venerdì, Luglio 26, 2024
Il Poliedro Religioni, Diritti, Laicità

Ordine pubblico e delibazione delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale nella giurisprudenza italiana

A cura di Antonio Ventrone

 

La nozione di ordine pubblico: brevi considerazioni introduttive.

Il concetto di ordine pubblico[1], “sicuramente centrale per ciascun ordinamento”[2], rappresenta al tempo stesso una delle nozioni maggiormente sfuggenti, o meglio, una “delle più complesse e difficili di tutta la scienza del diritto”[3].

Inopinabilmente, ad inverare un tale giudizio è la consapevolezza delle molte implicazioni giuridiche ed ideologiche del concetto che, non a caso, proprio in ragione della ricchezza indefinita dei suoi contenuti, costituisce da sempre uno dei terreni di elezione della riflessione giuspubblicistica.

Sul piano del diritto positivo, poi, ad offrire ragione del carattere sfuggente da sempre attribuito al concetto de quoha concorso l’ “assenza, nel nostro ordinamento, di una definizione unitaria di ordine pubblico e di una formula che vada a caratterizzarlo sul piano del contenuto, ma anche della molteplicità di significati che possono assumere il sostantivo, ordine, e l’aggettivo, pubblico, termini peraltro così ricchi di implicazioni teoriche e così carichi di suggestioni da spingere inevitabilmente a riflettere sulle radici e sui valori, su cui si fonda la nostra civiltà, e quindi sull’intero fenomeno giuridico”[4].

Ciononostante, come evidenziato già anni fa dalla dottrina più attenta, proprio l’indeterminatezza non solo rappresenta un elemento proprio del linguaggio giuridico, non a caso definito come “il luogo dell’equivocità”[5], ma, con riferimento al concetto in esame, costituisce una sua caratteristica peculiare, in quanto necessaria, nella volontà del legislatore, a garantirne un’utile applicazione[6].

Del resto, la stessa Corte di Cassazione, pur nella consapevolezza che, in ragione della sua indeterminatezza, la nozione di ordine pubblico può “comportare un margine di incertezza e di opinabilità”[7], avverte altresì che “ogni sbandamento o eccesso”[8] può comunque essere superato “ove si tenga presente che trattasi di nozione pur sempre ancorata all’ordinamento [ … ] in quanto va da esso desunta tramite i normali, pur se più raffinati e complessi, procedimenti ermeneutici propri dell’ordinamento stesso”[9].

La natura ostativa dell’ordine pubblico alla delibazione delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale.

Riferito all’ambito materiale in esame, ossia quello del procedimento di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità, l’ancoraggio della nozione di ordine pubblico al sistema ordinamentale così marcata dall’indirizzo giurisprudenziale sopra riassunto ha trovato negli anni successivi una sua più puntuale specificazione nella sentenza n. 18/1982 della Corte costituzionale[10]. Si tratta di una sentenza certamente nota e assai annotata[11] ma che, anche per il fatto di essere stata poi recepita dal legislatore pattizio ed aver ispirato la nuova disciplina in tema[12], conserva una sua indiscussa centralità nella trattazione del tema. È in occasione di tale pronuncia che i giudici costituzionali, nel censurare la normativa allora vigente[13], in ragione del carattere meramente formale attribuito al controllo operato a mezzo del procedimento di delibazione in uso al tempo[14], giunsero ad introdurre, in seno allo stesso, quell’accertamento di conformità delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale all’ordine pubblico, che rappresenta oggi uno dei profili maggiormente peculiari del procedimento in questione. E tale accertamento, ritenuto dalla stessa Corte assolutamente inderogabile, venne da questa interpretato come riferibile ad un principio “supremo”, posto “a presidio della sovranità dello Stato”, che si esplica inibendo il riconoscimento agli effetti civili di atti contenenti disposizioni contrastanti con i principi di ordine pubblico. Tale dovendo intendersi l’insieme delle “regole fondamentali poste dalla Costituzione e dalle leggi a base degli istituti giuridici in cui si articola l’ordinamento positivo nel suo perenne adeguarsi all’evoluzione della società”[15].

Pur nella sua valenza paradigmatica, è peraltro noto che tale sentenza ha non di meno alimentato un importante contrasto giurisprudenziale che, per molto tempo, ha visto i supremi giudici di legittimità contrapporsi ai garanti della legalità costituzionale, sì da rendere l’applicazione della clausola in esame all’ordinamento canonico oggetto di un iterabbastanza tortuoso e accidentato.

In effetti, nonostante la sostanziale corrispondenza della definizione di “ordine pubblico” proposta dalla Consulta a quelle fatta propria dalla Corte di Cassazione in relazione al riconoscimento delle sentenze straniere, fin nell’immediato gli Ermellini ebbero ad offrire un’interpretazione così tanto restrittiva del limite in questione, che l’idea, pur largamente diffusasi tra gli studiosi, di un uguale limite opponibile al riconoscimento dell’efficacia delle sentenze straniere ovvero al riconoscimento di quelle canoniche si dimostrò ben presto assolutamente fallace. Si parlò piuttosto di “ordine pubblico concordatario”[16], con ciò alludendo alla creazione di un ordine pubblico “speciale”, operante solo nei rapporti Stato e Chiesa cattolica per quanto attiene alle vicende delle nullità matrimoniali. Ed infatti, diversamente da quanto era dato registrare in occasione del riconoscimento dell’efficacia delle sentenze straniere, per i giudici della Cassazione “ai fini della dichiarazione di esecutività (della sentenza canonica di nullità matrimoniale), non ha portata impeditiva una pur rilevante differenza di disciplina fra le cause di nullità del matrimonio considerate nei due ordinamenti, che non superi quel livello di maggiore disponibilità tipico dei rapporti tra Stato e Chiesa Cattolica”[17]. In forza dell’asserita “permeabilità” dell’ordinamento interno ai principi dell’ordinamento canonico[18], permeabilità non consentita nei rapporti con gli ordinamenti stranieri e, dunque, nei confronti delle sentenze straniere oggetto di delibazione[19], per molto tempo la maggior parte delle sentenze di nullità canonica ha trovato ingresso nel nostro ordinamento. A lungo, infatti, l’unico principio-limite opponibile a tali sentenze in sede di delibazione è stato, secondo la giurisprudenza di legittimità, la tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole del coniuge. Sicché, le sole sentenze di nullità matrimoniale che non trovavano riconoscimento in seno al nostro ordinamento erano quelle pronunciate per simulazione unilaterale non conosciuta né conoscibile dal coniuge “incolpevole”, il quale, però, aveva l’onere di sollevare in giudizio la relativa eccezione. Ciò alla luce del principio-limite costituito dal disposto dell’art. 123 c.c. che, nel prevedere l’impugnazione del matrimonio in tutti i casi in cui “gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso discendenti”, finisce perciò stesso per sanzionare con l’invalidità solo l’accordo simulato e non anche la simulazione unilaterale.

A segnare un cambio di rotta sostanziale nel panorama giurisprudenziale appena delineato è una successiva pronuncia che, resa dalla stessa Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, nel luglio del 2008[20], ha per la prima volta circoscritto i casi di mancato riconoscimento ai sensi della legge italiana degli effetti delle pronunce canoniche di nullità del matrimonio, sostenendo che la delibazione delle sentenze ecclesiastiche potrebbe essere negata dalla Corte d’appello nei soli casi di incompatibilità assoluta con l’ordine pubblico, e cioé quando le cause di nullità accertate nella sentenza oggetto di delibazione “non siano del tutto diverse da quelle con analoga incidenza per il sistema interno sulla formazione e sulla manifestazione del consenso”. Si tratterà, invece, si parlerà di incompatibilità relativa “allorché i fatti a base della disciplina applicata nella pronuncia di cui è chiesta l’esecutività e nelle statuizioni di questa, anche in rapporto alla causa petendi della domanda accolta, non [siano] in alcun modo assimilabili a quelli che in astratto potrebbero avere rilievo o effetti analoghi in Italia”[21].  Nel caso di specie, la Corte ritiene che ricorra un contrasto assoluto con l’ordine pubblico italiano, stante l’assoluta e non componibile divergenza tra le qualità del coniuge rilevanti per il diritto civile (art. 122 c.c.) e le qualità rilevanti nel diritto canonico (can. 1097 §2)[22].

Già per tale profilo assolutamente significativa, questa stessa pronuncia presenta in realtà ulteriori elementi di novità che, fatti oggetto di successiva elaborazione giurisprudenziale, hanno poi concorso all’individuazione, quale principio di ordine pubblico, della tutela della comunione materiale e spirituale tra i coniugi, la cui esistenza – ed è questo il punto – viene per la prima volta ritenuta provata dalla convivenza o coabitazione tra i coniugi “prolungata”[23]. Si inaugura così un filone giurisprudenziale che, sebbene con momenti di arresto[24], sviluppandosi attraverso una serie assai significativa di pronunce[25], sembrava aver trovato un suo consolidamento nella sentenza con la quale, ancora di recente, la Cassazione ha statuito che, in caso di matrimonio concordatario, laddove la convivenza tra i coniugi abbia avuto una durata di almeno tre anni, non sarà possibile procedere con la delibazione della sentenza di nullità rilasciata dal tribunale ecclesiastico per un vizio genetico del “matrimonio-atto”[26].

Da ultimo, però, a dimostrazione del carattere assolutamente osmotico dei rapporti tra il sistema ordinamentale interno e quello canonico, la Corte di Cassazione, intervenendo nuovamente in materia di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, con l’ordinanza n. 149/2023  ha chiarito che la convivenza ultratriennale non osta alla delibazione della sentenza ecclesiastica in presenza di vizi genetici del “matrimonio-atto” che siano presidiati da nullità anche nell’ordinamento italiano. In particolare, discostandosi da un’interpretazione assolutamente rigida del principio di ordine pubblico[27], la Corte ha negato la delibazione della sentenza di nullità fondata sull’incapacità di natura psichica a contrarre di uno dei nubendi[28], trattandosi di un motivo invalidante anche nell’ordinamento italiano[29] e non sanabile dalla protrazione della convivenza coniugale prima della relativa scoperta. In questo modo, scavando nel solco già tracciato da un’ancora recente pronuncia[30], i supremi giudici di legittimità ribadiscono che, in caso di delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, non esiste, nell’ordinamento giuridico italiano, un principio di ordine pubblico per il quale il vizio che invalida il matrimonio può essere fatto valere solo dal coniuge il cui consenso sia viziato; e ciò perché ad essere  preminente è l’esigenza di rimuovere il vincolo matrimoniale prodotto da un atto inficiato da un vizio di natura psichica[31].

Delibazione e ordine pubblico: a proposito di una recente pronuncia della suprema Corte di Cassazione.

Torna invece ad occuparsi di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole del coniuge l’ordinanza con cui, ancora di recente, la Corte di Cassazione ha negato la delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio pronunciata in ragione della conclusione di un matrimonio condizionato[32]. In effetti, la decisione, che segue il rifiuto opposto alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio del Tribunale Ecclesiastico Regionale Calabro dalla Corte d’appello competente a riconoscerne gli effetti sul piano civile, ne ripete le motivazioni, spiegando che, nel caso di specie, l’elemento ostativo alla delibazione deve rintracciarsi nella violazione dell’ordine pubblico. E ciò perché il ricorrente ha palesemente violato l’affidamento incolpevole e la buona fede della moglie. Questa, infatti, non conosceva la condizione de futuro apposta alla validità del vincolo dal coniuge (consistente nella contrazione del matrimonio sub condicione del mutamento di comportamento della moglie post nuptias in termini di “maggiore affettività”). Né, nel corso del giudizio, è stata data prova di tale conoscenza, posto che quelle raccolte erano state solo testimonianze de relato circa tale intento del marito, non attenendo affatto alla conoscenza di questo atteggiamento mentale da parte della consorte.

Peraltro, nel tornare in questo modo a riflettere sulla clausola dell’ordine pubblico, la Corte finisce qui per intersecare tale tema con altro da sempre oggetto di particolare interesse da parte dei cultori di diritto canonico, ossia il matrimonio condizionato[33]. Non a caso, nel corpo della decisione la Cassazione ripete i contenuti del canone 1102 c.j.c., che contempla l’ipotesi di apposizione di una condizione al matrimonio, rimarcando quindi la diversità delle conseguenze che la disciplina canonistica riconnette all’apposizione di una condizione de futuro, ovvero de praeterito vel de presenti. Ripercorrendo un’ormai risalente elaborazione giurisprudenziale, sempre la Corte passa poi a ricordare come, in tema di delibazione delle sentenze canoniche dichiarative della nullità del matrimonio concordatario, siano stati da anni delineati i confini tra l’ordinamento civile e quello canonico, tenendo distinte le peculiarità proprie di ciascuno. Ed è in quest’àmbito che, come opportunamente rimarcato dai giudici cassazionisti, si inseriscono altresì le pronunce che accordano la delibazione della sentenza che, come nel caso di specie, sancisce la nullità del matrimonio condizionato, ma solo a condizione che le esclusioni e le condizioni apposte da uno dei due coniugi al vincolo matrimoniale non siano rimaste sul piano di una mera riserva mentale, ma siano state manifestate all’altro, a prescindere dalle modalità di tale manifestazione. E cioè a prescindere dal fatto che questi si sia limitato a prenderne atto, ovvero abbia positivamente consentito alla difformità fra volontà e dichiarazione. Sicché, l’eccezione di contrarietà all’ordine pubblico ostativa alla delibazione non potrà essere sollevata né tantomeno accolta tutte le volte in cui l’esclusione, sia pure unilaterale, di un bonum matrimonii‘ “sia stata portata a conoscenza dell’altro coniuge prima della celebrazione del matrimonio, o se questo coniuge ne abbia comunque preso atto, ovvero quando vi siano stati elementi rivelatori di quell’atteggiamento psichico non percepiti dall’altro coniuge solo per sua colpa grave, da valutarsi in concreto”[34]. Spiegando conseguentemente la ratio decidendi, la suprema Corte di Cassazione, riprendendo posizioni dalla stessa espresse sul punto già in precedenti pronunce, chiarisce definitivamente che, in casi come quello oggetto di cognizione, l’opposizione del fermo rifiuto alla delibazione della relativa sentenza ecclesiastica di nullità deve essere rintracciata nell’esigenza di tutelare la buona fede e l’affidamento incolpevole dell’altro coniuge, che, come nel caso di specie, risultano palesemente violati laddove l’intentio contraria di uno solo dei coniugi non sia portata a conoscenza dell’altro, anche prima del matrimonio, ovvero allorquando vi siano stati concreti elementi rivelatori di tale atteggiamento psichico non percepiti dall’altro coniuge solo per sua colpa grave.

Spostando, quindi, l’attenzione sui poteri che, rispetto a tale accertamento, il giudice è chiamato ad esercitare, la Cassazione, premesso che giudicante è tenuto ad accertare la conoscenza o l’oggettiva conoscibilità della condizione da parte del coniuge in modo autonomo[35], chiarisce altresì che tale indagine deve essere condotta “con esclusivo riferimento alla pronuncia da delibare ed agli atti del processo medesimo eventualmente acquisiti, essendovi invero luogo, in fase di delibazione, ad alcuna integrazione di attività istruttoria”[36]. Sicché, quello effettuato dal giudice si atteggia come un apprezzamento di fatto, di per sé sottratto al sindacato di legittimità[37].

Certamente, in ragione del contenuto decisorio, l’ordinanza in commento ben si riallaccia a quel filone giurisprudenziale di cui si è detto in precedenza, rimarcando il rifiuto di riconoscimento che, in sede di delibazione, è possibile opporre alle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale allorquando le stesse siano state pronunciate quale conseguenza di una simulazione unilaterale non conosciuta né conoscibile dal coniuge “incolpevole”. In questo senso, quindi, essa ribadisce il valore di principio limite già riconosciuto all’art. 123 c.c., che censura come invalido solo l’accordo simulato e non anche la simulazione unilaterale.

Ma, proprio in quanto rafforzativa di un’elaborazione giurisprudenziale ormai risalente, e così definitivamente consolidata, l’ordinanza in commento finisce per ciò stesso per contribuire a riempire di contenuto la nozione di “ordine pubblico” rilevante nei rapporti ordinamentali Stato/Chiesa cattolica. Sicché, almeno su tale piano, risulta ribadita e soddisfatta quell’esigenza di ancoraggio del concetto de quo al sistema ordinamentale, che vale a sottrarlo da quelle accuse di indeterminatezza che continuamente ritornano nella riflessione dottrinale in argomento.

Al tempo stesso, nel pronunciarsi in merito alla delibazione di una sentenza di nullità motivata alla luce della condicio de futuro apposta da uno dei coniugi al matrimonio, la Cassazione, che rigetta il ricorso e con ciò la possibilità di riconoscerne gli effetti sul piano civilistico, ribadisce lo stacco che, pur in un sistema relazionale sempre più osmotico, l’ordinamento italiano mantiene rispetto a quello canonico, allorquando si tratti di tutelare i principi fondanti la propria identità giuridica e culturale. In questa parte, insomma, l’ordinanza in commento tiene fermo quel distinguo tra casi di incompatibilità assoluta ovvero relativa con l’ordine pubblico che rifiutando di riconoscere esecutività alle sentenze di nullità basate su fatti che “non [siano] in alcun modo assimilabili a quelli che in astratto potrebbero avere rilievo o effetti analoghi in Italia”[38] permette, per questa via, al sistema ordinamentale di conservare la propria integrità.

[1] Sulla nozione di ordine pubblico, all’interno di una bibliografia ormai davvero ricchissima, si rinvia, senza alcuna pretesa di esaustiva a: G.B. Ferri, Ordine pubblico (voce) (diritto privato), in Enciclopedia del Diritto, XXX, Milano, 1980, p. 1039 ss.; G. Panza, Ordine pubblico (voce), I Teoria generale, in Enciclopedia Giuridica, XXII, Roma, 1990, p. 1.

[2] Così, F. Angelini, Ordine pubblico e integrazione costituzionale europea. I principi fondamentali nelle relazioni interordinamentali, Padova, Cedam, 2007, p. 5. Analogamente, già tempo prima, V. Frosini, La struttura del diritto, Milano, Giuffré, 1968, p. 196, ammoniva che il principio dell’ordine pubblico “rappresenta la chiave di volta di tutto un sistema giuridico, quello che assicura l’equilibrio complessivo, la coordinazione organica, il punto di congiunzione degli elementi che compongono l’ordinamento giuridico, in cui si realizza la vita ordinaria d’una comunità”.

[3] In questo senso, N. Palaia, L’ordine pubblico “internazionale”. Problemi interpretati sull’art. 31 delle disposizioni preliminari al codice civile, Padova, Cedam, 1974, p. 32.

[4] Così, R. Balbi, L’ordine pubblico tra integrità e dinamicità dell’ordinamento giuridico. Una riflessione sui limiti al riconoscimento delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale, in Diritto e Religioni, n. 2, 2012, p. 147.

[5] U. Eco, Segno, Milano, Isedi, 1973, p. 82.

[6] Come brillantemente sottolineato già anni addietro dalla dottrina, proprio l’indeterminatezza del concetto consente “di perpetuare e, nel contempo, di aggiornare gli ideali nei quali è nata una specifica comunità sociale organizzata”; P. Lotti, L’ordine pubblico internazionale. La globalizzazione del diritto privato ed i limiti di operatività degli istituti giuridici di origine estera nell’ordinamento italiano, Milano, Giuffré, 2005, p. 13.

[7] Cass., Sez. II civ., sent. 5 luglio 1971, n. 2091, in Il Foro italiano, 1971, II, col. 2196.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

[10] Corte costituzionale, sentenza 2 febbraio 1982, n. 18, in www.giurcost.org. Con tale sentenza, la Corte dichiarò l’incostituzionalità parziale dell’art. 34 del Concordato, o meglio dell’art. 1 della legge 27 maggio 1929 n. 810, che aveva dato esecuzione allo stesso.

[11] Sull’evoluzione del giudizio di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale nella giurisprudenza italiana, tantissimi sono stati i contributi nel tempo offerti dalla dottrina. Una puntuale ed esaustiva elencazione dei lavori risulta pertanto difficile. Con tale consapevolezza, quindi, si passa di seguito ad indicare solo alcuni tra gli autori e i testi che ne hanno trattato. Tra questi: G. Dalla Torre, Lezioni di diritto ecclesiastico, 6ª ed., Giappichelli, Torino, 2019, p. 171 ss.; A. Fuccillo, Diritto religioni culture. Il fattore religioso nell’esperienza giuridica, 3ª ed., Giappichelli, Torino, 2019, p. 452 ss.; N. Marchei, La giurisdizione sul matrimonio canonico trascritto, in G. Casuscelli (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, 5ª ed., Giappichelli, Torino, 2015, p. 259 ss.; E. Giacobbe, Giurisdizione ecclesiastica matrimoniale: tra diritto positive e diritto vivente, in A. Perego (a cura di), La Chiesa cattolica: la questione della sovranità, Vita e Pensiero, Milano, 2015, p. 112 ss.; O. Fumagalli Carulli, Matrimonio ed enti tra libertà religiosa e intervento dello Stato, Vita e Pensiero, Milano, 2012, p. 75 ss.; C. Cardia, Matrimonio concordatario. Nuovo equilibrio tra ordinamenti, in G. Dalla Torre, C. Gullo, G. Boni, (a cura di), Veritas non auctoritas facit legem. Studi di diritto matrimoniale in onore di Pietro Antonio Bonnet, Libreria Editrice Vaticana, 2012, p. 179 ss.; L. Lacroce, M. Madonna, Il matrimonio concordatario nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Diritto Ecclesiastico, nn. 3-4, 2012, p. 753 ss.

[12] La sentenza della Corte sopra citata ha infatti anticipato di qualche anno le previsioni dell’Accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984, e specificamente i contenuti dell’art. 8.2, alla stregua del quale: “Le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo, sono, su domanda delle parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della corte d’appello competente, quando questa accerti: a) che il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della causa in quanto matrimonio celebrato in conformità del presente articolo; b) che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano; c) che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere. La corte d’appello potrà, nella sentenza intesa a rendere esecutiva una sentenza canonica, statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisione sulla materia”.

[13] Cfr. art. 34, comma quinto e sesto del Concordato Lateranense del 1929.

[14]  In effetti, l’art. 34, comma quinto e sesto del Concordato Lateranense del 1929, cit., che disciplinava il riconoscimento all’interno del sistema ordinamentale italiano delle sentenze di nullità dei matrimoni canonici dichiarate dai tribunali ecclesiastici, prevedeva un procedimento c.d. “automatico”, di competenza della Corte d’Appello, ma privo di qualsiasi potere di controllo di questa sul rispetto dell’ordine pubblico dello Stato da parte della sentenza oggetto di delibazione.

Trattasi, per dirla come i giudici costituzionali, di un procedimento elusivo di “due fondamentali esigenze, che il giudice italiano nell’ordinario giudizio di delibazione è tenuto a soddisfare, prima di dischiudere ingresso nel nostro ordinamento a sentenze emanate da organi giurisdizionali ad esso estranei: l’effettivo controllo che nel procedimento, dal quale è scaturita la sentenza, siano stati rispettati gli elementi essenziali del diritto di agire e resistere a difesa dei propri diritti, e la tutela dell’ordine pubblico italiano onde impedire l’attuazione nel nostro ordinamento delle disposizioni contenute nella sentenza medesima, che siano ad esso contrarie”; cfr. Corte costituzionale, sentenza 2 febbraio 1982, n. 18, cit., punto del Considerato in diritto.

[15] Corte costituzionale, sentenza 2 febbraio 1982, n. 18, cit., punto del Considerato in diritto.

[16] Cfr. Cass. civ., sez. un., 1° ottobre 1982 n. 5026, in Giurisprudenza italiana, 1983, I, 1, p. 230. All’interno di tale pronuncia, i supremi giudici di legittimità operano un distinguo altresì tra ordine pubblico interno ed ordine pubblico internazionale. Il primo, costituito dai “principi cogenti non derogabili dai cittadini con private pattuizioni”, il secondo, invece, dagli “imperativi ispirati a somme esigenze di civiltà giuridica la cui inosservanza è ostativa alla delibazione di sentenze straniere”.

[17] In questi termini, Così Cass. civ., sez. un., 1° ottobre 1982 n. 5026, cit.

[18] Sul punto, per un approfondimento, N. Marchei, Il limite dell’ordine pubblico davanti alla Chiesa cattolica e davanti allo Stato secolare: due percorsi giurisprudenziali a confronto, in Rivistaaic.it, n.4/2017 del 19.12.2017, p. 6, la quale ricorda come tale “maggiore disponibilità” fosse “interpretata alla luce della ‘specificità dell’ordinamento canonico dal quale è regolato il vincolo matrimoniale’ di cui, per espressa indicazione del legislatore, era necessario tenere conto nel riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche (art. 4 lettera b del Protocollo addizionale all’Accordo del 1984).

[19] Su tale diversità, si leggano, in senso critico, le interessanti riflessioni di J. Pasquali Cerioli, La “maggiore disponibilità” nei confronti del diritto canonico matrimoniale: una formula “ellittica” al vaglio dell’evoluzione dell’ordine pubblico, in Diritto e religioni, 2008, I, pp. 344 ss.

[20] Corte Cass., Sez. Unite, sentenza 18 luglio 2008, n. 19809.

[21] Ibidem.

[22] Posto che, nel caso di specie, i supremi giudici di legittimità si sono espressi sul riconoscimento agli effetti civili di una sentenza di nullità matrimoniale pronunciata per errore (determinato da dolo) in relazione ad una qualità del coniuge, individuata nella fedeltà prematrimoniale, è opportuno, per intendere la ricorrenza in esso di un contrasto assoluto con l’ordine pubblico italiano, tener ben presente la distanza che, riguardo alle qualità del coniuge, separa l’ordinamento civile da quello canonico. Ed infatti, nel diritto civile l’errore inficia il consenso solo se è determinante del consenso e cade su alcune qualità espressamente previste, quali: 1) l’esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale; 2) l’esistenza di una sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a cinque anni, salvo il caso di intervenuta riabilitazione prima della celebrazione del matrimonio. L’azione di annullamento non può essere proposta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile; 3) la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale; 4) la circostanza che l’altro coniuge sia stato condannato per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a due anni. L’azione di annullamento non può essere proposta prima che la condanna sia divenuta irrevocabile; 5) lo stato di gravidanza causato da persona diversa dal soggetto caduto in errore, purché vi sia stato disconoscimento ai sensi dell’articolo 233, se la gravidanza è stata portata a termine (art. 122 c.c.).

Nel diritto canonico, invece, l’errore circa una qualità della persona non rende nullo il matrimonio, eccetto che tale qualità sia intesa direttamente e principalmente (can. 1097 §2): l’errore su qualsiasi qualità se interpretata direttamente e principalmente inficia la validità del matrimonio.

[23] In effetti, sebbene in un obiter dictum, sempre nella sentenza 18 luglio 2008, n. 19809, la Corte aggiunge che non si potrebbe ritenere meramente relativa la contrarietà tra discipline nei casi di riconoscimento di sentenze ecclesiastiche “intervenute dopo molti anni di convivenza o coabitazione dei coniugi”, poiché l’intervenuta decadenza dall’azione civile di nullità (prevista nella disciplina delle nullità civili per vizi e difetti del consenso e in particolare dall’art. 123 c.c.)non può essere considerata “mera condizione di azionabilità, da considerare esterna e irrilevante come ostacolo di ordine pubblico alla delibazione”.

[24] Il rinvio, in questo senso, è a Cass. civ., sez. I, 4 giugno 2012 n. 8926, in www.dejure.giuffre.it. A proposito di tale sentenza, che sancisce un ritorno all’irrilevanza della convivenza, più o meno prolungata tra i coniugi, ai fini della riconoscibilità della pronuncia canonica di nullità matrimoniale, si leggano le considerazioni critiche svolte da V. Carbone, Ombre e luci della giurisprudenza sui rapporti tra giurisdizione ecclesiastica e quella italiana in ordine alla rilevanza del matrimonio-rapporto, in Corriere giuridico, 2012, nn. 8-9, pp. 1040 ss.

[25] Tra queste, per la sua importanza, va certamente segnalata: Cass. civ., sez. I, 20 gennaio 2011 n. 1343, in www.olir.it.

Tra i commenti offerti dalla dottrina, si rinvia a: J. Pasquali Cerioli, “Prolungata convivenza” oltre le nozze e mancata “delibazione” della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale (brevi note a Cass. civ., sez. I, sent. 20 gennaio 2011, n. 1343), in Stato, chiese e pluralismo confessionale, all’indirizzo: www.statoechiese.it, maggio 2011; E. Quadri, Delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio e convivenza coniugale: le recenti prospettive della giurisprudenza, in La Nuova giurisprudenza civile commentata, 2011, II, pp. 195 ss.; M. Canonico, La convivenza coniugale come preteso limite all’efficacia civile della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, in Diritto di famiglia e delle persone, 2011, pp. 711 ss.; V. Carbone, Validità del “matrimonio rapporto” anche dopo la nullità religiosa del “matrimonio atto”, in Famiglia e diritto, 2011, pp. 235 ss.; M. Finocchiaro, Non delibabile l’annullamento ecclesiastico dopo una convivenza matrimoniale di molti anni. Sulla non contrarietà all’ordine pubblico si era già formato il giudicato interno, in Guida al diritto, 2011, pp. 73 ss.; N. Marchei, Delibazione delle sentenze ecclesiastiche e (prolungata) convivenza tra i coniugi, in Stato, chiese e pluralismo confessionale, all’indirizzo: www.statoechiese.it, gennaio 2012.

Adesiva all’indirizzo giurisprudenziale in questione è altresì Cass, civ., Sez. Unite, 14 luglio 2014, n. 16379, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2014, n. 3, p. 791.

[26] In questo senso si è espressa la Prima Sezione civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 28308 del 10 ottobre 2023, richiamando il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite nelle sentenze gemelle n. 16379 e n. 16380 del 2014.

Analogamente, Corte Cass., I Sez. Civ., ordinanza n. 32148 del 20 ottobre 2023.

[27] Corte Cass., SS.UU., sentt. nn. 16379/2014 e 16380/2014.

[28] Più precisamente, nel caso di specie, la Corte di Cassazione si è trovata a giudicare la delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità di matrimonio dichiarato nullo a norma del canone 1095 C.I.C., con particolare riferimento al grave difetto di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare (n. 2), nonché alla incapacità ad assumere gli obblighi essenziali del matrimonio per cause di natura psichica (n. 3).

[29] In particolare, nell’ordinanza de qua, i supremi giudici di legittimità riconoscono la corrispondenza tra il canone 1095 C.I.C. e l’ipotesi di invalidità sancita nell’art. 120 c.c.

[30] Corte Cass. sent. n. 17910/2022.

[31] In senso analogo, Corte Cass. sentt. nn. 9044/2014, 4387/2000, 3002/1997, 6331/1988.

[32] Cfr. Corte Cass. civ., I Sez., 30 maggio 2023, n. 15142.

[33] In dottrina, sul tema, nell’ambito di un’assai ampia bibliografia, si rinvia ai soli fini di un primo inquadramento della tematica a: A. Moroni, Il consenso condizionato, in Il consenso matrimoniale canonico, Roma, 1988, p. 103 ss.; J.M. Serrano Riuz, Il consenso matrimoniale condizionato, in Diritto matrimoniale canonico, vol. II, Città del Vaticano, 2003, p. 387 ss.; P. Bianchi, Il consenso condizionato, in Quaderni di diritto ecclesiastico, 1996, 9, p. 495 ss.; M. Tinti, Condizione esplicita e consenso implicitamente condizionato nel matrimonio canonico, Roma, 2000; M. Mingardi, Il matrimonio contratto sotto condizione (can. 1102). Alcune riflessioni introduttive, in Quaderni di diritto ecclesiastico, 2009, 22, p. 207 ss.

[34] Cfr. Cass. 17 settembre 2020, n. 19329, non massimata; 9 dicembre 2019, n. 32027; 14 febbraio 2019, n. 4517; 21 maggio 2014, n. 11226; nonché Cass. 8 giugno 2022, n. 18429.

[35] E ciò in quanto trattasi “di profilo estraneo al processo canonico, in quanto in esso irrilevante”; così Cass.

[36] Così, Cass. civ., I Sez., 30 maggio 2023, n. 15142.

[37] Cfr. Cass. 25 giugno 2019, n. 17036; Cass. 5 marzo 2012, n. 3378; Cass. 6 marzo 2003, n. 3339.

[38] Corte Cass., Sez. Unite, sentenza 18 luglio 2008, n. 19809.

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