principi sviluppati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”), definendo come attuare un sistema di distribuzione selettiva legittimo e conforme alle normative sulla concorrenza e sulla proprietà intellettuale.
All’interno del quadro normativo antitrust, si identificano come accordi verticali le intese stipulate tra imprese che operano in segmenti differenti della catena produttiva e distributiva, quali ad esempio, i contratti di distribuzione esclusiva, quelli di distribuzione selettiva o il franchising.
Nel 2022, la Commissione Europea ha adottato un nuovo Regolamento UE in materia di accordi verticali[2] (di seguito “VBER” o “Regolamento”), insieme ai relativi Orientamenti sulle restrizioni verticali[3] (di seguito anche “Linee Guida” o “Orientamenti”), con l’obiettivo di aggiornare la normativa ai recenti sviluppi dei mercati distributivi, in ragione del crescente utilizzo dei canali digitali.
Al fine di approfondire e comprendere come nella pratica non sia sempre semplice instaurare e mantenere un sistema di distribuzione selettiva per prodotti di lusso, la giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, ha descritto in termini concreti quali siano le caratteristiche legittime di tali sistemi distributivi.
La distribuzione selettiva alla luce del Regolamento UE 2022/790 “VBER”
La definizione e le caratteristiche di un sistema di distribuzione selettiva originano dalla normativa comunitaria in materia di tutela della concorrenza.
L’attuale disciplina definisce la distribuzione selettiva come “un sistema di distribuzione nel quale il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema[4]”.
L’adozione di questo particolare regime di distribuzione risponde alle esigenze da parte del produttore di volercontrollare e monitorare le modalità di vendita del proprio prodotto, in genere prestigioso, di elevata qualità e/o di notevole valore tecnologico, nonché selezionare, sulla base di determinati requisiti, i distributori che si impegneranno a mantenere un certo standard qualitativo, necessario per poter accedere al network distributivo. Pertanto, il territorio in cui il produttore deciderà di ricorrere ad un sistema di distribuzione selettiva vedrà dividersi le imprese distributrici in: distributori autorizzati e distributori non autorizzati. Infatti, per quanto questo sistema possa apparire come una forma di restrizione della concorrenza, il Regolamento VBER interviene a legittimare e disciplinare questa modalità di vendita, perché controbilanciata da esigenze che possono giustificare le restrizioni verticali previste.
Naturalmente, la CGUE[5] si è più volte espressa sulla delimitazione dell’ambito di applicazione di questi sistemi, al fine di definire chiaramente, i requisiti necessari per poter essere ammessi al sistema di distribuzione selettiva: nel celebre caso “Coty”, gruppo di società multinazionale leader nella produzione di cosmetici di lusso, era stata prevista una clausola contrattuale con la quale i distributori autorizzati non avrebbero potuto vendere i prodotti Coty sulle piattaforme terze di vendite online (cd. Marketplaces). Lo scopo perseguito era quello di tutelare l’immagine ed il prestigio dei prodotti, impedendo che gli stessi potessero finire sulle piattaforme terze ed essere venduti alla pari di altra merce di ogni genere e specie. Questa restrizione venne giudicata legittima, perché non eccessivamente gravosa ed idonea a tutelare l’aura di prestigio che contraddistingueva i prodotti Coty.
Gli Orientamenti della Commissione dettagliano maggiormente quali siano le caratteristiche necessarie affinché si possa instaurare un sistema di distribuzione selettiva legittimo: le restrizioni devono risultare utilialla salvaguardia della natura del prodotto, la selezione dei distributori deve essere effettuata sulla base di criteri oggettivi, applicati in modo non discriminatorio ed uniforme a tutti i rivenditori, e non eccederequanto sia necessario per tutelare l’aura di prestigio del prodotto[6].
A riprova di quanto affermato negli Orientamenti, nel caso “Pierre Fabre”[7], il produttore imponeva ai distributori che il prodotto fosse venduto necessariamente alla presenza di personale laureato in farmacia, escludendo, in qualsiasi forma, le vendite online. La Corte bocciò tale previsione ingiustificata ed eccessivamente restrittiva, perché non contribuiva a preservare l’immagine di prestigio dei prodotti venduti.
Raccogliendo l’esperienza casistica degli operatori ed i risultati giunti mediante le consultazioni pubbliche, svolte per l’aggiornamento della normativa di riferimento, l’attuale Regolamento prevede che possano beneficiare dell’esenzione le restrizioni che si limitano a disciplinare e regolare il ricorso ai canali di vendita online, senza vietarne l’utilizzo in maniera assoluta e, al fine di preservare gli investimenti richiesti ai distributori che operano mediante negozi fisici, la Commissione ha deciso di consentire l’applicazione di prezzi all’ingrosso diversi, a seconda che i prodotti siano destinati ad essere venduti su internet o in un negozio fisico (il c.d. dual pricing).
In più, l’attuale Regolamento permette che i produttori possano limitare le vendite dei clienti dei propri distributori (imponendo limitazioni anche alle imprese che acquistano prodotti dagli stessi distributori) e introdurre criteri selettivi differenziati per le vendite online e offline.
I criteri qualitativi che solitamente vengono imposti in questi sistemi distributivi riguardano, a titolo esemplificativo: le caratteristiche dei locali nei quali si svolgono le vendite; l’esposizione della merce in appositi punti dedicati; le modalità di presentazione; l’ubicazione del punto vendita in zone urbane specifiche e l’assistenza del personale nelle operazioni di vendita e post-vendita. Questi criteri hanno formato oggetto di analisi specifica in due casi particolari, “Chanel vs Tigotà” e “Chantecler vs Gens Aurea”, che hanno dato modo ai giudici nazionali di precisare e delimitare la disciplina dei sistemi di distribuzione selettiva, concretizzando cosa sia necessario verificare perché il network possa ritenersi realmente e legittimamente selettivo.
La Corte di Cassazione identifica i limiti applicativi di un sistema di distribuzione selettiva: il caso “Chantecler vs Gens Aurea”
Con l’ordinanza n. 7378/2023[8], la Corte di Cassazione ha delimitato i confini della disciplina della distribuzione selettiva per la vicenda che ha visto opposte le società Chantecler S.p.A. (di seguito, “Chantecler”) e Gens Aurea S.p.A. (di seguito, “Gens Aurea”).
Il caso originava dalle domande proposte da Chantecler volte ad ottenere un’inibitoria nei confronti di Gens Aurea alla promozione, distribuzione e commercializzazione dei prodotti sotto il proprio marchio, perché effettuate senza alcuna autorizzazione e senza inclusione nel presunto sistema di distribuzione selettiva istituito da Chantecler.
Chantecler affermava che Gens Aurea avesse contraffatto i prodotti sotto il proprio a marchio, arrecando così un pregiudizio alla reputazione della nota maison di gioielleria, violando, altresì, una presunta rete di distribuzione selettiva, di cui Chantecler asseriva l’esistenza.
Il procedimento, che è proseguito fino al giudizio di legittimità, si è concluso negando le affermazioni di Chantecler e tracciando dei limiti ben precisi circa la prova della sussistenza di un sistema di distribuzione selettiva: premesso che, la Direttiva 2008/95/CE ha introdotto nell’ordinamento comunitario il principio di “esaurimento del marchio” (recepito nell’ordinamento italiano dall’art. 5 del codice della proprietà industriale) per cui, una volta che il titolare di uno o più diritti di proprietà industriale immette in commercio, direttamente o con il proprio consenso, un bene nel territorio dell’UE, questi perde la relativa facoltà di privativa e nessuna esclusiva potrà essere vantata dal titolare dei diritti, una volta avvenuto il primo atto di messa in commercio del bene, salvo l’eventualità in cui ricorrano dei “motivi legittimi” per cui il titolare possa opporsi alle successive commercializzazioni dei prodotti.
Un sistema di distribuzione selettiva può essere ricompreso tra i “motivi legittimi” di cui all’art. 5, co. 2 c.p.i., ostativi all’esaurimento del marchio in virtù del quale, il fornitore si impegna a vendere i prodotti, necessariamente di lusso e/o prestigiosi, oggetto del contratto, soltanto a distributori selezionati sulla base di criteri specifici e questi, a loro volta, si impegnano a non rivendere tali prodotti a distributori non autorizzati nel territorio in cui il fornitore ha instaurato un sistema di distribuzione selettiva. Nello specifico, Chantecler aveva semplicemente indicato quali caratteristiche dovessero avere i propri rivenditori per distribuire i prodotti contraddistinti dal proprio marchio, senza però applicare in concreto tali caratteristiche (a titolo esemplificativo, ricorrevano clausole contrattuali su: l’ubicazione in capoluoghi di provincia o zone di rilevante interesse turistico commerciale; la tradizione consolidata nel tempo dell’esercizio commerciale; l’elevata qualità del servizio offerto ai clienti e commercializzazione autorizzata di importanti marchi di gioielleria come, Bulgari, Pomellato, Chopard e Cartier).
Nei contratti di distribuzione non vi era menzione dei criteri in forza dei quali i rivenditori fossero stati selezionati e neanche l’assunzione da parte del rivenditore stesso dell’impegno di mantenere tali criteri per tutta la durata del rapporto. In più, la Corte d’Appello aveva accertato che 25 esercizi commerciali su 99presenti nell’elenco prodotto in giudizio da Chantecler dei proprio distributori autorizzati, non si conformassero ai requisiti richiesti per poter essere autorizzati ad entrare nel network distributivo.
In conclusione, è emerso che non vi fosse la prova della sussistenza, nonché dell’attuazione di un sistema di distribuzione selettiva per i gioielli Chantecler; il fatto che Gens Aurea non possedesse i requisiti generalmente richiesti da Chantecler per distribuire i propri prodotti non era, di per sé, sufficiente per ritenere che stesse danneggiando la reputazione di Chantecler. Inoltre, questo non poteva giustificare un sistema di distribuzione selettiva né essere la base per accertare l’esistenza di tale sistema e assurgere da titolo per impedire la commercializzazione dei prodotti.
Nel caso in cui non sia data la prova da parte del presunto produttore o non venga accertata l’implementazione di un sistema di distribuzione selettiva, la verifica in concreto delle modalità di venditasarà il criterio sufficiente a stabilire, se tali modalità arrechino o meno un pregiudizio al titolare dei diritti di privativa, in caso contrario, non ricorrerà alcun danno e troverà applicazione il principio di esaurimento del marchio.
Come le modalità di vendita possono realmente pregiudicare il titolare dei diritti: il caso “Chanel vs Tigotà”
Durante i primi mesi del 2023, si è svolta, quasi parallelamente al caso “Chantecler”, un’altra disputa riguardante l’implementazione di un sistema di distribuzione selettiva: quella tra “Chanel vs Tigotà”.
Più precisamente, con provvedimento del 17 marzo 2023, il Tribunale di Milano[9] ha rigettato il reclamo presentato da Gottardo S.p.A. (di seguito, “Gottardo”) contro le società Chanel S.a.s. e Chanel S.r.l. (congiuntamente o singolarmente anche, “Chanel”) che avevano precedentemente ottenuto un’ordinanza cautelare, perché le modalità di vendita adottate dal drugstore “Tigotà” – di titolarità della Gottardo – sono state giudicate lesive del marchio della nota maison francese.
Chanel ha agito in giudizio, in sede cautelare, per ottenere un’inibitoria nei confronti della Gottardo, alla pubblicizzazione, commercializzazione e offerta in vendita di tutti i prodotti a marchio Chanel.
Anche in questo caso, la Gottardo aveva eccepito l’esaurimento del marchio e l’impossibilità di invocare i “motivi legittimi” di cui all’art. 5, co. 2 c.p.i.
Chanel era venuta a conoscenza che Tigotà avesse pubblicato uno spot pubblicitario denominato “Tigotà parla di te”, all’interno del quale il profumo “Chance” da questa prodotto, era stato raffigurato ed accostato ad altri beni per la pulizia della casa di varia natura. Nonostante diverse lettere di diffida inviate da Chanel nei confronti di Gottardo, la ricorrente era altresì venuta a conoscenza che i drugstores avessero iniziato a commercializzare i prodotti Chanel al di fuori della rete distributiva autorizzata e senza rispettare le modalità di vendita richieste per la distribuzione di tali prodotti.
Il Tribunale di Milano ha riconosciuto Chanel come un marchio celebre e accertato l’esistenza di un sistema di distribuzione selettiva adottato, per la distribuzione dei suoi prodotti, ravvisando nelle condotte poste in essere da Tigotà, gli estremi della contraffazione per le modalità di vendita adottate.
Più precisamente, il marchio Chanel è pacificamente riconosciuto come un leader nel settore del lusso ed anche, come un marchio celebre[10]. Da questo deriva il fatto che il collegamento “marchio-prodotto” sia divenuto secondario rispetto al collegamento “marchio-produttore”, comportando una tutela più ampia, “extra-merceologica” di questo segno. Tale caratteristica giustifica il ricorso ad un sistema di distribuzione selettiva volto a proteggere l’aura di prestigio e l’immagine di lusso associate ai prodotti Chanel. Infatti, proprio l’aura di prestigio e l’immagine di lusso vengono adottati dal Tribunale come criteri cardine per verificare la liceità e il fine di adottare un sistema di distribuzione selettiva.
Le clausole principali del contratto di distribuzione dei prodotti Chanel prevedono che, il distributore debba impegnarsi a vendere esclusivamente all’interno del punto vendita tali prodotti, a non esporli nelle vicinanze di altri marchi che possano svilire l’immagine del marchio che li contraddistingue; i prodotti vanno presentati in un apposito mobile dedicato, se il negozio non è specializzato nella vendita degli stessi; il servizio di vendita offerto deve essere adeguato e proporzionato alla superficie di vendita ed al numero di marchi presenti; il personale di vendita deve avere una formazione adeguata e comprovata; infine, il distributore deve altresì impegnarsi, ad offrire alla clientela prodotti perfettamente conservati e dotati della loro presentazione originale.
Riconosciute la natura prestigiosa del marchio e la sussistenza di un sistema di distribuzione selettiva legittimo, nel caso di specie, le modalità di vendita impiegate dagli esercizi Tigotà ricomprendevano il posizionamento dei prodotti a marchio Chanel nelle immediate vicinanze di altri prodotti anche a basso costo, dalle tipologie più disparate, che ledevano l’immagine dei prodotti di lusso; i profumi del noto marchio francese potevano essere trovati accanto ai prodotti per l’igiene della casa, per la cura della persona o per la cosmesi, aventi natura e qualità differenti; vi era la mancanza di personale qualificato e specializzato nella cosmesi di lusso, necessario per trasmettere le corrette informazioni alla clientela.
L’aver individuato un’area, all’interno dei negozi, dedicata soltanto ai prodotti di profumeria rispetto gli altri prodotti disponibili all’interno dell’esercizio, non è risultato sufficiente a salvaguardare l’immagine del marchio Chanel perché, nel caso di specie, tale area non impediva la confusione rispetto gli altri reparti, apparendo integrata all’intero supermercato e denotando la mancanza di una reale separazione dei settori merceologici.
Alla luce di quanto esposto, nelle due ordinanze del Tribunale di Milano è emerso che i drugstore Tigotà richiamavano, in concreto, l’allestimento di un supermercato e non di un negozio di lusso. Gli ambienti interni suddivisi da lunghi corridoi con ingenti quantità di merci, disposte in ordine casuale e senza alcun distanziamento, la modalità di acquisto “self-service” da parte dei clienti e l’assenza di apposito personale addetto all’assistenza del cliente, svilivano l’immagine prestigiosa del noto marchio francese.
Riconoscere tali modalità di vendita lesive delle caratteristiche del marchio violato, consente al titolare dei diritti di esclusiva di impedire ad un rivenditore non autorizzato l’ulteriore rivendita dei propri prodotti.
Conclusioni
I due casi analizzati rappresentano due esempi importanti su come instaurare ed attuare legittimamente un sistema di distribuzione selettiva. Sicuramente tutti i provvedimenti citati aiutano ad individuare correttamente i limiti e le caratteristiche che devono ricorrere per far sì, che un network di distribuzione selettiva possa considerarsi legittimo e quindi tutelabile da chi ne pregiudichi il corretto funzionamento.
Per le vendite online, i fornitori dovranno prestare attenzione a che altri distributori non offrano alla vendita prodotti di qualità e caratteristiche diverse da quelli ricadenti nell’ambito del network distributivo, che i link presenti sulla pagina web non rimandino ad altri siti di vendita estranei all’oggetto del contratto distributivo, ed infine, che il servizio clienti risulti adeguato e professionale rispetto ai prodotti offerti.
Per le vendite brick-and-mortar, tutte le specifiche delineate nei casi presi in esame dovranno essere provate dal titolare del marchio oggetto di distribuzione selettiva, senza poter invocare l’esistenza di tale sistema sulla base della sola qualità o notorietà dei prodotti distribuiti.
[1] Per un’interessante analisi dei sistemi di distribuzione selettiva nel settore della moda, si veda E. Scotto di Carlo, “Il sistema di distribuzione selettiva nelle industrie della moda”, luglio 2021, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/distribuzione-selettiva-e-moda-39246
[2] Regolamento (UE) 2022/790 della Commissione del 10 maggio 2022, in sostituzione del precedente Regolamento (UE) 2010/330 della Commissione. È importante sottolineare che laddove le quote di mercato del fornitore e del distributore non superino il 30% nel mercato rilevante, gli accordi verticali beneficeranno dell’esenzione automatica, cioè di una presunzione di liceità, a condizione altresì che essi non contengano restrizioni fondamentali vietate dal Regolamento.
[3] Orientamenti sulle restrizioni verticali 2022/C 248/01.
[4] Art. 1, para. 1, lett. g) Reg. VBER.
[5] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, C-230/16, 6 dicembre 2017.
[6] Si veda il paragrafo 4.6.2.3. delle Linee Guida, “Orientamenti per la valutazione individuale degli accordi di distribuzione selettiva”.
[7] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, C-439/09, 13 ottobre 2011.
[8] Cass. civ., sez. I, Ord. 14 marzo 2023 n. 7378.
[9] Trib. Milano, sez. Impresa, Ord. 2 gennaio 2023, n. 36033; confermata in sede di reclamo con Trib. Milano, Sez. Impresa, Ord. 17 marzo 2023, n. 2165.
[10] “Chanel symbolise le luxe français” III French Court, Court of Appeal, Paris, December 17, 1992, Chanel/Bouton d’Or.