mercoledì, Ottobre 9, 2024
Criminal & Compliance

La Corte di Cassazione torna sul regime detentivo ex art. 41-bis O.P.: la musica come forma di rieducazione

1. Premessa

Il regime detentivo previsto dall’art. 41-bis O.P., in ragione delle sue peculiari caratteristiche che comportano un considerevole aumento di tutte quelle limitazioni già previste dalla permanenza all’interno degli istituti carcerari, è stata oggetto, nel corso degli anni, di numerose critiche e proposte di riforma.

Da ultimo la Camera dei deputati ha recentemente approvato il testo, risultante dall’unificazione dei d.d.l. 1951, 3106, 3184 e 3315 ed ora trasmesso per l’approvazione definitiva al Senato, per la modifica, tra le altre, della disciplina sull’ergastolo ostativo.

Tale intervento è motivato dall’esigenza di rispondere al monito con cui la Corte costituzionale, nell’ord. 97/2021, pronunciandosi in un giudizio incidentale sulla disciplina dell’ergastolo ostativo con particolare riferimento alla liberazione condizionale, ha rilevato profili di incostituzionalità nella normativa censurata e – secondo uno schema collaudato in tema di suicidio assistito (ord. 207/2018) e diffamazione a mezzo stampa (ord. 132/2020) – ha rinviato la trattazione delle questioni per concedere al Parlamento un congruo tempo per affrontare la materia, riservandosi il compito di verificare ex post la conformità a Costituzione delle decisioni effettivamente assunte.

Sia la giurisprudenza della CEDU che quella della Corte di Cassazione si sono più volte espresse in ordine al rapporto tra alcuni essenziali aspetti dell’art. 41-bis O.P. e i diritti del soggetto detenuto[1]. Proprio di recente la giurisprudenza di legittimità è ritornata sulla questione con riferimento alla possibilità, per il soggetto detenuto in regime di cui all’art. 41-bis O.P., di usufruire di cd e dei relativi strumenti elettronici.

2. Sul regime penitenziario di cui all’art. 41-bisP.

Prima di esaminare la pronuncia appare utile, al fine di evidenziare il contesto normativo, esaminare le principali caratteristiche dell’art. 41-bis O.P.-

L’art. 41-bis, c. 2, L. 354/75 è stato introdotto nell’ordinamento italiano dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306.

La norma in esso contenuta ha previsto fin dalla sua prima e originaria formulazione, un regime detentivo caratterizzato prevalentemente da una drastica riduzione delle opportunità di contatto della persona detenuta con il mondo libero. Tale modello di detenzione consiste in un elenco preciso e ora, anche parzialmente normativamente definito, di limitazioni alle residue libertà della persona incarcerata, ispirate all’esigenza di interrompere i collegamenti tra la stessa persona detenuta e l’associazione criminosa di appartenenza. Le disposizioni dell’art.41-bis intervengono sulle regole alle quali un detenuto deve attenersi in via ordinaria, sottraendo ulteriori spazi di libertà[2].

Per quanto attiene ai beni personali, al detenuto è consentito di avere un numero molto limitato di oggetti: nessun medicinale, nessuna fotografia, nessun quadro o poster, nessun orologio, nessun apparecchio elettrico o elettronico, ad eccezione di un televisore, di proprietà dello Stato, con ricezione di canali selezionati. La permanenza all’interno della cella si protrae per tutto l’arco della giornata ad eccezione di due ore nelle quali è possibile usufruire degli spazi all’aperto o delle sale ricreative. La cella inoltre è sottoposta a frequenti perquisizioni e controlli consistenti nella battitura delle inferriate delle finestre, nell’ispezione dei muri perimetrali, nel controllo della dotazione personale consentita e delle dotazioni dell’Amministrazione penitenziaria. Eventuali scritti come le lettere, salve particolari eccezioni, saranno sottoposti a censura o a visto di controllo, così come le letture che saranno limitate a quei pochi libri o a quelle riviste che avrà acquistato esclusivamente tramite la Direzione del carcere[3].

Per quanto attiene ai rapporti familiari, è consentito incontrare soltanto i parenti più stretti, in modo non riservato in appositi locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti e, quindi, in un contesto di assoluta costrizione, con frequenza non superiore a una volta al mese[4].

Le ulteriori e più incisive limitazioni riguardano la mancata partecipazione ai processi che lo riguardano dovendovi partecipare necessariamente attraverso il sistema della videoconferenza, la possibilità di ricevere dall’esterno somme in peculio superiori all’ammontare mensile stabilito ai sensi dell’art.57, c. 6, D.P.R. 30 giugno 2000, n.230, ovvero pacchi contenenti generi ed oggetti, in quantità superiore a due pacchi al mese. Inoltre il detenuto sottoposto a tale regime non potrà essere nominato né partecipare alle rappresentanze dei detenuti e degli internati né ricevere dall’esterno o acquistare al sopravvitto, generi alimentari che per il loro utilizzo richiedano cottura.

Si tratta a ben vedere di numerose ed importanti forme di limitazione di un soggetto che è già sottoposto al regime carcerario che intrinsecamente contiene delle limitazioni.

La ratio dell’introduzione di tale norma si fonda sulla necessità far fronte a specifiche esigenze di ordine e sicurezza, essenzialmente discendenti dalla necessità di prevenire ed impedire i collegamenti fra detenuti appartenenti a organizzazioni criminali, nonché fra questi e gli appartenenti a tali organizzazioni ancora in libertà, escludendo o fortemente limitando quei collegamenti che potrebbero realizzarsi attraverso l’utilizzo delle opportunità che l’ordinario regime carcerario, consente e in certa misura favorisce. L’art. 41-bis O.P. esula dalla logica della detenzione ordinaria o dalle normali regole contenitive e costrittive delineate per tutti i detenuti e impone regole o limitazioni di vita personale, fortemente invasive e penalizzanti, con il dichiarato scopo di garantire o tentare di garantire, l’impermeabilità del carcere rispetto all’esterno, in un’ottica orientata prevalentemente alla neutralizzazione della pericolosità[5]

In ragione delle innumerevoli limitazioni poste in essere l’art. 41-bis O.P. è stato oggetto di molti ricorsi avanti la Corte Costituzionale, che tuttavia hanno visto ben poche pronunce di accoglimento.

Con la sentenza n. 143/2013 la Corte era giunta ad una dichiarazione di incostituzionalità in relazione ad una questione relativa alla limitazione dei colloqui con i difensori dei detenuti soggetti al regime del carcere duro. Si trattava di una pronuncia in cui sulla riduzione di tali colloqui la scure dell’incostituzionalità non era scesa tanto per il fatto che il diritto di difesa non potrebbe, in quanto inviolabile, subire compressioni, ma in quanto il bilanciamento di cui la norma censurata era espressione non risultava ragionevole[6]. Viceversa con la sentenza n. 186/2018 la censura concerneva il divieto di cuocere cibi per i detenuti soggetti a tale regime di carcere duro; la Consulta, sulla base di una accurata motivazione, ha accertato l’assenza di ogni possibile giustificazione della norma e quindi ha dichiarato il parziale contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione[7]. La tematica ha inoltre investito anche la Corte di Strasburgo che in varie occasioni ha avuto modo di esprimersi circa il regime di cui all’art. 41-bis O.P.-

Le sentenze della Corte hanno nel tempo contribuito a limare alcune delle maggiori asperità del regime differenziato.

Difatti fin dalle pronunce[8] Calogero Diana e Domenichini, la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva rilevato le significative criticità con riferimento all’art. 8, quanto al controllo della corrispondenza dei ricorrenti sottoposti a regime differenziato, per la mancanza di base legale per consentire l’interferenza (possibile durata del provvedimento di controllo e motivazioni sottese alla emissione del medesimo) e l’assenza di un rimedio giurisdizionale accessibile: del resto, la Corte di Cassazione all’epoca affermava che “le contrôle de la correspondance d’un détenu constitue un acte de nature administrative; elle a aussi affirmé que le droit italien ne prévoit pas de voies de recours à cet égard, le visa de censure ne pouvant notamment pas faire l’objet d’un pourvoi en cassation, car il ne concerne pas la liberté personnelle du détenu[9].

Un secondo aspetto oggetto di molteplici pronunce, anch’esso sintomatico di una problematica per lungo tempo generalizzata, riguarda la violazione dell’art. 6 CEDU inteso come diritto di accesso a un Tribunale. Dalla sentenza Ganci[10] si cominciava ad evidenziare la criticità dei tempi di trattazione dei reclami avverso i decreti applicativi del regime differenziato da parte dei Tribunali di Sorveglianza e della Corte di Cassazione. Nel caso del ricorrente, che aveva impugnato otto dei nove decreti ministeriali, si giungeva in quattro casi a pronunce nelle quali veniva dichiarata la carenza di interesse del reclamante, poiché nel frattempo era intervenuto un nuovo decreto di rinnovo.

Proprio a seguito della pronuncia Ganci e della riforma introdotta con L. 23 dicembre 2002, n. 279, che stabilizzava il regime differenziato nell’Ordinamento Penitenziario, la Cassazione era intervenuta modificando la propria giurisprudenza precedente e ritenendo che un detenuto abbia comunque interesse ad ottenere una decisione, anche se il periodo di validità del decreto impugnato sia scaduto, in considerazione degli effetti diretti della decisione sui decreti successivi al decreto impugnato.

A parte i due aspetti evidenziati, la Corte europea non ha mai individuato violazioni convenzionali nell’esistenza in sé del regime differenziato e, anche quando interpellata per specifiche situazioni dei ricorrenti, ha sempre respinto le doglianze, ritenendo non superata quella soglia di gravità richiesta per la violazione sostanziale del predetto articolo.

Una novità in materia è tuttavia giunta dalla sentenza Provenzano contro Italia[11] In tale caso la condanna comminata dalla Corte riguarda la carenza motivazionale del decreto di rinnovo del regime del carcere duro, che comunque ha esplicato i propri effetti dal momento dell’emissione fino al decesso del ricorrente, avvenuto prima della celebrazione dell’udienza del Tribunale di Sorveglianza e quindi in una c.d. zona grigia. Orbene nella sentenza Provenzano sussiste quindi una presa di posizione della Corte europea non sul regime differenziato in sé, quanto piuttosto una evidenziazione di punti critici che riguardano le modalità di applicazione del regime stesso dal momento della sua inflizione ministeriale e la effettività di una impugnazione di legittimità sempre più dubbia e controversa[12]

3. L’uso dei CD-ROM e la compatibilità con il carcere.

La pronuncia (Cass. Pen., Sez. I, 15.04.2022, n. 14782) origina dal ricorso per cassazione presentato dal Ministero della Giustizia, per il tramite dell’Avvocatura di Stato, contro l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza che aveva accolto il reclamo giurisdizionale avverso l’anteriore decisione del Magistrato di sorveglianza proposto dal detenuto Carmine Amato, sottoposto al regime penitenziario di cui all’art. 41-bis O.P., il quale aveva lamentato di non essere stato autorizzato ad acquistare e detenere, all’interno della camera di pernottamento, compact disk (CD) musicali e relativo lettore digitale.

Permaneva, secondo il Tribunale, l’esigenza di salvaguardare, anche sotto il profilo della scelta di generi e brani eventualmente non trasmessi dai normali canali radiofonici o televisivi, quei piccoli gesti di normalità quotidiana che la Corte costituzionale individua come gli ultimi residui in cui può espandersi la libertà della persona ristretta in un istituto di pena, attraverso la scelta dei brani di suo interesse da ascoltare, non essendo i canali musicali accessibili dai principali canali televisivi nazionali né dalla radio, il cui ascolto è consentito solo in modalità AM.

I motivi del gravame si basavano, quanto al primo, sulla violazione degli artt. 35-bis, 41-bis e 69 O.P., in quanto il rimettente avrebbe compiuto, in tema di possesso e utilizzo di CD musicali e dei relativi supporti, una valutazione di merito in assenza dei presupposti delegittimanti l’intervento giudiziale.

Con il secondo si evidenziava l’esercizio, da parte della giurisdizione, di potestà riservate agli organi amministrativi dello Stato, in quanto l’art. 40 d.p.r. reg. es. O.P. e l’art. 14 della circolare n. 3676/6126 costituiscono regolamentazione del trattamento penitenziario e, nello specifico, dell’ascolto della musica riservata alla discrezionalità dell’Amministrazione penitenziaria.

Nel ritenere parzialmente meritevole di accoglimento il ricorso la Corte richiama alcuni recenti precedenti in materia.

In particolare la Suprema Corte ritiene che: “Le richiamate previsioni, storicamente datate, non valgano a stabilire una preclusione assoluta di utilizzo dello strumento per finalità diverse dalla consultazione di testi, rese attuali dall’evoluzione tecnologica; ciò anche considerato che la possibilità di ascoltare musica per mezzo dei CD rientra, a pieno titolo, nel contesto di quei «piccoli gesti di normalità quotidiana» che la Corte costituzionale ascrive ai legittimi ambiti di libertà residua del soggetto detenuto (…).L’interesse del detenuto, pur qualificato sotto il profilo trattamento, deve essere bilanciato con le esigenze di controllo dell’Amministrazione penitenziaria, particolarmente avvertita il proprio nei casi in cui, come quello in esame, il soggetto sia sottoposto a regime penitenziario differenziato”.

In tal senso infatti l’art. 41-bis O.P. prevede una serie di limitazioni all’ordinario trattamento intramurario, volte a impedire che il detenuto possa liberamente comunicare con l’esterno, mantenendo un legame con l’ambiente delinquenziale di provenienza e continuando, per tale via, partecipare alle attività illecite proprie del gruppo criminale di riferimento. In questa prospettiva, l’eventuale autorizzazione all’acquisto del lettore di CD musicali da parte della direzione d’istituto dovrebbe assicurare la piena salvaguardia di così pregnanti esigenze di sicurezza, ben potendo tali strumenti esser oggetto di manipolazione, al fine di introduzione in istituto di contenuti illeciti; di qui la necessità di assoggettarli a adeguate verifiche preventive.

Se quindi la preclusione non ha carattere assoluto, ben potendo il detenuto in regime speciale usufruire anche dei cd per l’ascolto della musica, occorre anche rapportare tale richiesta alle singole realtà penitenziarie.

Difatti la possibilità sul piano tecnico di procedere alla messa in sicurezza dei dispositivi di lettura dei dischi al fine di evitare manomissioni costituisce solo uno degli aspetti che il magistrato di sorveglianza è chiamato a valutare; accanto all’astratta possibilità di un siffatto intervento va, invero, apprezzata la diretta incidenza sull’organizzazione del carcere, in termini di risorse umane e materiali da destinare al relativo adempimento, anche nelle sue dimensioni quantitative.

Nel rinviare al Tribunale di sorveglianza per ulteriori valutazioni la Corte di Cassazione ritiene che: “Consegue a tali osservazioni la necessità che il Tribunale, prima di riconoscere il diritto del detenuto utilizzare dei lettori CD per uso ricreativo, verifichi se tale utilizzo, pure in assoluto non precluso dalla normativa vigente, possa nondimeno comportare inesigibili adempimenti da parte dell’Amministrazione penitenziaria, in relazione agli indispensabili interventi su dispostivi e supporti, tali da rendere ragionevole la scelta, operata dalla direzione del carcere, di non consentirne l’utilizzo”.

4. Brevi note conclusive.

Così come avvenuto con riferimento alle riviste per soli adulti e, più in generale, per il diritto alla sessualità dei detenuti, la Corte di Cassazione rileva – recependo le osservazioni della Consulta – apre degli spiragli significativi nei confronti di tutti quei piccoli gesti di normalità che permettono, anche ad un soggetto detenuto in regime di carcere duro, di riavvicinarsi alla quotidianità.

Appare indubbio che, viste le preclusioni in termine di misure alternative alla detenzione e di percorsi rieducativi, l’ascolto di cd musicali piuttosto che dal contenuto istruttivo rivestono, nei confronti dei detenuti in regime ex art. 41-bis O.P., un elemento tale da consentire la finalità rieducativa che connota la pena.

La musica fa bene al cuore e all’anima” (Platone).

 

 

[1] Con riferimento a tale aspetto la Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. I, 11.10.21, n. 36865.) si è pronunciata sul diritto dei detenuti in regime di cui all’art. 41-bis O.P. di accedere alle riviste per soli adulti, in modo da poter manifestare il proprio diritto alla sessualità.

[2] Sul punto si è parlato di imprisonment within prison.

[3] In riferimento al regime differenziato di cui all’art. 41-bis ord. pen., la CEDU aveva più di una volta evidenziato il contrasto tra il diritto al mantenimento delle relazioni affettive e le norme dell’ordinamento penitenziario che disciplinavano la corrispondenza dei detenuti, nella misura in cui queste non prevedevano, né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti, né i motivi che potevano giustificarle e non indicavano con sufficiente chiarezza l’ampiezza e le modalità di esercizio del potere di apprezzamento delle autorità competenti nel campo in questione; in tal senso decisione Diana c. Italia, 15 novembre 1996; Domenichini contro Italia, 15 novembre 1996; Rinzivillo c. Italia, 21 dicembre 2000; Natoli c. Italia, 9 gennaio 2001; Di Giovine c. Italia, 20 luglio 2001; Labita c/Italia 6/4/2000; Musumeci c/Italia, 11 gennaio 2005; De Pace c/Italia, 17 luglio 2008 Piacenti c/Italia 7 luglio 2009. In tali occasioni, la Corte europea ha ricordato che l’art. 8 della CEDU assicura ad ogni persona il «diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza», consentendo ingerenze dell’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto solo se previste dalla legge e costituenti misure necessarie, in una società democratica, «alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui». Il legislatore ha quindi provveduto ad una modifica delle regole attraverso l’introduzione nell’ordinamento penitenziario dell’art. 18 ter (introduzione avvenuta per effetto della legge n.95 del 2004). In tal modo è stata introdotta una tutela rafforzata della corrispondenza dei condannati da intendere come espressione del diritto di “comunicare il proprio pensiero” e/o di ricevere quello dei soggetti con cui si mantengono relazioni affettive”, nel quadro più generale del diritto alle relazioni affettive, “intangibile” anche in rapporto alle forme di restrizione più intensa della libertà personale, pur se correlata a reati di particolare gravità e al contenimento della accertata pericolosità; diritto che ha trovato ora riconoscimento normativo in una più ampia versione, nella legislazione ordinaria per effetto della norma di cui all’art. 1 comma 85 lettera n, della legge delega n. 103/2017 che prevede appunto che il Governo provveda al “riconoscimento del diritto all’affettività delle persone detenute e internate e disciplini le “condizioni generali per il suo esercizio”. L’art. 18-ter ord. pen., prevede, ora, un obbligo specifico di motivazione e un limite temporale stringente, salva la possibilità di proroghe, in ogni caso autonomamente motivate; in questo modo possono dirsi superati i rilievi mossi alla legislazione italiana alla disciplina della corrispondenza delle persone incarcerate che prevedeva bensì l’intervento dell’autorità giudiziaria, ma con provvedimento motivato genericamente sulle esigenze di sicurezza e privo di limiti temporali.

[4] A. Della Bella, Il “Carcere duro”, tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali – presente e futuro del regime detentivo speciale ex art.41 bis O.P., Milano, 2016.

[5] S. Romice, Brevi note sull’art. 41 bis O.P., in Giur. Pen., 2017, n. 12.

[6] F. Fiorentin, Regime speciale del 41.bis e diritto di difesa: il difficile bilanciamento tra i diritti fondamentali, in Giur. cost., 2013; V. Manes, V. Napoleoni, Incostituzionali le restrizioni ai colloqui difensivi dei detenuti in regime di “carcere duro”: nuovi tracciati della Corte in tema di bilanciamento dei diritti fondamentali, in DPC, 2013.

[7] .P.Dolso, Corte costituzionale, 41-bis OP e sindacato di ragionevolezza. Note a margine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 2018, in Giur. Pen., 2020, n.1-bis, Dentro il 41-bis

[8] Calogero Diana c. Italia, 21.10.1996, ric. n. 15211/89; Domenichini c. Italia, 15.11.1996, ric. n. 15943/90.

[9] Calogero Diana, cit., par. 21. Il riferimento nella pronuncia della Corte EDU è alle sentenze di Cassazione penale n. 3141 del 14.2.1990 e n. 4687 del 4.2.1992

[10] Ganci c. Italia, 30.10.2003, ric. n. 41576/98.

[11] Corte Europea Dei Diritti Dell’uomo, Prima Sezione, Provenzano C. Italia, Ric. N. 55080/13, 25 Ottobre 2018.

[12] M.S.Mori, A Strasburgo c’è un Giudice anche per i capimafia: con Provenzano non cade ma scricchiola il 41-bis, in Giur.Pen., 2020, n.1-bis, Dentro il 41-bis

Francesco Martin

Dopo il diploma presso il liceo classico Cavanis di Venezia ha conseguito la laurea in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a Ciclo Unico), presso l’Università degli Studi di Verona nell’anno accademico 2016-2017, con una tesi dal titolo “Profili attuali del contrasto al fenomeno della corruzione e responsabilità degli enti” (Relatore Chia.mo Prof. Avv. Lorenzo Picotti), riguardante la tematica della corruzione e il caso del Mose di Venezia. Durante l’ultimo anno universitario ha effettuato uno stage di 180 ore presso l’Ufficio Antimafia della Prefettura UTG di Venezia (Dirigente affidatario Dott. N. Manno), partecipando altresì a svariate conferenze, seminari e incontri di studi in materia giuridica. Dal 30 ottobre 2017 ha svolto la pratica forense presso lo Studio dell’Avv. Antonio Franchini, del Foro di Venezia. Da gennaio a luglio 2020 ha ricoperto il ruolo di assistente volontario presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia (coordinatore Dott. F. Fiorentin) dove approfondisce le tematiche legate all'esecuzione della pena e alla vita dei detenuti e internati all'interno degli istituti penitenziari. Nella sessione 2019-2020 ha conseguito l’abilitazione alla professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia e dal 9 novembre 2020 è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Venezia. Da gennaio a settembre 2021 ha svolto la professione di avvocato presso lo Studio BM&A - sede di Treviso e da settembre 2021 è associate dell'area penale presso MDA Studio Legale e Tributario - sede di Venezia. Da gennaio 2022 è Cultore di materia di diritto penale 1 e 2 presso l'Università degli Studi di Udine (Prof. Avv. Enrico Amati). Nel luglio 2022 è risultato vincitore della borsa di ricerca senior (IUS/16 Diritto processuale penale), presso l'Università degli Studi di Udine, nell'ambito del progetto UNI4JUSTICE. Nel dicembre 2023 ha frequentato il corso "Sostenibilità e modelli 231. Il ruolo dell'organismo di vigilanza" - SDA Bocconi. È socio della Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici”, e socio A.I.G.A. - sede di Venezia.

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