La pronuncia della Corte Costituzionale in merito alla legge Merlin
La principale funzione svolta dalla norma penale si sostanzia nella protezione di un bene giuridico ritenuto dall’Ordinamento meritevole di tutela, non potendo il legislatore, quindi, reprimere la mera disobbedienza ovvero punire condotte perché ritenute socialmente immorali.
Questa impostazione trae linfa dal principio di offensività che muove l’intera materia penale e che impone al legislatore di disegnare norme incriminatrici compatibili sia con il principio suddetto e sia con i principi Costituzionali.
In virtù del principio di offensività, si richiede che al fine di un ragionevole e legittimo rimprovero all’agente, che ha commesso un fatto di reato, è necessario che l’azione posta in essere abbia comportato un’effettiva offesa al bene giuridico (offesa che può essere provata empiricamente dal giudice). Ed è tale la ragione perché sebbene vi siano delle condotte ritenute non propriamente morali queste sfuggono alla repressione della norma incriminatrice, in assenza di una lesione al bene giuridico.
Da ciò la dottrina si è interrogata riguardo la compatibilità di alcune condotte ritenute penalmente rilevanti con il principio di offensività , soffermandosi particolarmente sull’attività di prostituzione, la quale è stata oggetto di un annoso dibattito tra gli esponenti dei partiti politici.
Nel quadro legislativo che ha interessato la prostituzione non può non menzionarsi la c.d. legge Merlin, così definita in onore della promotrice del progetto di legge Lina Merlin (senatrice della Repubblica italiana), la quale constatò come l’esercizio del meretricio costituisse un fenomeno in continua espansione e che fosse necessario un intervento tempestivo per frenare le possibili e pericolose conseguenze derivabili.
Tra i punti principali del progetto di riforma vi erano annoverati la chiusura delle case di tolleranza, l’abrogazione della regolamentazione della prostituzione e l’introduzione di nuove reati, onde evitare l’ampliamento dell’attività di prostituzione.
A tal riguardo si evidenziava che l’attività della prostituzione, svolta in qualsiasi forma, fosse lesiva per la dignità della donna, in quanto posta in situazioni altamente pericolose e costretta a condizioni igienico-sanitarie precarie.
Di diverso avviso erano invece alcuni esponenti dei partiti radicali e liberisti i quali consideravano l’attività di meretricio alla stregua di qualsiasi attività lavorativa economica e che quindi, in conformità con i principi costituzionali, la predetta attività dovesse essere lasciata libera, laddove la donna decida spontaneamente e liberamente di “vendere il proprio corpo”, precisando che l’esecuzione di prestazione sessuali deve essere svolta in condizioni di sicurezza e fuori dai contesti di illegalità.
Inoltre, ulteriore argomentazione in senso negativo all’abolizione delle case di tolleranza fu che reprimere la condotta del cliente (inteso come mero consumatore) e del lavoratore sono soluzioni che contrastano con il dettato Costituzionale, in particolare con gli artt. 2 e 13 della Cost. che invece proclamano la possibilità per l’uomo di autodeterminarsi liberamente.
Proprio in virtù delle possibili ombre in incostituzionalità presenti nel progetto di legge, la questione non si risolse pacificamente ed invero ne scaturì un dibattito che si concluse nel 1958 con l’approvazione della legge n. 75 definita “Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui” (meglio nota come legge Merlin)[1].
Nel corso degli anni gli approdi giurisprudenziali sono stati molteplici, soprattutto nel tentativo di chiarire i contorni sfumati della predetta legge.
Numerosi sono stati anche gli interventi della Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi in merito alle questioni di incostituzionalità frequentemente sollevate. Le risposte della Corte, sempre di senso negativo, hanno confermato la legittimità delle norme previste dalla legge Merlin.
Recentemente la Corte Costituzionale è stata nuovamente interpellata dalla Corte d’Appello di Bari in seguito al processo “escort” Tarantini-Berlusconi[2].
Nel caso di specie la Corte d’Appello di Bari aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale con riguardo alle condotte di favoreggiamento e reclutamento della prostituzione, di cui all’art. 3[3], co. 1, nn. 4) e 8), della legge 20 febbraio 1958, n. 75 (c.d. Legge Merlin).
Precisamente, i Giudici evidenziavano dubbi circa la ratio della norma, poiché se l’attività di prostituzione venisse considerata lecita e non incriminata, in virtù della libera scelta riguardo la propria sessualità, non dovrebbero neppure sanzionarsi quelle condotte che in qualche modo alimentino la prostituzione e quindi, sulla scorta di queste argomentazioni, rilevavano l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della l. n. 75 del 1958 con gli art. 2, 3, 13, 25, comma 2°, 27 e 41 della Costituzione.
All’attenzione dei Giudici della Legge vengono sottoposte due condotte: favoreggiamento e reclutamento, le quali devono essere comparate con il principio di offensività, accertando l’effettiva lesione del bene giuridico tutelato. Il problema non è di facile risoluzione perché si tratta di comprendere quale sia il bene giuridico effettivamente tutelato dalla norma.
La legge Merlin, approvata in un contesto storico differente da quello attuale, mirava a tutelare la moralità pubblica, questa esigenza con il decorso del tempo sembrerebbe essere scemata, andandosi a preferire la salvaguardia della libera autodeterminazione sessuale di ogni persona.
Dunque, venuta meno questa necessità dovrebbero fuoriuscire dall’area del penalmente rilevante quelle condotte parallele dell’attività della prostituzione, quali appunto il favoreggiamento e il reclutamento.
Giova ricordare, prima di procedere alla disamina della sentenza n. 141/2019[4], i tre modelli[5] succedutesi cronologicamente e che si sono interessati della disciplina dell’attività di meretricio:
- Modello regolamentista[6]: esistente prima dell’entrata in vigore della legge Merlin, che disciplinava l’attività di prostituzione e che riteneva legali le case di sicurezza.
- Modello proibizionista: che interpreta l’attività di prostituzione in senso più restrittivo e rigoroso, tentando di neutralizzare il fenomeno con l’allargamento della punibilità, condannando non solo la prostituta ma anche il cliente.
- Modello abolizionista: che tende ad approcciarsi al fatto in senso più tollerante, nella misura in cui si punisce unicamente chi alimenta la prostituzione e non l’attività di prostituzione in sé.
Sulla scorta di questa ricostruzione e seguendo il modello abolizionista, il Giudice delle Leggi rigetta la q.l.c. dell’art. 3 l. 75/1958 chiarendo che:
“anche nell’attuale momento storico, quando pure non si sia al cospetto di vere e proprie forme di prostituzione forzata, la scelta di “vendere sesso” trova alla sua radice, nella larghissima maggioranza dei casi, fattori che condizionano e limitano la libertà di autodeterminazione dell’individuo”.
Nella medesima sentenza, oltre che riconfermare le scelte politico-criminale attuate con la legge Merlin, la Corte Costituzionale tende ad attribuire una nuova chiave di lettura all’espressione dignità, intesa in senso oggettiva o impersonale.
Precisando che il meretricio è un’attività degradante per la dignità umana e che non sempre detta attività rappresenta una scelta libera, frequentemente accade che la ragazza che offre prestazione sessuali a scopo di lucro sia fortemente influenzata dal contesto familiare ed economico.
Inoltre, la prostituzione rappresenta un’attività altamente pericolosa per la salute e per l’incolumità della prostituta.
Alla stregua di quanto detto la Consulta conclude che non è irragionevole punire le condotte collaterali alla prostituzione se queste abbiano lo scopo di alimentare il fenomeno. Tuttavia, ai fini della configurabilità di una responsabilità penale è necessario verificare la concreta lesiva della condotta.
Dovendo preliminarmente accertare che la scelta di prostituirsi sia libera e svincolata da qualsiasi costrizione, se tale esame avrà esito negativo si configura il reato di favoreggiamento o reclutamento. Si dovrà successivamente valutare se predette condotte sono state determinati nella scelta della donna di prostituirsi.
Infine, il giudice dovrà tenere conto dello svolgimento dell’attività di meretricio, nella misura in cui dovrà valutare il grado di sicurezza in cui viene eseguita.
All’esito di questo esame, il giudice potrà determinarsi per l’inoffensività o meno delle condotte collaterali della prostituzione.
In chiusura, dalla sentenza si deduce che si ritengono compatibili con il principio di offensività le condotte di cui all’art.3 l.75/1958 e quindi, ancora una volta la Corte Costituzionale salva la legge Merlin, confermando la sua legittimità costituzionale.
[1] Per una lettura completa della legge si veda qui: www.gazzettaufficiale.it
[2] Sentenza del Tribunale di Bari del 13 Novembre del 2015.
[3] Art. 3 l. 75/1958 c. 1 n. 4) chiunque recluti una persona al fine di farle esercitare la prostituzione, o ne agevoli a tal fine la prostituzione;
5) chiunque induca alla prostituzione una donna di età maggiore, o compia atti di lenocinio, sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia a mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità;
[4] Per un approfondimento si veda qui: www.cortecostituzionale.it
[5] Con riferimento ai tre modelli si legga qui: www.camera.it
[6] Il riferimento è al Testo unico delle leggi di Pubblica sicurezza (r.d. 18 giugno 1931, n. 773) e del relativo regolamento esecutivo (r.d. 6 maggio 1940, n. 635) che tolleravano l’attività prostitutiva soltanto se esercitata in luoghi autorizzati e dichiarati come «locali di meretricio» ai sensi dell’art. 190, r.d. n. 773 del 193120 (le c.d. maisons de tolérance).
Fonte immagine: www.ansa.it
Tayla Jolanda Mirò D’aniello nata ad Aversa il 4/12/1993. Attualmente iscritta al V anno della facoltà di Giurisprudenza, presso la Federico II di Napoli. Durante il suo percorso univeristario ha maturato un forte interesse per le materie penalistiche, motivo per cui ha deciso di concludere la sua carriera con una tesi di procedura penale, seguita dalla prof. Maffeo Vania. Da sempre amante del sistema americano, decide di orientarsi nello studio del diritto processuale comparato, analizzando e confrontando i diversi sistemi in vigore. Nel privato lavora in uno studio legale associato occupandosi di piccole mansioni ed è inoltre socia di ELSA “the european law students association” una nota associazione composta da giovani giuristi. Frequenta un corso di lingua inlgese per perfezionarne la padronanza. Conseguita la laurea, intende effettuare un master sui temi dell’anticorruzione e dell’antimafia.