venerdì, Aprile 26, 2024
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Il negozio fiduciario nell’ordinamento italiano

A cura del Dot. Raffaele Ambrosino

Sommario: I. Il Negozio Fiduciario – 1. Negozio fiduciario ed affidamento fiduciario – 2. Fiducia statica e fiducia dinamica – 3. La funzione del negozio fiduciario: garanzia, destinazione, liberalità, successoria – II. Il  Patto Fiduciario – 1. La giurisprudenza della Suprema Corte –  2. Le Sezioni Unite ed i termini del contrasto – 3. La forma del patto di fiducia e l’atto unilaterale di fiducia.  Le osservazioni della dottrina – III. Pubblicità Immobiliare Del Negozio Fiduciario – IV. Trasferimenti Fiduciari Tra Regime Patrimoniale Della Famiglia E Responsabilità Patrimoniale

  1. IL NEGOZIO FIDUCIARIO – Negozio fiduciario ed affidamento fiduciario

Il negozio fiduciario è una species del negozio giuridico, caratterizzato dalla presenza di un quid pluris: la fiducia. Quest’ultima oltre a rappresentare un elemento costitutivo della fattispecie, assume una funzione programmatica del negozio che pervade lo stesso sul piano ontologico ed effettuale.

Strutturalmente il negozio fiduciario si articola in un ordinario atto giuridico (principale), traslativo o costitutivo, a mezzo del quale una parte –fiduciante– pone in essere una manifestazione di volontà attributiva alla controparte –fiduciario– della titolarità di una situazione   giuridica, cui è accompagnato (in rapporto di accessorietà)[1] un ulteriore accordo tra le parti: il patto fiduciario. Quest’ultimo definisce in modo programmatico, le modalità di esercizio dei poteri e delle facoltà scaturenti dalla situazione giuridica soggettiva di cui è divenuto titolare il fiduciario. Il tutto è teleologicamente orientato alla realizzazione di uno scopo ultroneo a quello tipicamente previsto dalla legge per il negozio posto in essere.

Il negozio fiduciario è pertanto nel suo complesso la combinazione di un negozio giuridico- traslativo ad effetti reali ed un patto accessorio ad effetti obbligatori, ad esito della quale si cumulano in capo al fiduciario-avente causa due distinte posizioni giuridiche: una positiva ad effetti reali consistente nell’acquisto dello status domini del bene acquistato, ed una passiva ad effetti obbligatori  consistente invece nello status di debitore del fiduciante, in forza delle obbligazioni scaturenti dal pactum fiduciae.

Sul legame sussistente tra i due elementi della fattispecie, in dottrina sono state formulate disparate tesi, tutte volte ad inquadrare il ruolo della fiducia.

È necessario precisare che, al di là dell’analisi giuridica, nell’ assetto d’interessi delineato, la fiducia riposta nella lealtà del fiduciario relativamente all’adempimento di quanto stabilito nel pactum dà vita ad uno stato psicologico di “affidamento fiduciario” interiore al fiduciante, e costituisce l’unica fonte obbligatoria, la cui rilevanza giuridica emerge solo in occasione della (eventuale) fase patologica del fenomeno negoziale. Ed in ciò si manifesta il principale vulnus del negozio fiduciario sul piano giuridico.

Dall’affidamento fiduciario inteso quale status psicologico del fiduciante posto a garanzia dell’adempimento del programma negoziale va distinto il contratto di affidamento fiduciario che,  a seguito di recenti interventi legislativi (l. n. 3/2012 prima e l. n. 112/2016 poi), ha ottenuto un riconoscimento normativo non “tipicizzante” il cui esito è stato quello di dare vita ad una figura                   contrattuale nominata ma atipica[2].

Nello specifico, tale tipo di contratto consiste nella fissazione di un “programma” destinato alla realizzazione di uno scopo meritevole di tutela (si pensi al superamento di una crisi d’impresa, oppure alla necessità di garantire ad un soggetto portatore di handicap la dovuta assistenza materiale in un periodo successivo alla morte dei propri familiari), la cui attuazione è affidata ad un soggetto, investito della proprietà di beni costituenti un patrimonio strumentale all’attuazione                               dello stesso.

A differenza del negozio fiduciario e di figure ad esso assimilabili (trust, vincolo  di destinazione ex art. 2645-ter cod. civ.), elemento essenziale, indefettibile e qualificante dell’istituto de quo è il “programma” tant’è che quest’ultimo, una volta stipulato il contratto di affidamento fiduciario, diviene immutabile; a differenza degli altri elementi della fattispecie come “l’attuatore” ed i beni destinati alla realizzazione che viceversa sono ritenuti sostituibili o, per meglio dire, “fungibili”.

Il nostro ordinamento positivo, nell’ambito civilistico, pur conferendo una certa dignitas al fenomeno fiduciario, non ne riconosce espressamente la rilevanza giuridica; il negozio fiduciario è frutto di pratiche negoziali espressione del principio di libertà contrattuale e, la fiducia, tranne che in poche e laconiche disposizioni del codice civile, non ha “rango” normativo.

È stata la prassi negoziale, coadiuvata dall’attività giurisdizionale a riconoscere cittadinanza giuridica agli accordi fiduciari quali fonte di obbligazione. Tale percorso è stato tra l’altro caratterizzato dal superamento di numerosi problemi di inquadramento giuridico del fenomeno.

A tal proposito è bene riportare le posizioni dottrinarie più autorevoli che si sono occupate dell’analisi del fenomeno e della determinazione, in particolare, del ruolo della fiducia rispetto all’architettura del negozio fiduciario[3].

Secondo una prima tesi, il trasferimento della situazione giuridica soggettiva dal fiduciante al fiduciario sarebbe in sé privo di causa, o meglio a causa astratta.

Secondo tale concezione -che tende ad estremizzare lo scopo fine delle parti- la causa negoziale non sarebbe identificabile in quella tipica del negozio posto in essere, ma va individuata in quella che sottende l’accordo obbligatorio (patto fiduciario) tra le parti che permea l’atto traslativo rendendolo un unicum.

In base a tale tesi[4] (della causa fiduciae), ammissibile solo se si riconosce nel nostro ordinamento l’esistenza del negozio a causa astratta, la combinazione atto traslativo-patto fiduciario costituirebbe un unico negozio giuridico.

Corollario di tale impostazione è l’impossibilità per il fiduciante (o i suoi aventi causa) di far valere la nullità del contratto traslativo per assenza di causa e di annullare gli effetti reali   prodotti dal negozio, tutte le volte in cui il fiduciario violi il patto fiduciario.

Altra dottrina pur asserendo l’unicità del negozio fiduciario, non ravvisa nel patto fiduciario l’espressione di un fondamento causale del trasferimento negoziale ma, sottolineando la rilevanza “interna” della fiducia quale fonte di obbligazione “morale”, ritiene che la stessa costituisca un mero motivo dello schema negoziale fiduciario, o quella che è giuridicamente definita “presupposizione” negoziale. Alla luce di tali osservazioni l’atto traslativo del fiduciante mantiene la causa propria della fattispecie legale, e la fiducia una volta confinata nella sfera dei motivi non avrebbe rilevanza alcuna sul piano giuridico. Tale ricostruzione è però smentita dalla prassi, in particolar modo quella giudiziale che -almeno sul piano obbligatorio- appresta tutela giuridica al fiduciante che dimostri l’esistenza e la violazione del pactum fiduciae.

Più confacente allo “stato dell’arte” appare invece la teoria che non inquadra la combinazione negozio traslativo-patto fiduciario in un unico negozio ma intravede in tale struttura la presenza di due distinte fattispecie negoziali di cui la fiducia costituisce il “collante”. Il negozio fiduciario sarebbe il frutto di un collegamento negoziale tra atto traslativo e patto obbligatorio, ognuno dei                              quali pur mantenendo la propria causa è collegato all’altro in un rapporto di strumentalità preordinato dalle parti al raggiungimento di uno scopo ulteriore. Pertanto la combinazione degli effetti negoziali degli atti posti in essere da fiduciante e fiduciario è la sola in grado di produrre il risultato finale. Ed è il riconoscimento della liceità dello scopo finale raggiunto a giustificare la tutela giuridica del fiduciante in caso di violazione del pactum fiduciae.

  1. Fiducia statica e fiducia dinamica

L’ordinamento giuridico italiano, a differenza di altri ordinamenti, non concepisce in modo espresso il fenomeno fiduciario quale fonte giuridica di obbligazione.

La parola «fiducia(ria)» è rintracciabile nel corpo del codice civile in sole due occasioni, e precisamente nell’art. 627 cod. civ. che disciplina la disposizione fiduciaria testamentaria e nel libro V titolo V quando viene fatto, in alcune disposizioni, un generico riferimento alla «società fiduciaria».

Da tale osservazione sistematica emerge la refrattarietà del nostro impianto codicistico alla positivizzazione del fenomeno fiduciario che non per questo è privo di “dignità” giuridica. Non va infatti trascurato che con la tecnica normativa della clausola aperta l’art. 1173 cod. civ. annovera tra le fonti dell’obbligazione «ogni (altro) atto o fatto idoneo a produrla in conformità dell’ordinamento giuridico», tra cui può sicuramente ricomprendersi la fiducia.

È tuttavia necessario prendere atto che il sistema giuridico italiano è compatibile esclusivamente con la cd. “fiducia romanistica”.

A seconda degli effetti attribuiti al negozio fiduciario ed ai rimedi posti a tutela dell’adempimento degli obblighi che ne scaturiscono, è possibile distinguere due tipi di fiducia: quella “germanistica” e quella “romanistica”.

Nel primo tipo di fiducia, con il negozio fiduciario non si verifica un trasferimento pieno del diritto, ma, attraverso un meccanismo di segregazione, sorge in capo al fiduciante solo una situazione di legittimazione giuridica all’ esercizio delle facoltà e dei poteri sul bene trasferito in  funzione dello scopo fiduciario. Ovviamente i sistemi che adottano tale concetto di fiducia apprestano al fiduciante strumenti di protezione di carattere reale, assicurando agli interessati anche una tutela pubblicitaria del rapporto fiduciario (opponibile ai terzi).

Il concetto di fiducia romanistica si fonda invece sulla pienezza del diritto trasferito al fiduciario,  il quale diventa pieno ed esclusivo titolare del bene oggetto mediato del negozio fiduciario.

Alla “pienezza” del diritto acquisito non corrisponde però una completa libertà di disposizione dello stesso, in quanto il pactum fiduciae vincola il fiduciario al raggiungimento dello scopo. Trattandosi  inoltre di un vincolo obbligatorio l’inadempimento del fiduciario non può essere tutelato sul piano reale, pertanto al fiduciante è concesso solo un rimedio risarcitorio, non senza gravosi oneri probatori.

È evidente che tale concezione della fiducia ha una connotazione morale- privatistica piuttosto che giuridica.

In tale quadro va inoltre evidenziata la posizione dei terzi rispetto al fenomeno fiduciario; ad essi infatti non è opponibile l’esistenza di un patto fiduciario limitativo delle facoltà e dei poteri dell’avente                                                   causa.

Emerge dunque una concezione “meta-formalistica” della fiducia, in base alla quale l’obbligazione fiduciaria risulta essere estranea alle normali forme di coercizione.

Altra importante differenziazione va fatta a seconda della “costruzione” del negozio fiduciario. In astratto la situazione giuridica attiva di cui il fiduciario è titolare rappresenta -nell’architettura  del rapporto complessivamente inteso- al contempo il presupposto per la realizzazione e lo strumento di attuazione                                 del “disegno” fiduciario.

Ogni qual volta il fiduciante adempie al patto fiduciario con un’attività di cooperazione giuridica eseguita con l’impiego di strumenti forniti dal fiduciante, si discorre di fiducia “dinamica”.

In tale caso -che rispecchia lo schema più frequentemente impiegato di negozio fiduciario- è il fiduciante ad attivarsi per il perseguimento dello scopo finale,  ponendo in essere un negozio traslativo a mezzo del quale il fiduciario viene dotato dei mezzi necessari alla sua attuazione.

Si definisce fiducia “statica” invece la fattispecie in cui il fiduciario pone in essere gli atti necessari al perseguimento del disegno fiduciario avvalendosi di mezzi (rectius situazioni giuridiche soggettive) che fanno già parte del suo patrimonio.

In questo caso manca quel momento negoziale antecedente con il quale il fiduciante trasferisce al fiduciario i mezzi necessari alla realizzazione dello scopo finale.

La differenza delineata assume rilevanza giuridica se viene analizza dal punto di vista “patologico”: nella fattispecie di fiducia dinamica, aderendo alla tesi del collegamento negoziale (ed in modo ancor più manifesto aderendo alla tesi dalla causa fiduciae), l’inadempimento dell’intesa fiduciaria può -debitamente dimostrato in giudizio- pregiudicare il momento negoziale facendone venire meno gli effetti (fatti salvi eventuali diritti dei terzi acquisiti medio tempore).

Nella fattispecie di fiducia statica invece nessun tipo di tutela è apprestata al fiduciante in caso di mancato adempimento, in quanto tale fenomeno è equiparabile all’adempimento di un’obbligazione naturale, che fa salvi i soli effetti della soluti retentio.

 

  1. La funzione del negozio fiduciario: garanzia, destinazione, liberalità, successoria

Nello schema del negozio fiduciario, la fiducia costituisce la fonte obbligatoria per il fiduciario il quale s’impegna verso il fiduciante ad esercitare poteri e facoltà connesse alla situazione giuridica di cui è titolare per la realizzazione di uno scopo pratico ulteriore.

Tale ultimo elemento oltre a rappresentare il reale effetto finale voluto dalle parti, costituisce altresì la funzione che orienta teleologicamente il collegamento negoziale complessivamente inteso.

La dottrina giuridica ha mutuato dalla prassi negoziale due tipi funzionali di fiducia: la fiducia cum amico e la fiducia cum creditore.

Tale bipartizione si fonda sulla preesistenza o meno di un rapporto obbligatorio tra fiduciante e fiduciario di tal che il negozio fiduciario assume rispettivamente la funzione di garanzia o altra riconosciuta meritevole di tutela dall’ordinamento.

Qualora infatti il fiduciante fosse debitore del fiduciario è ben possibile che, allo scopo di garantire il proprio adempimento ponga in essere verso quest’ultimo un atto di trasferimento fiduciario a mezzo del quale gli trasferisce la titolarità di un bene che costituisce garanzia della pretesa creditoria e che, in virtù del pactum fiduciae, il fiduciario-creditore è tenuto a restituire in  caso di pagamento da parte del fiduciante-debitore.

Tale schema negoziale va tuttavia sottoposto al vaglia di compatibilità con il divieto di patto commissorio che, come noto, ai sensi dell’art. 2744 cod. civ. commina la nullità del patto con cui, a causa dell’inadempimento, è automaticamente trasferita al creditore la proprietà di un bene del debitore                                        di cui è già in possesso.

Alla luce delle consolidate posizioni della giurisprudenza di legittimità, va evidenziato che nonostante la fattispecie di fiducia cum creditore non rientri appieno nello schema formale del patto commissorio, l’interpretazione del principio normativo operata dalle Sezioni Unite[5] ha carattere estensivo e mira alla declaratoria della nullità dell’alienazione anche nel caso in cui il trasferimento della proprietà del bene sia effettuata in un momento antecedente all’inadempimento purché fatta a scopo di garanzia, tutte le volte in cui non sia munita della clausola “correttiva” del patto marciano. Pertanto la fiducia cum creditore corre il concreto rischio di essere identificata come uno strumento elusivo del divieto esaminato, che le parti -in forza di un mero rilievo interno ed obbligatorio del patto fiduciario- pongono in essere ad hoc.

Tra le concrete applicazioni della fiducia cum amico caratterizzata invece da un atto di trasferimento dal fiduciante al fiduciario in assenza di un rapporto preesistente tra i medesimi, è possibile rintracciare le fattispecie di negozio fiduciario con funzione di destinazione, di liberalità o successoria.

Anche in questo caso in non poche occasioni sorgono frizioni tra l’operazione negoziale posta in essere ed alcuni principi generali dell’ordinamento giuridico, che, come per la fiducia cum creditore, mettono in evidenza aspetti fraudolenti del negozio fiduciario.

Nello specifico, lo schema fiduciario negoziale con funzione di destinazione si concretizza in un atto traslativo con il quale il fiduciante conferisce in dotazione al fiduciario determinati beni, i quali in virtù del patto fiduciario vengono sottoposti ad una specifica destinazione che preclude all’avente causa il                                             loro libero utilizzo. In tal caso il pactum mira a limitare le facoltà di godimento del bene trasferito, limitazione che si realizza grazie all’obbligo per l’avente causa di imprimere sullo stesso un vincolo destinatorio finalizzato al soddisfacimento di interessi propri del fiduciante o di terzi.

È evidente che nel caso di vincolo  di destinazione a favore del fiduciante lo schema negoziale non è altro che uno strumento posto in essere per raggirare i limiti soggettivi all’applicazione dell’art. 2645-ter cod. civ.

Se infatti le parti procedessero secondo i principi normativi del novello istituto destinatorio, l’atto costitutivo dello stesso dovrebbe:

– in primo luogo essere predisposto per il perseguimento di un interesse meritevole di tutela, identificato dalla dottrina maggioritaria in uno scopo di carattere “sociale” e non meramente privatistico; ed

– in secondo luogo, avere carattere “etero-destinatorio” non potendo il costituente fruire dell’effetto segregativo riconosciuto dalla norma per perseguire un personale interesse, come avviene nello schema fiduciario.

Da tali considerazioni è facile desumere che lo schema fiduciario può, nelle intenzioni delle parti, costituire un meccanismo elusivo del principio di garanzia patrimoniale e della par condicio creditorum, facilmente assoggettabile ad azione revocatoria o ad actio nullitatis (per nullità virtuale).

Il negozio fiduciario ha funzione successoria tutte le volte in cui è posto in essere dal fiduciante che intende garantire ad un determinato soggetto l’ottenimento di beni determinati per il periodo successivo alla propria morte.

Lo schema negoziale può realizzarsi o con atto inter vivos, o con disposizione fiduciaria contenuta in un testamento. Attraverso tali atti il fiduciante può trasferire al fiduciario la proprietà di cespiti patrimoniali ovvero designarlo successore universale o legatario. Indi il fiduciario, in adempimento dell’intesa fiduciaria, -successivamente alla morte del disponente- trasferirà al terzo designato dal fiduciante i beni ottenuti mortis-(fiduciae) causa.

In ordine a tale schema negoziale sorgono disparati problemi di legalità e di inquadramento giuridico dei singoli atti posti in essere; la fattispecie esaminata infatti si avvicina all’interposizione fittizia di persona che il nostro codice ha cura di disciplinare con le disposizioni dedicate all’istituto della simulazione.

Rispetto alle questioni di liceità del negozio fiduciario a scopo successorio, sotto il profilo oggettivo esso potrebbe contrastare col divieto di patto successorio in quanto il negozio traslativo,   calato nel collegamento negoziale con l’intesa fiduciaria, assume un indubbio carattere mortis causa.

Se pertanto si considera estensivamente il divieto di disporre di un proprio diritto con un contratto che abbia efficacia mortis causa,  il negozio fiduciario deve ritenersi affetto da nullità per violazione dell’art. 458 cod. civ.

Unica salvezza del trasferimento al fiduciario sarebbe rinvenibile in un forzato inquadramento           dello stesso come mandato post mortem, del quale costituirebbe un mero presupposto. Una tale attività ermeneutica contrasterebbe però con la natura giuridica del concetto di fiducia                                                                     romanistica che si fonda, come detto, su un pieno trasferimento del diritto di proprietà.

Invero è proprio l’ effetto del pieno trasferimento a salvare il negozio fiduciario dalla nullità di cui all’art. 458 cod. civ. in quanto il passaggio del diritto dal fiduciante al fiduciario è pieno ed efficacie e l’eventuale effetto mortis causa vietato verrà raggiunto solo con lo spontaneo ed incoercibile adempimento del fiduciante in ossequio ad un’intesa fiduciaria che ha un mero valore obbligatorio.

A sostegno della validità di tale ricostruzione sovviene la possibilità degli eredi di dare spontaneamente esecuzione, in adempimento della volontà del de cuius a disposizioni annullabili mediante la cd. convalida tacita del testamento.

Sempre sul piano oggettivo la costruzione di un negozio fiduciario con finalità successorie non sembra contrastare neppure col divieto di sostituzione fedecommissaria, in quanto nello stesso non sono ravvisabili nè la temporaneità del diritto di proprietà in capo all’avente causa, né e l’obbligo di trattenere la proprietà del bene vita natural durante per restituirla al beneficiario mortis causa.

Si rammenta anche in tal caso l’assenza di ogni forma coercitiva di carattere reale attivabile nei confronti del fiduciario in base alla quale potrebbe considerarsi violata la disposizione di cui all’art. 692 cod. civ. ult. co. Il patto fiduciario in caso di inadempimento  non costituisce una valida fonte di coercizione per ottenere il trasferimento di quanto ricevuto in eredità dal fiduciario.

Infine, in caso di morte del fiduciario, in assenza del trasferimento al terzo beneficiario, è pacifico che i beni ottenuti fiduciae causae cadano in successione e che il beneficiario non potrebbe rivendicarne la proprietà. Ma v’è di più, i legittimari del fiduciario potrebbero anche agire in riduzione verso il terzo beneficiario per la restituzione dei beni ottenuti in adempimento dell’intesa fiduciaria, ricadendo sul terzo l’onere probatorio di dimostrare l’esistenza di un accordo che ex art. 627 cod. civ. permette di eccepire la soluti retentio.

Il vero scopo del patto fiduciario con funzione successoria è prevalentemente quello di garantire  l’attribuzione di beni del de cuius a soggetti privi della capacità relativa di ricevere, si pensi ai casi di incapacità a ricevere previsti dagli artt. 596, 597, 598 e 599 cod. civ. che impediscono iuris et de iure ai designati di ottenere quanto attribuito in loro favore con il negozio testamentario, obbligandoli alla restituzione di quanto ricevuto.

Impiegando quindi il negozio fiduciario solo il fiduciante sarebbe il formale avente causa o successore, e solo in capo ad esso dovrebbe sussistere la piena capacità a ricevere dal testatore. L’adempimento del patto fiduciario non avrebbe l’effetto di fare acquistare la qualità di erede al  terzo beneficiario. Ovviamente quando il trasferimento fiduciario è fatto con atto inter vivos, neppure il fiduciante sarà erede ma mero avente causa, tuttavia in caso di trasferimento gratuito è ben possibile che il medesimo possa subire l’azione di riduzione dai legittimari lesi.

Quando invece l’attività fiduciaria si sviluppa secondo una designazione testamentaria ex art. 627 cod. civ. il patto fiduciario è antecedente al trasferimento che si verifica solo successivamente ed  in caso di accettazione della chiamata o mancato rifiuto del legato da parte del fiduciario. In questo caso è il fiduciario a diventare erede, subentrando nella quota patrimoniale del de cuius in universum ius defuncti, e pertanto la sua responsabilità per i debiti ereditari sarà commisurata a detta quota al “lordo” di quanto dovrà trasferire al terzo beneficiario, il quale invece riceverà i beni senza avere alcuna responsabilità ereditaria.

È evidente che anche in tal caso il negozio fiduciario sia preordinato all’ elusione dei divieti imposti dalla legge, motivo per cui la tutela apprestata al beneficiario è quella riconosciuta   al creditore dell’obbligazione naturale, fatti salvi ovviamente i diritti dei legittimari alla quota indisponibile.

Una particolare fattispecie di fiducia successoria, che non presenta il carattere della patrimonialità, è rinvenibile nelle cd. “DAT” (disposizioni anticipate di trattamento).

In base all’art. 4 l. n. 219 del 2017 ogni persona maggiorenne e capace può, dopo aver ricevuto le adeguate informazioni, esprimere le proprie scelte in materia di trattamenti sanitari per il caso di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, individuando un soggetto “fiduciario” incaricato di fare le veci del disponente con medici e strutture sanitarie al fine di porre in essere le volontà espresse, con le dovute formalità previste dalla medesima legge, nelle DAT.

In tale normativa emerge il carattere della revocabilità del fiduciario ed altresì il potere del fiduciario di disattendere le DAT in caso di incongruità delle stesse rispetto alla situazione di fatto, al fine di perseguire l’interesse alla salute del disponente anche contro la sua volontà.

Continuando la rassegna delle varie funzioni della fiducia, va sottolineato come lo scopo finale del negozio fiduciario è spesse volte quello di porre in essere nei confronti del beneficiario un atto di liberalità; è indubbio che ogni qualvolta il fiduciario trasmetta a titolo gratuito il bene trasferitogli in adempimento dell’intesa fiduciaria, detto trasferimento, in assenza  di qualsiasi rapporto tra fiduciante e beneficiario è fatto con spirito di liberalità. In tali casi ci si chiede se i gli atti di realizzazione dell’intesa fiduciaria debbano essere qualificati donationis causa e quindi conclusi con le formalità previste dalla legge per gli atti di donazione, e quali siano  gli effetti dell’atto di adempimento del fiduciario rispetto al proprio patrimonio,  con particolare riferimento alla  tutela dei suoi legittimari.

In ordine al primo interrogativo è preferibile ritenere, in linea con il concetto di fiducia romanistica, che nonostante l’intento liberale finale, il negozio traslativo non debba considerarsi una donazione del fiduciante al fiduciario, a meno che le stesse parti non vogliano qualificarla come tale, simulando un negozio donativo; infatti la sussistenza del patto fiduciario che impone il ri-trasferimento del bene alienato al beneficiario sancisce ab esterno l’assenza della volontà di arricchimento del fiduciario, che è un mero intermediario nell’architettura dello schema posto in essere.

Al di là dell’indagine sui motivi interiori, se le parti qualificano il trasferimento come una donazione  allora è imprescindibile, a pena di nullità dell’intera operazione, il rispetto delle formalità legali:   atto pubblico e testimoni; tale scelta potrebbe essere giustificata allorquando il fiduciario sia coniugato in regime di comunione legale dei beni, al fine di sottrarre il bene trasferito al regime patrimoniale della famiglia.

Più problematico appare l’inquadramento giuridico dell’atto di adempimento dell’intesa fiduciaria. In tal caso il fiduciario pur trasferendo il bene a titolo gratuito, con arricchimento del beneficiario mediante l’impoverimento del proprio patrimonio, sul piano sostanziale sta adempiendo ad un obbligo, pertanto può escludersi la sussistenza di quello spirito di liberalità che caratterizza la donazione, sicchè non sembra opportuno (se non per tuziorismo) il rispetto delle formalità dell’atto donativo.

Tale trasferimento sarebbe infatti un atto dovuto privo addirittura della spontaneità, un cd. adempimento traslativo.

Una volta completato il trasferimento al beneficiario, è ben possibile che l’atto, apertasi la successione del fiduciario, possa essere soggetto a riduzione da parte dei legittimari lesi. Dal punto di vista giuridico infatti il passaggio del bene dal fiduciante al beneficiario transita dal patrimonio del fiduciario, e non essendovi nel nostro ordinamento alcuna forma di pubblicità posta a tutela del trasferimento fiduciario, i legittimari possono avanzare pretese sul bene che indubitabilmente va conteggiato ai fini della determinazione della massa riunita del fiduciante. In tal caso la tutela del beneficiario può essere apprestata solo nel caso in cui riesca a dare dimostrazione in giudizio dell’esistenza di un patto fiduciario che gli permetta di eccepire la soluti  retentio, così come avviene nella fiducia testamentaria o nel negozio fiduciario a scopo successorio. Il medesimo problema si pone e va risolto in egual modo in riferimento ai creditori del fiduciario ed al coniuge in regime di comunione legale.

Dall’analisi delle varie costruzioni funzionali dello schema fiduciario emerge un rapporto conflittuale del negozio fiduciario con molte delle norme codicistiche che in alcuni casi rappresentano veri e propri principi generali dell’ordinamento giuridico italiano. È per tale motivo che si tende a disconoscere una tutela reale e, in alcuni casi, la pienezza giuridica del fenomeno fiduciario, che spesso è destinato a soccombere all’applicazione di norme di diritto positivo restando confinato nell’ambito dell’ordinamento privato.

  1. IL PATTO FIDUCIARIO – La giurisprudenza della Suprema Corte

Il pactum fiduciae è elemento essenziale della negoziazione fiduciaria in quanto costituisce la fonte d’obbligo del fiduciario per la realizzazione dello scopo finale.

Poiché la fiducia è un fenomeno la cui rilevanza giuridica è riconosciuta dalla prassi in assenza di una disciplina legale  positivizzata, e poiché -come precisato dalla Suprema Corte- tale fenomeno rappresenta una “casistica” [6] piuttosto che una fattispecie, è necessario prendere atto che il patto fiduciario è stato e continua ad essere oggetto di diverse qualificazioni giuridiche da parte della dottrina e degli operatori del diritto.

Nell’attuale panorama giuridico sono individuabili diverse tesi sulla natura del patto fiduciario, tutte suffragate da pronunce giurisprudenziali di legittimità che hanno dato luogo, per la diversità di posizioni, ad un contrasto giurisprudenziale sul quale sono recentemente intervenute le Sezioni  Unite[7].

Non essendovi una regolamentazione positiva della fiducia, il sorgere di posizioni contrastanti è  fisiologico, anche a livello della giurisprudenza di legittimità.

Una prima tesi sussume il patto fiduciario nella fattispecie di un contratto preliminare[8](unilaterale,   ex latere fiduciario) sulla base degli effetti obbligatori di trasferimento che il medesimo produce  in capo al fiduciario. Quest’ultimo in ottemperanza del patto fiduciario è obbligato nei confronti  del fiduciante a trasferire quanto ricevuto con il negozio fiduciario.

Da tale impostazione in primo luogo consegue l’obbligo, per le parti, di dotare il patto fiduciario  di forma scritta ad substantiam ai sensi dell’art. 1351 cod. civ.[9] qualora abbia ad oggetto beni immobili ed in secondo luogo viene riconosciuto al  fiduciante il potere di agire in giudizio ai sensi dell’art. 2932  cod. civ. per l’ottenimento dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre.

Una seconda tesi invece qualifica il patto fiduciario come mero atto di cooperazione giuridica[10] e lo sottopone alla disciplina del mandato senza rappresentanza, in cui il fiduciario-mandatario è investito dell’obbligo di ritrasferire il bene acquistato con risorse del fiduciante attraverso un patto che non necessita di una forma vincolata in quanto atto di mera rilevanza interna alle parti.  Pertanto secondo tale tesi, anche se il patto fiduciario ha ad oggetto beni immobili, in ossequio al principio di libertà delle forme non necessita di uno scriptum ai fini della validità e ciò perché il  patto fiduciario non costituisce titolo di trasferimento del diritto reale sul bene immobile ma mera  obbligazione[11].

Le due tesi quindi si scontrano sulla questione concernente la forma del patto fiduciario: i fautori  della tesi del contratto preliminare sostengono la necessità della forma scritta anche dell’intesa fiduciaria e non solo del negozio fiduciario e dell’ atto di ri-trasferimento in ossequio al principio di simmetria delle forme; viceversa l’opposta tesi sostiene l’inammissibilità dell’applicazione dell’obbligo formale al patto fiduciario in quanto le norme che prevedono obblighi formali sono  eccezionali e non analogicamente applicabili al caso di specie, stante la natura obbligatoria del patto fiduciario. Pertanto essa mira alla conservazione della validità dell’intesa verbale tra le parti.

Tale ultima tesi inoltre non disconosce per il fiduciario il diritto a ricorrere alla tutela apprestata dall’art. 2932 cod. civ. anche in caso di patto fiduciario verbale, rimarcando la possibilità di ricorrere alla conclusione contrattuale per via giudiziaria ogni qual volta il fiduciante-attore dimostri in giudizio la sussistenza dell’obbligo a contrarre. I problemi di formalità in tal caso si trasformerebbero in meri problemi di ordine probatorio.

  1. Le Sezioni Unite ed i termini del contrasto

La sussistenza delle due opposte tesi ha trovato supporto nella giurisprudenza di legittimità, in verità l’orientamento maggioritario protende per la tesi che ritiene obbligatoria la forma scritta del patto fiduciario immobiliare. Ciononostante, visto il contrasto giurisprudenziale esistente si è  ritenuto opportuno rimettere all’autorevolezza delle Sezioni Unite la questione concernente la forma del patto fiduciario[12].

Per meglio comprendere i termini della questione va rammentato che nel caso sottoposto all’esame della Corte l’attore-fiduciario conveniva in giudizio il fiduciante per l’adempimento ex art. 2932 cod. civ. di un atto di trasferimento della proprietà di un complesso immobiliare acquistato dall’attuale proprietario fiduciariamente con risorse del fiduciante. Nello schema negoziale posto in essere dalle parti il patto fiduciario di trasferimento del bene al fiduciario a prima richiesta non rivestiva la forma scritta, era però prodotto in giudizio  un atto unilaterale scritto e sottoscritto dalla fiduciaria in cui si riconosceva la natura fiduciaria della proprietà dei beni.

Orbene a seguito di una “doppia (decisione) conforme” dei giudici di merito sull’ammissibilità della domanda attorea, la sezione semplice della corte, chiamata a decidere sulla nullità formale del patto  fiduciario privo della forma scritta eccepita dal fiduciante, investe le Sezioni Unite che si pronunciano con una decisione apparentemente difforme rispetto all’orientamento fin’ ora  prevalente.

I giudici di legittimità prendono posizione con una premessa che fa presagire l’impossibilità di ritenere la decisione una pietra miliare per gli addetti ai lavori, e precisano che la fiducia è una “casistica” giustificando quindi la difformità giurisprudenziale rispetto alle fattispecie pratiche.

In punto di diritto però le toghe cassano l’orientamento che qualifica il patto fiduciario come un contratto preliminare  poiché una tale interpretazione è fondata su un errore di diritto sostanziale: in un contratto preliminare, come è già desumibile dalla etimologia del termine, il momento obbligatorio è cronologicamente e logicamente antecedente al momento traslativo, e costituisce titolo per il trasferimento, ed è per questo che si rende necessaria la forma scritta.

Ammettere la libertà delle forme significherebbe permettere l’elusione dell’art. 1350 cod. civ. attraverso la stipula di un preliminare orale che è titolo traslativo in caso di ricorso all’art. 2932  cod. civ.; nel patto fiduciario il momento reale si verifica con il negozio traslativo, ed il momento  obbligatorio è solo successivo e limitativo di quello attributivo del diritto reale, non vi è pertanto  identità di ratio con l’istituto del contratto preliminare.

Per le Sezioni Unite il patto fiduciario deve ritenersi, al pari del mandato senza rappresentanza [13]all’acquisto di beni immobili, scevro da formalismi, pertanto è ammissibile e valida l’intesa orale al ri-trasferimento del bene in quanto la stessa costituisce fonte di obbligazione e non titolo che legittima il trasferimento.

Con tale assunto i giudici danno conferma della apolidia giuridica della fiducia nel nostro sistema positivo, in quanto la vincolatività dell’intesa fiduciaria non può soggiacere ai formalismi che il nostro ordinamento riconosce solo per fenomeni giuridici che sono provvisti di una specifica disciplina normativa. Riconoscere, o addirittura obbligare ad adottare la forma scritta ad substantiam per il patto fiduciario significherebbe sul piano giuridico ed ermeneutico estendere analogicamente una norma speciale ad un fenomeno non lacunoso, ma addirittura privo di una definizione e di una disciplina positiva.

Alla luce di quanto espresso nella motivazione della sentenza può ricavarsi la regola per cui la fiducia in sé, e nello specifico il patto fiduciario, sono sottratti ad ogni tipo di formalismo, non in ottemperanza al principio di libertà della forma quanto piuttosto per la dimensione giuridica del fenomeno stesso che ha una portata interna e privata piuttosto che positivo pubblicistica (alla stregua di un gentleman agreements o un’obbligazione naturale).

  1. La forma del patto di fiducia e l’atto unilaterale di fiducia. Le osservazioni della dottrina

La decisione della Corte sancisce la regola della libertà di forma del patto fiduciario anche nel caso di negozio fiduciario immobiliare, disconoscendo disconoscendo la tesi del contratto preliminare fin’ ora dominante e riaffermando un postulato fondamentale in materia di fiducia: l’accordo fiduciario limitativo dei poteri dell’avente causa ha mera rilevanza obbligatoria, non ha portata reale e non può considerarsi titolo causale di trasferimento immobiliare.

Tale impostazione è coerente con il concetto di fiducia ma pone dei problemi sul piano della

tutela giuridica del fiduciante. Infatti in assenza di un atto scritto dimostrativo dello schema

negoziale, il fiduciante ha l’onere di dimostrare l’esistenza del patto al fine di costringere il fiduciario ad adempiere.

La Corte a differenza di quanto asserito dalla tesi maggioritaria non ritiene necessaria la forma scritta per esperire l’azione ex art. 2932 cod. civ. ma concede l’accesso a tale rimedio anche in caso di patto fiduciario verbale purchè ovviamente lo stesso sia provato dall’attore.

Nel caso posto all’attenzione della Corte, nonostante l’assenza della forma scritta del patto fiduciario è stata accordata al fiduciante in ogni grado di giudizio la tutela di cui all’art. 2932 cod. civ. in virtù della sussistenza di un documento unilaterale attestante implicitamente l’esistenza del patto fiduciario.

Il fiduciario convenuto infatti aveva sottoscritto un documento in cui riconosceva l’intestazione fiduciaria del bene ammettendo implicitamente l’esistenza di un negozio fiduciario e quindi del pactum fiduciae.

L’esistenza di tale scrittura privata costituisce un elemento dirimente della questione relativa alla forma del patto fiduciario, perché attraverso la sua qualificazione giuridica è stato possibile per i giudici scardinare l’orientamento prevalente che riteneva obbligatoria la forma scritta del pactum ai fini dell’esercizio dell’azione costitutiva del trasferimento fiduciario ex art. 2932 cod. civ.

A giudizio delle Sezioni Unite l’atto unilaterale è qualificabile, quoad effectum sub art. 1988 cod.

civ. costituendo una dichiarazione ricognitiva di un debito che ha l’effetto di riconoscere implicitamente la fonte dell’obbligo di ri-trasferimento della proprietà del bene. Ed è quindi tale atto, in forza del principio di astrazione processuale sancito dalla norma citata, ad esonerare l’attore dalla prova dell’esistenza del patto fiduciario e ad accordare all’attore il diritto alla conclusione dell’atto di adempimento traslativo.

È bene chiarire che l’interpretazione data dalla Corte non contrasta con il principio di tipicità delle promesse unilaterali, in quanto l’atto unilaterale del fiduciario non viene ritenuto fonte d’obbligo ma documento dichiarativo di un fatto giuridicamente rilevante, infatti il richiamo della Corte è al solo art. 1988 cod. civ. e non a quello che lo precede.

Tale interpretazione non sembra inoltre contrastare con la ricostruzione dottrinale per cui l’attore convenendo in giudizio il fiduciario per l’esecuzione dell’atto di adempimento fiduciario, esibendo la scrittura unilaterale da questi sottoscritta, esprime il proprio consenso alla conclusione del contratto.

Tale tesi se da un lato ha il merito di riuscire ad ottenere un momento negoziale, tende dall’altro a forzare la natura giuridica dell’atto unilaterale del fiduciario classificandolo come proposta contrattuale. In ciò allontana il medesimo dalla sua vera essenza che sembra proprio quella individuata dalla Corte, ossia una ricognizione di una situazione di fatto divergente da quella di diritto, alla stregua di un atto “dissimulato”, con la particolarità di promanare da una sola delle parti.

L’analisi della sentenza, non permette dunque di trarre conclusioni pacifiche in ordine al fenomeno fiduciario, che come dice la corte va considerato e “risolto” a seconda del caso pratico.

Ciò che invece è possibile asserire è che ancora una volta viene sottolineata l’impossibilità di

assicurare rimedi di carattere reale volti a garantire il corretto adempimento del fiduciario.

D’altronde la questione va analizzata dalla prospettiva concreta della casistica fiduciaria. I negozi fiduciari sono spesso conclusi in ambienti familiari, o tra soggetti tra i quali vige un rapporto di reciproco affidamento, e chi pone in essere uno schema fiduciario spesso è mosso da intenti elusivi. Come detto il negozio fiduciario è spesso orientato a realizzare scopi che -se posti in essere secondo le figure negoziali disciplinate dall’ordinamento- entrerebbero  in contrasto con divieti e principi generali posti a tutela di beni giuridici fondamentali.

È per tale motivo che non può essere espressamente concessa al fiduciante una tutela giuridica sostitutiva del sentimento di lealtà che lo lega al fiduciario; la fiducia è e resta per il nostro ordinamento un fenomeno che rileva solo nel suo momento patologico e trova fondamento solo nella lealtà dei contraenti.

Avere la pretesa di imbrigliarla in formalismi o in regole positive significherebbe giurisdizionalizzare un fenomeno morale privandolo della sua essenza.

Qualora la fiducia diventasse diritto verrebbero meno la sua stessa utilità ed il suo utilizzo; la forza del patto fiduciario è nell’affidamento sulla leale e spontanea cooperazione del fiduciario e, viste le sue funzioni è fisiologica l’esigenza di segretezza che la previsione di un obbligo formale potrebbe compromettere. Ovviamente i vantaggi che sul piano pratico garantisce il corretto funzionamento del negozio fiduciario sono controbilanciati dall’alea dell’adempimento del fiduciario.

Va infine ricordato che il nostro ordinamento riconosce in ogni caso l’azione di ripetizione dell’indebito, pertanto in caso di inadempimento, il fiduciante ha comunque la possibilità di agire ex art. 2033 cod. civ. dando prova della sopravvenuta inesistenza della causa giustificativa del trasferimento fiduciario, recuperando ciò che era destinato al raggiungimento dello scopo finale.

Da quanto detto può asserirsi che, come per la simulazione, i problemi scaturenti dal difetto di funzionamento della negoziazione fiduciaria sono -per il fiduciario- meramente probatori.

Pertanto la questione della forma del patto fiduciario ha un rilievo processualistico ad probationem più che sostanzialistico ad substantiam.

III. PUBBLICITA’ IMMOBILIARE DEL NEGOZIO FIDUCIARIO

Inquadrato il negozio fiduciario come fattispecie complessa costituita da un momento negoziale  traslativo ed uno obbligatorio, tale architettura si riflette inevitabilmente sugli adempimenti pubblicitari nel caso in cui abbia ad oggetto un bene immobile.

Alla stregua di quanto osservato in merito all’analisi giuridica del fenomeno sul piano sostanziale  le questioni concernenti il riconoscimento della cittadinanza giuridica alla fiducia sono maggiormente accentuate sul piano della pubblicità immobiliare in ragione del principio di tassatività che regola la materia. Pertanto può automaticamente escludersi la possibilità di trascrivere e rendere opponibile la causa fiduciaria del contratto di trasferimento e del connesso obbligo di ri-trasferimento dal fiduciario al fiduciante, a meno che l’atto di alienazione non venga  posto in essere con un contratto di vendita con patto di riscatto o con l’apposizione di una clausola  risolutiva al trasferimento e si segua il disposto di cui all’art. 2659 cod. civ. ult. co.

È chiaro che nei due casi proposti verrebbe meno l’essenza stessa del negozio fiduciario in quanto  le figure negoziali menzionate e trascrivibili sarebbero funzionalmente incompatibili con la causa   fiduciae che, come precisato, è fondata sull’affidamento del fiduciante sulla lealtà del fiduciario.

Una volta concluso il trasferimento immobiliare dal fiduciante al fiduciario, l’atto, dovrà essere trascritto regolarmente ai sensi dell’art. 2643 cod. civ. n. 1) a favore del fiduciario, e tale trascrizione sarà opponibile erga omnes. Il principale vulnus è rinvenibile nell’impossibilità di pubblicizzare il patto fiduciario in quanto mero accordo obbligatorio non rientrante tra gli atti tassativamente previsti dalla legge come trascrivibili privi di efficacia reale, con la  conseguente  impossibilità del dante causa di godere di una tutela pubblicitaria adeguata.

Sulla trascrivibilità del patto fiduciario immobiliare sono state avanzate diverse ipotesi applicative.

La prima ravvisa la possibilità di avvalersi del sistema pubblicitario per rendere opponibile l’intesa fiduciaria, oltre all’atto traslativo, ai terzi può nel caso in cui il patto fiduciario avente ad oggetto l’obbligo di ri-trasferimento del bene sia qualificato come contratto preliminare e stipulato nella  forma dell’atto pubblico (o scrittura privata autenticata).

Un orientamento giurisprudenziale di legittimità ha sostenuto tale soluzione raffigurando la possibilità di garantire al fiduciario la trascrizione del pactum fiduciae ai sensi dell’art. 2645-bis cod. civ. ed ottenere in tal modo una manifestazione pubblicitaria dell’obbligo di ri- trasferimento.

Risulta però evidente che un tale inquadramento ha l’effetto di “snaturalizzare” il negozio fiduciario ed inoltre  non garantisce l’opponibilità ai terzi se non per un periodo circoscritto e nei limiti del cd. effetto  prenotativo che il legislatore conferisce alla trascrizione del contratto preliminare.

Il fiduciante, ricorrendo all’art. 2645-bis cod. civ. non potrebbe immediatamente opporre al terzo  avente causa dal fiduciario la titolarità sostanziale della proprietà del bene, ma nel limitato frangente temporale di tre anni dalla trascrizione del preliminare e previa trascrizione della domanda giudiziale di adempimento dell’obbligo a contrarre, dovrebbe attendere l’emanazione di una sentenza di esecuzione in forma specifica della conclusione del contratto ex art. 2932 cod. civ.

Lo specifico funzionamento della trascrizione del preliminare appare palesemente inappropriata  a soddisfare le esigenze di tutela del fiduciante rendendo tra l’altro gravosa e complicata la tutela del fiduciario.

Altra ipotesi di trascrizione del patto fiduciario è individuata dalla prassi negoziale dal vincolo di destinazione ex art. 2645-ter cod. civ.

La norma citata, come noto, ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità di rendere opponibile erga omnes, trascrivendolo, un vincolo di destinazione impresso su un bene immobile con l’effetto segregativo di separare il bene dal patrimonio del disponente e dell’eventuale attuatore dello scopo di destinazione. Gli effetti dirompenti della norma, che è stata impiegata per l’adempimento dell’obbligo di trascrizione del trust imposto dalla Convenzione dell’Aja del 1985, non sono sempre conciliabili con il contratto fiduciario.

Va in primo luogo precisato che il vincolo di destinazione è trascrivibile allorquando lo scopo da realizzare è meritevole di tutela e, secondo l’orientamento dottrinale dominante è predisposto a favore di soggetti diversi dal disponente; in secondo luogo il trasferimento della proprietà ad un “attuatore” è solo eventuale; infine la destinazione del bene limita le facoltà dell’esercizio del diritto di proprietà ed il potere di piena disposizione del bene.

Per quanto precisato, il negozio fiduciario nella maggior parte dei casi è posto in essere per assolvere funzioni diverse dall’etero-destinazione, anzi lo scopo del fiduciante è spesso quello di  beneficiare personalmente degli effetti e della gestione del bene alienato fiduciariamente, inoltre   è impensabile un ri-trasferimento della proprietà del bene al disponente da parte dell’attuatore in  quanto l’effetto segregativo è giustificato solo in relazione alla meritevolezza di tutela dello scopo, che, come detto deve necessariamente essere altruistico, e risulterebbe in tal caso sottoposto ad un controllo di natura pubblica.

Il ricorso alla trascrizione ex 2645-ter cod. civ. può pertanto giovare al fiduciante quando il trasferimento fiduciario è posto in essere nell’interesse di altri soggetti salvo però dare dimostrazione della meritevolezza dello scopo perseguito ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., senza considerare che  tra le ipotesi analizzate sembra  la più vicina alle caratteristiche del negozio fiduciario.

Vista la disciplina vigente in materia di pubblicità immobiliare può pacificamente concludersi che, salvo il ricorso all’art. 2645-ter cod. civ. nei casi di compatibilità delle intenzioni del fiduciante con i limiti della norma, del negozio fiduciario immobiliare può e deve essere trascritto solo il contratto traslativo della proprietà del bene dal fiduciante al fiduciario con gli effetti previsti dalla legge per la trascrizione dei contratti di alienazione immobiliare.

  1. TRASFERIMENTI FIDUCIARI TRA REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA E RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE

In tale contesto va messo in luce un altro importante aspetto della vicenda fiduciaria ossia il rapporto tra acquisto fiduciario e comunione dei beni del fiduciario da un lato e principio di garanzia patrimoniale ex art. 2740 cod. civ. dall’altro.

In merito alla possibilità che il bene trasferito al fiduciario entri a far parte della comunione legale  dei beni con l’obbligo -in caso di ri-trasferimento al fiduciante- del consenso del coniuge del fiduciario, sembra pacifico asserire che l’atto traslativo rientra nella nozione di acquisti prevista  dall’art. 177 cod. civ.

Non si può infatti ammettere per un tale tipo di trasferimento la sussistenza della già discussa tesi  dottrinaria dell’ “acquisto strumentale”, avanzata da alcuni dottori e suffragata da qualche sentenza di merito per l’acquisto in adempimento di un mandato senza rappresentanza; si è infatti detto che l’equiparazione del fiduciario al mandatario senza rappresentanza è quoad effectum e non ad  substantiam. Orbene per evitare che il bene cada in comunione è necessario che l’atto di trasferimento immobiliare sia posto in essere ex art. 179 lett. f) cod. civ. o che lo stesso si configuri come atto di trasferimento a titolo gratuito, ex lett. a) dello stesso articolo; nell’un caso  con l’intervento necessario in atto del coniuge e con dichiarazione espressa del medesimo, e nell’altro con l’osservanza delle prescrizioni formali previste per l’atto di donazione.

Altra soluzione potrebbe essere quella di vincolare anche il coniuge del fiduciario al pactum fiduciae, garantendo così al fiduciante piena tutela giuridica sul piano obbligatorio.

Per ciò che invece concerne la tutela del fiduciante rispetto ad eventuali rivendicazioni dei creditori del fiduciario sul bene oggetto del trasferimento si deve precisare che una volta perfezionata l’alienazione fiduciaria ed adempiute le formalità pubblicitarie, il bene entra a far parte del patrimonio del fiduciario in modo pieno, ed è pertanto aggredibile dai creditori dello stesso; il fiduciante non potrà opporre ai terzi l’esistenza del pactum fiduciae ma avrà solo un diritto al risarcimento del danno (da dimostrare!) nei confronti del fiduciario a seguito dell’inadempimento  del patto.

Nessun diritto di sequela può insistere sul bene trasferito, unico (forzato) escamotage potrebbe essere rappresentato dall’iscrizione di ipoteca legale in favore dell’alienante fiduciante ex art.       2817 cod. civ. n. 1), potendo interpretarsi l’impegno al ri-trasferimento del bene derivante dall’intesa fiduciaria quale obbligo dell’acquirente-fiduciario derivante dall’atto di alienazione. Altro problematico aspetto dell’alienazione fiduciaria concerne l’eventuale conflitto tra creditori  del fiduciante e del fiduciario a seguito dell’alienazione. In tal caso, salvo il diritto dei creditori  del fiduciante all’esercizio dell’azione revocatoria, il conflitto  può pacificamente essere risolto mediante il ricorso analogico alla disciplina dettata dal codice  per la tutela dei creditori in caso di simulazione.

È infatti ammissibile che se inter partes il negozio fiduciario non rappresenta un’ipotesi di interposizione fittizia, nei confronti dei terzi il trasferimento è sicuramente simulato, e pertanto la disciplina ex artt. 1415 e ss. cod. civ. può ritenersi applicabile per la risoluzione del conflitto che sarà deciso a favore dei creditori del fiduciante. In non poche ipotesi infatti il trasferimento fiduciario è proprio preordinato ad evitare l’esecuzione sul bene trasferito da parte dei creditori del fiduciante.

[1]   Sulla relazione di accessorietà tra fiducia ed assetto negoziale si veda V. M. TRIMARCHI, s.v. “Negozio fiduciario” in “Enciclopedia del Diritto”, XXVIII, 1978, Milano, Giuffrè, p. 308.

[2] Si riportano qui le più comuni definizioni del contratto di affidamento fiduciario consultabili su  https://biblioteca.fondazionenotariato.it/art/affidamento-fiduciario-sostegno-e-tutela-delle-fragilita-sociali.html :

«– il contratto di affidamento fiduciario è il contratto per mezzo del quale “l’affidante e l’affidatario fiduciario individuano le posizioni soggettive affidate e la loro destinazione a vantaggio di uno o più soggetti (beneficiari) in forza di un programma, la cui realizzazione è rimessa all’affidatario, che a tanto di obbliga”;

tale definizione, dovuta a M. Lupoi, pone l’accento sul programma destinatorio, cioè sull’attività cui è tenuto l’affidatario, più che sui beni e sulle loro vicende, ed è sostanzialmente ripresa dalla l. n. 43 del 2010 della Repubblica di San Marino:

– “L’affidamento fiduciario è il contratto col quale l’affidante e l’affidatario convengono il programma che destina taluni beni e i loro frutti a favore di uno o più beneficiari, parti o meno del contratto, entro un termine non eccedente novanta anni” (l. n. 43 del 2010 della Repubblica di San Marino).

Più sbilanciata sulla vicenda traslativa è invece la definizione proposta da E. Corallo:

– “Il contratto di affidamento fiduciario è un contratto in virtù del quale un soggetto (Affidante) si affida e trasferisce ad altro soggetto (Affidatario) beni/diritti con l’intesa che quest’ultimo li gestisca (anche disponendone) al fine di eseguire un certo Programma destinatorio”».

[3] In tema di negozio fiduciario la letteratura è sconfinata, si riporta ex plurimis  M. BIANCA,  La fiducia attributiva, Torino, Giappichelli, 2002; A. BORGIOLI,  s.v. “Società fiduciaria I) diritto commerciale”,  in “Enciclopedia  giuridica”, XXIX, Roma, Treccani, 1993, p.1 e ss.; L. CARIOTA FERRARA, I negozi fiduciari, Padova, ESI, 1933; U. CARNEVALI, s.v. “Negozio giuridico III, Negozio fiduciario”,  in “Enciclopedia giuridica” ,  XX, Roma, Treccani, 1990; A. GAMBARO, La proprietà, Milano, Giuffrè, 1995; G. CRISCUOLI, Fiducia e fiducie in diritto privato: dai negozi fiduciari ai contratti uberrimae fidei, Rivista di diritto civile, 1983, I, p. 136 ss.; A. DE MARTINI, Negozio fiduciario, negozio indiretto e negozio simulato, Giurisprudenza completa, XXII, 1946, II, p. 705 ss.; A. GENTILI, Società fiduciarie e negozio fiduciario, Milano, Longanesi, 1979; C. GRASSETTI, Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento, Rivista di diritto commerciale, 1936, I, p. 353 ss.; N. LIPARI, Il negozio fiduciario, Milano, Giuffrè, 1964; M. LUPOI, Trusts, Milano, Giuffrè, 2001; U. MORELLO, Fiducia e negozio fiduciario: dalla “riservatezza” alla “trasparenza”, in AA.VV. I Trusts in Italia oggi, a cura di Beneventi, Milano, Giuffrè, 1966; G. PALERMO, Autonomia negoziale e fiducia (Breve saggio sulla libertà delle forme), in AA.VV. Studi in onore di Rescigno, V, Milano, Giuffrè, 1998, p. 347 ss.; S. PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto civile. Metodo, Teoria, Pratica, Milano, Giuffrè, 1951, p. 232 ss.

[4] C. GRASSETTI, Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico, cit. p. 369 secondo il quale «di negozio fiduciario si può, nel nostro sistema, parlare, come negozio causale, di cui è caratteristica una atipica causa fiduciae. Questa causa è atipica nel senso che attraverso l’elemento di fatto di ogni negozio fiduciario le parti perseguono un intento che non è dal legislatore previsto in via specifica». Ed analogamente DE MARTINI Il concetto del negozio giuridico e la vendita a scopo di garanzia, in Giurisprudenza Italiana 1946, I, 2, il quale p. 326 intende il negozio fiduciario come «categoria giuridica tipizzata socialmente dalla cosiddetta causa fiduciae e indipendente dalle cause tipizzate legislativamente».

[5] Cfr. Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 1611 del 3 aprile 1989: «La vendita con patto di riscatto o di retrovendita, stipulata fra il debitore ed il creditore, la quale risponda all’intento delle parti di costituire una garanzia, con l’attribuzione irrevocabile del bene al creditore solo in caso di inadempienza del debitore è nulla anche quando implichi un trasferimento effettivo della proprietà (con condizione risolutiva), atteso che, pur non integrando direttamente il patto commissorio, previsto e vietato dall’art. 2744 c.c., configura mezzo per eludere tale norma imperativa, e, quindi, esprime una causa illecita, che rende applicabile la sanzione dell’art. 1344 c.c.»

[6] L’espressione è stata impiegata da A. GENTILI La forma scritta nel patto fiduciario immobiliare, Corriere giuridico, Milano, IPSOA, 2019, p. 1475 ss., commentando l’ordinanza di rimessione alla Cass. S.U. ed è stata mutuata dagli stessi giudici della Corte di Cassazione nella sentenza a Sezioni Unite del 6 Marzo 2020 n. 6459.

[7] Si rinvia alla pronuncia menzionata supra in nt. 6.

[8] Cfr. tra le ultime Cass. Civ., 25 maggio 2017, n. 13216, in Foro italiano, 2017, per cui: «Il pactum fiduciae, con il quale il fiduciario si obbliga a modificare la situazione giuridica a lui facente capo a favore del fiduciante o di altro soggetto da costui designato, richiede, allorché riguardi beni immobili, la forma scritta ad substantiam, atteso che esso è sostanzialmente equiparabile al contratto preliminare per il quale l’art. 1351 c.c. prescrive la stessa forma del contratto definitivo».

[9] In particolare l’obbligo di forma scritta è statuito dalla giurisprudenza di legittimità a partire dalla sentenza di Cass. Civ. S.U., 19 ottobre 1954, n. 3861, in Foro Italiano, 1955, I, 9; precedentemente a quella sentenza a Sezioni Unite, ex multis Cass. Civ., 18 marzo 1948, n. 427, in Foro Italiano, 1948, I, p. 281; Cass. Civ., 10 maggio 1951, n. 1038, in Giurisprudenza italiana, 1951, I, 1, p. 303. Per le sentenze successive, tra le altre, Cass. Civ., 26 gennaio 1955, n. 193, in Giustizia Civile, 1955, I, p. 710; Cass. Civ., 7 dicembre 1961, n. 2777, in Giurisprudenza italiana, 1961, I, 1, p. 855; Cass. Civ., 9 febbraio 1965, n. 2011, in Giustizia Civile, 1965, I, p. 1433;

[10] In particolare Cass. Civ. 27 Agosto 2012, n. 14654. E più recentemente Cass. Civ., 15 maggio 2014, n. 10633, in Giurisprudenza italiana, 2015, p. 582, con nota di S. STEFANELLI, in Contratti, 2015, p. 12 con nota di A. PATRONE.

[11] U. CARNEVALI Sulla forma del pactum fiduciae con oggetto immobiliare, Contratti, Milano, IPSOA, 2020, I, 59 ss. Cfr. anche U. BRECCIA Forme e atti collegati, AA.VV. Trattato del contratto (Formazione), a cura di V. Roppo, Milano, Giuffrè, 2006, p. 663.

[12] Cass. Civ. S.U., 6 Marzo 2020 n. 6459 in Giustiziacivile.com con nota di M. RIZZUTI; in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 4, Milano, Giuffrè, ottobre 2020, pp. 484 e ss. Con nota di V. DE LORENZI.

[13] Cfr. Cass. Civ. 2 settembre 2013 n. 20051 in Corriere giuridico, 2013 con nota di V. MARICONDA, lo stesso autore compie un’analisi più articolata del tema in Note in tema di forma del mandato immobiliare, in AA. VV. Studi in onore di Giorgio De Nova, III, Milano, Giuffrè, 2015, pp. 1977 ss

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