La legittimità dell’affidamento in house del servizio rifiuti ad una società pluripartecipata
Con una pronuncia della Sezione Quinta del 30 aprile 2018, n. 2599, il Consiglio di Stato si è definitivamente pronunciato sulla legittimità dell’affidamento in house del servizio di rifiuti urbani a società pluripartecipata da più Pubbliche Amministrazioni.
In particolare, poiché sia ritenuto sussistente il requisito del controllo analogo non è indispensabile che ciascuna delle P.A. partecipanti al capitale della società affidataria detenga da sola un potere di controllo individuale sulla società, bensì è sufficiente che sia presente un controllo congiunto effettuato dai soci pubblici, tramite la partecipazione al capitale, agli uffici direttivi e senza che le finalità della società siano in contrasto con gli interessi dei partecipanti.
Tale controversia ha origine da un ricorso proposto al Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo – sezione staccata di Pescara, ove venivano impugnati gli atti con cui un Comune locale aveva affidato in house il servizio di igiene urbana, per una durata di dieci anni, ad una società partecipata da vari enti locali della Provincia di Chieti, tra cui il medesimo Comune affidante, per una quota ridotta del 6,53% del capitale.
Tra i vari motivi di ricorso, la società ricorrente riportava l’assenza dei requisiti dell’in house providing[1], ed in particolar modo per quanto riguarda il controllo analogo.
Il giudice di primo grado riteneva infatti che sia il Comune affidante che gli altri enti locali partecipanti al capitale sociale della società pluripartecipata non disponevano di poteri di controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. Veniva infatti reputata “insufficiente la partecipazione al comitato assembleare per il controllo analogo – organo rappresentativo delle amministrazioni pubbliche partecipanti previsto ad hoc dallo statuto societario – poiché privo di poteri di ingerenza tali da vincolare l’operato dell’organo di amministrazione”. Inoltre, la composizione del comitato non era tale da garantire una adeguata rappresentatività degli enti locali affidanti, posto che: “alla elezione dei relativi membri concorrevano anche i comuni che, pur partecipando al capitale sociale della società in questione, non avevano affidato alla stessa i servizi di igiene urbana”.
Sulla scorta di tali motivazioni, il giudice di prime cure aveva pertanto annullato l’affidamento dichiarando contestualmente inefficace il contratto medio tempore stipulato tra le parti resistenti.
In sede di appello, il Supremo Organo Amministrativo effettua una lettura della controversia basata su di un punto di vista completamente differente.
Innanzitutto, ritiene che il requisito del controllo analogo vada interpretato in senso funzionale e perciò valutato in relazione ai servizi erogati dalla società partecipata.
Difatti, lo statuto della società partecipata si fonda sul principio di uguaglianza dei soci pubblici e non è per contro esigibile che ciascuno di essi eserciti individualmente un controllo “totale e assoluto” sull’ente in house, ma è sufficiente che vi possa concorre su base paritaria con le altre amministrazioni partecipanti.
Inoltre, a favore di tale lettura, concorre la Giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, la quale afferma che in caso di società partecipata da più autorità amministrative: “non è indispensabile che ciascuna di queste detenga da sola un potere di controllo individuale sulla società”, ma è sufficiente che: “i soci pubblici esercitino un controllo congiunto, attraverso la partecipazione di ciascuno di essi sia al capitale, sia agli organi direttivi dell’entità suddetta”[2].
In linea con tale interpretazione, la medesima Corte ha inoltre affermato che non è necessario il possesso di una quota minima di partecipazione al capitale sociale[3]; per contro occorre che: “in virtù della partecipazione azionaria acquisita non sia preclusa alla singola autorità la benché minima possibilità di partecipare al controllo sulla società”.
In tale maniera, la Corte di Giustizia ha declinato il requisito dell’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di tale entità che contraddistingue l’in house providing come controllo esercitabile in modo collettivo da tutti gli enti pubblici partecipanti e, per quanto concerne la posizione del singolo, in modo effettivo, secondo i meccanismi di funzionamento dell’ente societario partecipati disciplinati dallo statuto[4].
Da ultimo, detto orientamento è stato poi positivizzato dall’art. 12, comma 3, della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, a mente del quale il controllo congiunto ricorre tra l’altro quando gli organi decisionali della persona giuridica controllata: “sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti”, con la precisazione che: “singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti”. Il recepimento all’interno del nostro ordinamento si è avuto con l’attuale codice dei contratti pubblici, decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 all’art. art. 5, comma 5, lett. a) e all’art. 2, comma 1, lett. d)[5].
Nella medesima prospettiva tracciata dalla Corte di giustizia, in una precedente pronuncia (sentenza 18 luglio 2017, n. 3554), il Consiglio di Stato ha affermato che il requisito dell’in house providing di cui si tratta è soddisfatto, e non eluso, quando la possibilità del singolo ente pubblico, partecipante allo 0,1% del capitale, di influire sulla gestione della società partecipante è tra l’altro consentita attraverso un meccanismo di elezione dell’organo amministrativo che le permette di designare un suo rappresentante sia in via individuale, sia tramite la partecipazione “a cordate di soci”.
Pertanto, alla luce delle sopra esposte motivazioni, Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello affermando che, in linea con i citati artt. 12 della direttiva 2014/24/UE e 5 del codice dei contratti pubblici, affinché il requisito del controllo analogo in caso di società in house pluripartecipata sia soddisfatto, occorre che le amministrazioni pubbliche in possesso di partecipazioni di minoranza possano comunque esercitare il controllo analogo in modo congiunto rispettando i requisiti dell’in house providing, di seguito riassunti:
- a) gli organi decisionali dell’organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero, siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti;
- b) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato;
- c) l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti.
[1] Come il lettore esperto saprà, l’in house providing è utilizzata per designare quelle ipotesi nelle quali la pubblica amministrazione decide di ricorrere all’autoproduzione di beni, servizi e lavori, anziché rivolgersi al mercato rispettando procedure di evidenza pubblica. L’espressione “in house providing”, in particolare, è comparsa per la prima volta in sede comunitaria nel Libro Bianco sugli appalti del 1998, ma la prima definizione dell’istituto è stata fornita dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee con la storica sentenza “Teckal” (sentenza 18 novembre 1999 in causa C-107/98). Per un approfondimento si veda A. ILACQUA, “L’in house nelle recenti riforme amministrative”, Foro Amministrativo (Il), Giuffrè, fasc.11, 2016, pag. 2805.
[2] Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 29 novembre 2012, C-182/11 e C-183/11, Econord.
[3] Cfr. nello stesso senso Cons. Stato, V, 18 luglio 2017, n. 355.
[4] Ragionamento accolto dal medesimo Consiglio di Stato in Cons. Stato, V, 26 maggio 2015, n. 2602.
[5] Il quale afferma che: “controllo congiunto analogo si ha nel caso in cui «l’amministrazione esercita congiuntamente con altre amministrazioni su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”.
Laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Roma – Roma Tre, Fabrizio ha sviluppato fin da subito un forte interesse per le materie del diritto amministrativo e del diritto dell’ambiente, realizzando una tesi intitolata “Gli oneri di bonifica dei rifiuti con particolare riferimento alla c.d. Terra dei Fuochi”.
Si è specializzato in tale settore conseguendo con successo un Master di II livello in Diritto dell’Ambiente presso l’Università degli Studi di Roma – Roma Tre.
Date le peculiari esperienze ha potuto svolgere un internship presso il Dipartimento Ambiente di Roma Capitale, dove ha avuto la possibilità di collaborare con il relativo Ufficio Appalti ed altresì con la Giunta e gli Uffici preposti alla stesura del “Regolamento del Verde e del Paesaggio di Roma Capitale”, primo testo normativo e programmatico sulla gestione del verde della Capitale.
Dopo una proficua esperienza lavorativa all’interno della sezione Administrative Law, Public Procurement & Environment and Waste della Law Firm internazionale Lexxat, ottiene l’abilitazione alla professione forense e svolge attività di consulenza in diritto amministativo e appalti per SLT e Ernst&Young, oltre varie collaborazioni.
Contatti: ciotta.fabrizio@gmail.com