mercoledì, Marzo 27, 2024
Criminal & Compliance

Lotta alla corruzione: tra legislazione antimafia e confisca

La mafia costituisce, prima di tutto, un “modo di vivere”: ed è in ciò che risiede la fonte primaria della sua pericolosità sociale. La mafia cresce, si evolve, matura. Essa si adegua ai mutamenti sociali e talvolta è essa stessa il cambiamento della società. La mafia è, come afferma un illustre giurista, “la criminalità più pericolosa”[1]: perché si pone come un ordinamento parallelo a quello dello Stato o, meglio, come un contrordinamento, con un proprio territorio, un proprio governo, una propria popolazione, un proprio sistema fiscale e giudiziario; perché è un sistema duttile e da una forte capacità organizzativa e lucrativa; per la fungibilità dei mezzi usati[2].

confisca

La mafia nasce come risposta ad un ordinamento statale debole ed è oggi perfettamente inserita nel nostro substrato sociale, economico e politico, costituendo una delle ragioni principali del dilagare della corruzione in Italia. Di fronte alla sempre più avvertita esigenza di strumenti di repressione e prevenzione, il Legislatore ha adottato una strategia di aggressione ai patrimoni illecitamente acquisiti: per poter vincere contro la criminalità organizzata bisogna colpire il suo cuore, ovvero il suo potere economico. Così, a partire dalla legge Rognoni-La Torre (l. 646/1982) e dai c.d. “pacchetti sicurezza” del 2008 e del 2009, la confisca è divenuta strumento privilegiato nella lotta alla corruzione.

Il fine primo della confisca antimafia è, infatti, quello di liberare l’economia nazionale dagli effetti distorsivi che i beni di provenienza delittuosa mafiosa hanno sulla concorrenza, neutralizzando le c.d. imprese mafiose o colluse. Orbene, esistono varie tipologie di confisca, avente ognuna una funzione specifica: la confisca di sicurezza (art. 240 c.p.), la confisca sanzionatoria (art. 416 bis co. 7 e art. 12 sexies d.l. 306/92 per la persona fisica e artt. 19 e 24 ter co. 1 dlgs. 231/2001 per le persone giuridiche) e la confisca di prevenzione (art. 24 d.lgs. 159/2011).

La confisca tradizionale prevista dall’art. 240 c.p. costituisce una misura di sicurezza patrimoniale che prescinde dalla pericolosità sociale della persona e si incentra, piuttosto, sulla pericolosità della cosa, intendendosi per tale non la pericolosità intrinseca della cosa a produrre danno, bensì la probabilità che essa possa costituire un incentivo alla commissione di ulteriori illeciti per il reo che la ha nella sua disponibilità: la pericolosità è, dunque, un concetto relazionale tra cosa e persona.

Il primo comma introduce la c.d. confisca facoltativa, che il giudice può applicare discrezionalmente solo con la sentenza di condanna sui beni strumenti alla commissione del reato o che ne sono il prodotto o il profitto. In tali casi, è il giudice che deve accertare la pericolosità della cosa nel caso concreto in rapporto della persona che la possiede. Il secondo comma, invece, definisce la c.d. confisca obbligatoria, che ha ad oggetto le cose che costituiscono il prezzo del reato e le cose, la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato, anche quando non è stata pronunciata una sentenza di condanna. Nelle ipotesi di cui al co. 2, dunque, la pericolosità è presunta dal Legislatore con riguardo ad alcuni beni ritenuti intrinsecamente criminali.

Tuttavia, di fronte a reati di particolare allarme sociale la confisca di sicurezza si presentava come un mezzo, per certi versi, limitato. Così, sono state introdotte forme di confisca c.d. per equivalente o di valore, operanti nelle ipotesi in cui non sia possibile confiscare direttamente il profitto del reato e aventi perciò ad oggetto il valore ad esso corrispondente. Confisca per equivalente è quella prevista dal legislatore all’art. 322 ter co. 2, in materia di delitti contro la P.A., nonché la confisca ex art. 474 bis per i reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p., ed ex art. 644 u.co. , per il reato di usura.

La c.d. confisca allargata, invece, è uno strumento di ablazione reale post delictum che opera nelle ipotesi tassativamente previste dall’art. 12 sexies co. 1 e 2 d.l. 306/1992 a seguito di sentenza di condanna o di applicazione della legge su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. Oggetto di tale tipologia di confisca sono “il denaro, i beni o le altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica”. Qualora non sia possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità in questione, l’art. 12 sexies ammette la possibilità di una confisca c.d. per equivalente, ovvero di “altre somme di denaro, di beni e altre utilità per un valore equivalente, delle quali il reo la disponibilità, anche per interposta persona” (co. 2 ter).

Dunque, è evidente che la confisca allargata presenta struttura e presupposti diversi dalla confisca tradizionale di cui all’art. 240 c.p. Mentre, infatti, lo strumento codicistico richiede il vincolo di pertinenzialità tra cose e reato, la confisca di parte speciale dà rilevanza esclusivamente alla relazione tra i beni – la cui provenienza è ingiustificata e dal valore evidentemente sproporzionato per eccesso rispetto al reddito dichiarato ai fini delle imposte o all’attività economica esercitata – e la persona nei cui confronta sia stata pronunciata sentenza di condanna o disposta l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p.

Accanto a tali tipologie di confisca penali vi è la c.d. confisca di prevenzione, disciplinata dall’art. 24 d.lgs. 159/2011 (nuovo Codice delle leggi antimafia e misure di prevenzione). Essa, a differenza della confisca sanzionatoria (art. 12 sexies d.l. 306/1992), non presuppone alcuna pronuncia di condanna o applicazione di pena su richiesta dalle parti, richiedendo, invece, la norma semplicemente che sia “instaurato il procedimento”, ovvero che siano cominciate le indagini. Inoltre, il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione ammette che la confisca di prevenzione possa essere disposta anche sui beni del soggetto deceduto nel corso del procedimento e fino a cinque anni dal decesso (art. 18 co. 1 e 2), contrariamente a quanto avviene in caso di sequestro ex art. 12 sexies d.l. 306/1992.

“L’interesse pubblico alla eliminazione dal circuito economico di beni di sospetta illegittima provenienza sussiste per il solo fatto che quei beni siano andati ad incrementare il patrimonio del soggetto e prescinde dal fatto che perduri in capo a quest’ultimo lo stato di pericolosità”, sicché si può affermare che funzione primaria della confisca preventiva è “impedire che il sistema economico legale sia funzionalmente alterato da anomali accumuli di ricchezza” mediante il riutilizzo dei beni di provenienza illecita in altre attività illecite o attraverso il loro riutilizzo in attività lecite[3].

Presupposti della confisca di prevenzione sono, dunque:

  • Pericolosità sociale del soggetto contro cui viene disposta
  • Disponibilità dei beni, anche per interposta persona fisica o giuridica
  • Sproporzione tra il valore dei beni ed il reddito imponibile o l’attività economica esercitata.

Si è registrato un forte contrasto giurisprudenziale in punto di natura giuridica della confisca in questione, quale misura di sicurezza ovvero misura di prevenzione. La quaestio è tutt’altro che meramente teorica, posto che una sua ricostruzione in termini di misura di prevenzione significa negarne la natura penale, con conseguente sottrazione al principio di irretroattività di cui all’art. 25 Cost. Con la sentenza n. 4880/2014, le Sezione Unite hanno infine affermato la natura preventiva di tale ipotesi speciale di confisca, ammettendo così l’efficacia retroattiva della misura.

[1] MANTOVANI F., Mafia: la criminalità più pericolosa in Riv. It., 2013, 9.

[2] MANTOVANI F., Diritto Penale, CEDAM, 2017.

[3] Cass. 11 febbraio 2014, Mondini.

 

Fonte immagine: www.dazebanews.it

Laura De Rosa

Raccontarsi in poche righe non è mai semplice, specialmente laddove si intende evitare l’effetto “lista della spesa”. Cosa dire di me, dunque, in questa piccola presentazione per i lettori di “Ius in itinere”? Una cosa è certa: come insegnano le regole di civiltà e buona educazione, a partire dal nome non si sbaglia mai. Mi chiamo Laura De Rosa e sono nata nella ridente città di Napoli nel 1994. Fin da bambina ho coltivato la mia passione per la scrittura, che mi ha portato a conseguire col massimo dei voti nel 2012 il diploma classico presso il liceo Adolfo Pansini. Per lungo tempo, così, greco e latino sono stati per me delle seconde lingue, tanto che al liceo rimproveravo scherzosamente la mia professoressa di greco accusandola del fatto che a causa sua parlassi meglio delle “lingue morte” piuttosto che l’inglese. Tuttavia, ciò non ha impedito che anche io perdessi la mia ignoranza in proposito e oggi posso vantare un livello B2 Cambridge ed una forte aspirazione al C1. Parlo anche un po’ di spagnolo e, grazie al programma Erasmus Plus che mi ha portato nella splendida Lisbona, ora posso dire con fierezza che il portoghese non è più per me un mistero. Sono cresciuta in un ambiente in cui il diritto è il pane quotidiano ed ho sempre guardato a questo mondo come a qualcosa di familiare e allo stesso tempo estraneo, perché talvolta faticavo a comprenderlo. Approcciata agli studi legali, invece, la mia visione delle cose è cambiata e mi sono accorta come termini che prima mi apparivano incomprensibili e lontani invece rappresentano la realtà di tutti giorni, anzi ci permettono di vedere e capire questa realtà. Ho affrontato, nel mio percorso universitario, lo studio del diritto penale con uno spirito critico mosso da queste considerazioni e sono giunta alla conclusione che questo ramo è quello che, probabilmente, più di tutti gli altri rappresenta l’uomo. Oggi sono iscritta all’ultimo anno della laurea magistrale presso l’Università Federico II di Napoli e, nonostante non ci sia branca del diritto che manchi di destare la mia curiosità, sono sempre più convinta di voler dare il mio contributo all’area penalistica. L'esser diventata socia di ELSA sicuramente ha rappresentato per me un'ottima opportunità in questo senso. Scrivere per un giornale non è, per me, un’esperienza nuova. La mia collaborazione con “Ius in itinere” ha però un sapore diverso: nasce dal desiderio di mettermi in gioco come giurista, scrittrice e membro della società. Il diritto infatti, come l’uomo, vive e si sviluppa. E come l’uomo ha un animo, aspetto da tenere sempre presente quando ci si approccia a studi giuridici. Mia volontà è dare un contributo a questo sviluppo nell’intento e nella speranza di collaborare ad un diritto più “giusto” e più “umano”. Oggi nelle vesti di scrittrice, un domani in un ruolo ancor più attivo. Mail: laura.derosa@iusinitinere.it

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