lunedì, Dicembre 2, 2024
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Le invenzioni in campo universitario: a chi spetta la paternità dei diritti patrimoniali?

Ad oggi molto di rado i nuovi ritrovati della tecnica vengono concepiti alla luce fioca di un garage. Seppur non manchino delle invenzioni frutto di geni solitari, sempre più spesso le ideazioni sono il risultato di un complesso lavoro di squadra svolto in un contesto aziendale. Tale mutamento è derivato dal fatto che le invenzioni sono sempre più specialistiche con elevati costi di ricerca e perché nonostante gli ingenti finanziamenti spesso si raggiungono solo lievi mutamenti rispetto al ritrovato conosciuto e quindi un modesto riscontro economico.

La nuova impostazione di ricerca, però, ha sollevato molteplici problemi riguardo la titolarità dei diritti derivanti dalla brevettazione: nel caso in cui un’invenzione sia fatta in ambito lavorativo a chi spettano i diritti derivanti dalla stessa?

Il legislatore non ha dato una risposta univoca, ma ha delineato diverse ipotesi differenziate in base al rapporto intercorrente tra il dipendente ed il datore di lavoro.

In primis, però, è necessario distinguere i diritti conseguenti dal brevetto: il diritto morale ad esser riconosciuto autore dell’invenzione[1], ed i diritti di sfruttamento che permettono di attuare l’invenzione e trarne profitto nel territorio dello Stato[2]. La bipartizione è necessaria per garantire all’inventore il riconoscimento della paternità del ritrovato e d’altra parte permette che i diritti patrimoniali vengano conferiti ad un soggetto diverso, il titolare.

Sebbene sia previsto che le due figure possano coincidere questo accade di rado, in particolar modo nel campo delle invenzioni dei dipendenti. Posta l’inalienabilità del diritto morale, come vengono distribuiti i diritti economici derivanti dall’invenzione di un dipendente?

In primo luogo è necessario distinguere se l’inventore lavori nel settore privato o pubblico.

Nel caso d’invenzioni fatte all’interno del settore privato[3] il legislatore ha ipotizzato tre possibili scenari la cui regolamentazione varia in base alla tipologia contrattuale a cui è legato l’inventore:

  • Se il contratto prevede una specifica retribuzione per l’attività di ricerca i diritti patrimoniali spettano al datore di lavoro (invenzioni di servizio).[4]
  • Se il contratto non prevede una specifica retribuzione per l’attività inventiva i diritti patrimoniali spettano al datore di lavoro, se vuole usare il brevetto o utilizzarla in regime di segreto industriale[5], ma dietro equo compenso per il lavoratore (invenzioni d’azienda).[6]
  • Se il contratto è completamente indipendente rispetto l’invenzione, ma rientri nel campo di attività del lavoratore il legislatore dà al datore di lavoro un diritto d’opzione sull’invenzione a fronte della liquidazione di un canone a favore dell’inventore (invenzioni occasionali).[7]

Ciò accade se l’inventore è alle dipendenze di un’azienda privata, ma come vengono gestiti i diritti qualora l’invenzione venga fatta in campo universitario o nello svolgimento di un’attività presso un ente pubblico?

Il codice della proprietà industriale all’art. 65 prevede che quando il rapporto di lavoro intercorre con un’università o con una pubblica amministrazione avente tra i suoi scopi istituzionali finalità di ricerca, il ricercatore è titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione brevettabile di cui è autore.[8]

Vi è un totale capovolgimento della titolarità dei proventi economici e questo perché il ritrovato è frutto di un’attività di ricerca “libera” svolta nell’ambito delle sue funzioni istituzionali. Cosa spetta allora all’Ateneo o alla p.a.? Il ricercatore oltre ad avere l’onere di depositare la domanda di brevetto, sostenendone in toto i costi, ha l’obbligo d’informare l’ente per cui lavora del ritrovato. Inoltre il secondo comma dell’art. 65 c.p.i.[9] riconosce, anche se implicitamente, il diritto del datore di lavoro a percepire una congrua parte del ricavato derivante dallo sfruttamento del brevetto. Il Codice, però, in materia risulta lacunoso determinando solo le soglie percentuali minime degli utili spettanti al ricercatore ed all’ente pubblico[10]; l’esatta distribuzione dei proventi viene, quindi, lasciata alla regolamentazione contrattuale.[11]

Il Codice riconosce, infine, un’ulteriore facoltà all’ente: in caso di mancata attuazione dell’invenzione per almeno cinque anni dalla domanda di brevetto l’ente acquisisce una licenza non esclusiva a titolo gratuito per sfruttare il ritrovato.

Qualora però il ricercatore del servizio pubblico venga sovvenzionato da finanziamenti privati? Si possono applicare le disposizioni suesposte? Quest’eventualità è assai comune, un esempio su tutti è occorso nei primi mesi del 2018 con la presentazione della mano bionica “Hannes” frutto della collaborazione tra l’istituto previdenziale Inail e l’Istituto Italiano di Tecnologia. Tale schema è divenuto sempre più usato in quanto permette di unire le potenzialità di ricerca proprie degli enti pubblici di ricerca con il know how ed il patrimonio proprio di un’azienda privata.[12]

Come dividere allora i diritti patrimoniali in caso di sovvenzioni private? In materia il codice stabilisce solo che “le disposizioni del presente articolo (art. 65) non si applicano nelle ipotesi di ricerche finanziate, in tutto o in parte, da soggetti privati ovvero realizzate nell’ambito di specifici progetti di ricerca finanziati da soggetti pubblici diversi dall’università, ente o amministrazione di appartenenza del ricercatore”[13]Pertanto nel caso di finanziamenti privati la deroga prevista dall’art. 65 non si applica, ma altresì i diritti non possono essere regolamentati ai sensi dell’art. 64 c.p.i. sopra esposto quindi, posto che i ricercatori non ne potranno essere i titolari, a chi spetteranno i proventi del brevetto? All’ente pubblico o al privato finanziatore della ricerca? Nel silenzio del codice la maggior parte della dottrina ritiene che tali diritti siano liberamente determinabili con un contratto sottoscritto tra l’ente ed il finanziatore. Si tratta di contratti di ricerca dove oltre a regolare nel dettaglio gli aspetti economici, viene disciplinato il programma di ricerca e la gestione delle conoscenze maturate.

In conclusione possiamo dire che se il ricercatore è unicamente dipendente del settore pubblico godrà della titolarità dei diritti di sfruttamento, ma è tenuto a versare un canone, in percentuale agli utili, all’università.[14]

Se invece il ricercatore, pur restando un dipendente pubblico, riceve finanziamenti da un privato i diritti patrimoniali non solo si ampliano andando a ricomprendere, oltre agli utili, l’acquisizione di conoscenza appresa nella fase di ricerca, ma verranno distribuiti in base a patti privati.

 

[1]L’art. 62 c.p.i.:Il diritto di essere riconosciuto autore dell’invenzione puo’ essere fatto valere dall’inventore e, dopo la sua morte, dal coniuge e dai discendenti fino al secondo grado; in loro mancanza o dopo la loro morte, dai genitori e dagli altri ascendenti ed in mancanza, o dopo la morte anche di questi, dai parenti fino al quarto grado incluso.

[2]L’ art. 63 c.p.i.: I diritti nascenti dalle invenzioni industriali, tranne il diritto di essere riconosciuto autore, sono alienabili e trasmissibili.

Il diritto al brevetto per invenzione industriale spetta all’autore dell’invenzione e ai suoi aventi causa.

[3]Per approfondire la regolamentazione delle invenzioni fatte da dipendenti di aziende private consultare http://www.iusinitinere.it/retribuzione-trattamento-economico-previsto-lattivita-inventiva-3678

[4]L’art. 64 1° comma c.p.i.: Quando l’invenzione industriale è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d’impiego, in cui l’attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall’invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore.

[5]Per approfondire come si può proteggere e sfruttare un’invenzione consultare

http://www.iusinitinere.it/come-proteggere-le-proprie-invenzioni-brevetto-o-segreto-industriale-10432

[6]L’art. 64 2° comma c.p.i.: Se non è prevista e stabilita una retribuzione, in compenso dell’attività inventiva, e l’invenzione è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all’inventore, salvo sempre il diritto di essere riconosciuto autore, spetta, qualora il datore di lavoro o suoi aventi causa ottengano il brevetto o utilizzino l’invenzione in regime di segretezza industriale, un equo premio per la determinazione del quale si terrà conto dell’importanza dell’invenzione, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall’inventore, nonchè del contributo che questi ha ricevuto dall’organizzazione del datore di lavoro. Al fine di assicurare la tempestiva conclusione del procedimento di acquisizione del brevetto e la conseguente attribuzione dell’equo premio all’inventore, può essere concesso, su richiesta dell’organizzazione del datore di lavoro interessata, l’esame anticipato della domanda volta al rilascio del brevetto

[7]L’art. 64 3° comma c.p.i.: In ogni caso, l’inventore ha diritto a non meno del cinquanta per cento dei proventi o dei canoni di sfruttamento dell’invenzione. Nel caso in cui le università o le amministrazioni pubbliche non provvedano alle determinazioni di cui al comma 2, alle stesse compete il trenta per cento dei proventi o canoni.

[8]La norma usa il termine ricercatore per indicare tutto il personale universitario strutturato (i professori, i dipendenti addetti alla ricerca e i titolari di borsa di studio ecc.).

[9]L’art. 65 2° comma c.p.i.: Le Università e le pubbliche amministrazioni, nell’ambito della loro autonomia, stabiliscono l’importo massimo del canone, relativo a licenze a terzi per l’uso dell’invenzione, spettante alla stessa università o alla pubblica amministrazione ovvero a privati finanziatori della ricerca, nonché ogni ulteriore aspetto dei rapporti reciproci.

[10]L’art. 65 4° comma c.p.i.: Trascorsi cinque anni dalla data di rilascio del brevetto, qualora l’inventore o i suoi aventi causa non ne abbiano iniziato lo sfruttamento industriale, a meno che ciò non derivi da cause indipendenti dalla loro volontà, la pubblica amministrazione di cui l’inventore era dipendente al momento dell’invenzione acquisisce automaticamente un diritto gratuito, non esclusivo, di sfruttare l’invenzione e i diritti patrimoniali ad essa connessi o di farli sfruttare da terzi, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore.

[11]Di fatto la maggioranza delle università, come La Sapienza, Università di Roma o l’Università di Milano, hanno redatto un regolamento specifico da attuare in caso d’invenzioni essendo il codice insufficiente in materia.

[12]Per tale ragione il campo medico, che richiede una lunga ricerca in particolar modo per i medicinali, è uno di quelli dove maggiore è la collaborazione tra il settore pubblico e privato.

[13]Art. 65 5° comma c.p.i.

[14]Sentenza della Corte di Cassazione, II sezione penale, n. 7484 del 2017

 

Bibliografia:

Gambardella, Innovazione e sviluppo, 2009
Ghidini e G. Cavani, Lezioni di diritto industriale, edizione 2014

Dott.ssa Nicoletta Cosa

Nicoletta Cosa si è laureata in Giurisprudenza presso La Sapienza Università di Roma nel novembre 2017. Sta proseguendo gli studi partecipando al Master in diritto della Concorrenza ed Innovazione presso la Luiss School of Law. Attualmente è anche praticante presso un prestigioso studio legale della capitale.

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