martedì, Aprile 16, 2024
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Evasione e disoccupazione – Analisi delle interconnessioni fiscali e sociali

NdR : Il presente articolo si propone di essere il primo di una serie di contributi incentrati sull’analisi dei fattori di interconnessione ed influenza tra il fenomeno dell’evasione fiscale e le conseguenti ricadute in termini occupazionali.  La trattazione analizzerà , offrendo numerosi spunti di riflessione sociale e giuridica, l’impatto della pressione fiscale sul panorama lavorativo e le ripercussioni in termini di scelte imprenditoriali e fiscali.

Assoggettare alla tassazione il reddito costituisce da sempre il perno sul quale ruota il meccanismo che assicura agli Stati il funzionamento e garantisce la redistribuzione della ricchezza ai consociati.

Ed allora, recuperare risorse sottratte all’evasione consente di assicurare un più generale e diffuso benessere tra i cittadini e, allo Stato, di conseguire una più marcata efficienza socio-burocratica.

Ma quanto e come una riduzione dell’evasione fiscale può condizionare il trend occupazionale e, quindi, lo sviluppo di una Nazione? È presto detto.

Se un’analisi approssimativa e superficiale indurrebbe a ritenere che poco o nulla cambierebbe, atteso che riducendo il tasso di evasione verrebbero a liberarsi più risorse da destinare all’assunzione di personale ed addetti, nella realtà così non è. È lo sviluppo che crea ricchezza ed occupazione e non può esserci sviluppo se il ceto imprenditoriale non trova sufficiente convenienza economica ad investire in risorse umane, fattore produttivo considerato sempre più marginale, ma per questo ad impatto numericamente e socialmente sempre più drammatico.

Il vigente nostro sistema di tassazione dei redditi, con aliquote percentuali progressive, consente di poter affermare, chi voglia approcciarsi al fenomeno con serietà e rigore, che una accentuata evasione fiscale, piuttosto che liberare risorse da destinare all’investimento occupazionale, in realtà le riduce in maniera continua ed esponenziale.

Un esempio, per quanto oggettivamente potrà apparire banale, consente di comprendere il fenomeno in tutta la sua essenza. Un imprenditore che per la sua categoria abbia un reddito anche solo modesto pari e/o superiore a 75.000 €/settantacinquemila euro annui, sconta un’aliquota marginale di imposta sui redditi per quasi il cinquanta per cento/50%, quarantotto per cento/48% per l’esattezza; se assume un addetto o un dipendente che per l’azienda costituisce un costo, detrae tale costo dal totale del suo reddito e per questo, ammesso che il costo sia pari a 100, avrà un risparmio finale di 50; la conseguenza sarà che, sul presupposto di una generale compatibilità con le esigenze produttive e di espansione dell’azienda quell’imprenditore avrà convenienza ad investire ed il suo investimento avrà un riverbero importante e positivo in termini di occupazione.

All’imprenditore che non paga tasse perché le evade, l’assunzione di un dipendente costerà cento/100 con una convenienza economica bassa mentre, per quell’imprenditore che produce reddito e paga le tasse perché non le evade o evade meno, il costo dell’equivalente assunzione di personale sarà pari a cinquanta/50, con una convenienza economica addirittura doppia.

Ci sarebbe poi l’analisi dei meccanismi a carico della fiscalità generale in favore dell’occupazione, che si prestano oggettivamente a serie e fondatissime critiche, ma questa è un’altra storia di cui avremo modo di parlare in un’altra occasione.

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