Ad oggi si fa ancora confusione tra due fenomeni giuridici profondamente diversi: la fusione dei comuni, da un lato, e l’unione dei comuni, dall’altro. C’è stato però un momento in cui il secondo era previsto in funzione del primo, dal momento che la ratio, volta alla semplificazione amministrativa, risultava sostanzialmente analoga. Vediamo allora come tale istituto è mutato, alla luce della giurisprudenza costituzionale e delle recenti riforme legislative.
Innanzitutto, l’unione dei comuni non possiede un riconoscimento costituzionale analogo alla fusione dei comuni. Per tale ragione, la prima norma che ha consentito alla nuova forma associativa l’ingresso nell’ordinamento degli Enti locali è stata la l. 8 giugno 1990, n. 142. Qui si disponeva che due o più comuni contermini, appartenenti alla stessa Provincia e ciascuno con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, potessero costituire, in previsione di una loro fusione, una Unione per l’esercizio di una pluralità di funzioni e servizi. In altri termini, pur prevedendo la costituzione di una Unione come ente di secondo grado, la legge puntava ad una soluzione organica, ossia la semplificazione amministrativa mediante la successiva fusione da verificarsi tassativamente entro 10 anni dalla costituzione dell’unione dei comuni.
Tuttavia, fu proprio questa preordinazione alla successiva fusione a determinare il mancato decollo delle unioni di comuni. Perciò, con la legge Napolitano-Vigneri del ’99 il legislatore decise di separare i due strumenti di riordino territoriale, facendo sì che le Unioni diventassero entità associative a tempo indeterminato. Grazie a questa modifica, negli anni a seguire si registrò un netto incremento delle unioni di comuni, che furono compiutamente disciplinate nel 2000 dal TUEL. All’articolo 32 del Testo Unico queste vengono definite “enti locali costituiti da due o più comuni di norma contermini allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza”.
Tuttavia, nonostante il legislatore parlasse di “enti locali”, la Corte costituzionale con la sent. n. 50/2015 ha tenuto a precisare che, a ben vedere, si tratta di una forma istituzionale di associazione tra comuni. Dal momento dunque che non costituiscono un ente territoriale ulteriore e diverso rispetto all’ente comune, rientrano nell’area di competenza statale sub art. 117, secondo comma, lettera p), e non sono, di conseguenza, attratte nell’ambito di competenza residuale di cui al quarto comma dello stesso art. 117 (differentemente da quanto accade in caso di fusione). Tale orientamento non è privo di perplessità se si tengono a mente le pronunce del 2005 nn. 244 e 456 e del 2006 n. 397, le quali hanno fatto rientrare le comunità montane – classificabili come un caso “speciale” di unione di comuni – tra gli enti tassativamente elencati agli artt. 114 e 117 comma 2 lett. p).
L’articolo 32 del TUEL parla inoltre di comuni “contermini”, se pur solo “di norma”. Da questo punto di vista, la contiguità dei comuni partecipanti all’Unione è richiesta solo quale meliorem condicionem, non sussistendo l’obbligatorietà in proposito. Ad essere obbligatorio è invece lo scopo in virtù del quale si costituisce l’Unione, vale a dire “l’esercizio associato di funzioni e servizi”. Infine, nonostante il legislatore abbia previsto dei vantaggi per i comuni che decidono di unirsi nella forma associativa in discorso, non si ravvisa una normativa incentivante paragonabile alle fusioni (per la quale si rimanda a questo articolo). Parliamo dunque di due istituti che, nati l’uno in funzione dell’altro, ad oggi si presentano in una forma ontologicamente diversa. Proprio per questo, allora, vanno tenuti separati e distinti per la ratio e gli obiettivi che mirano a perseguire.
Per saperne di più sulle fusioni dei comuni leggi i precedenti articoli:
- Il riordino degli enti locali attraverso le fusioni dei comuni
- Fusioni dei comuni: che valenza ha l’ascolto delle popolazioni interessate?
- Fusione dei comuni: quali vantaggi?
Dopo essersi laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli Federico II, Andrea frequenta un Master di II livello in “Compliance e Prevenzione della Corruzione” presso la LUMSA di Roma ed un corso di specializzazione in “Regulatory Compliance” presso la University of Pennsylvania Law School.
Nel corso della sua attività professionale, Andrea collabora con primari studi legali e società. In particolare, dal 2017 al 2019 è allievo del Prof. Ermanno Bocchini presso lo Studio Legale Bocchini, dove matura una buona esperienza soprattutto nell’ambito del diritto societario, ed ottiene il titolo di Avvocato.
Dal 2019 al 2021 fa parte della Direzione Legal, Compliance & Corporate Affairs di Avio S.p.A., azienda leader nel settore aerospaziale, dove si occupa principalmente di Compliance e Governance,
Dal 2021 fa parte dell’Unità Risk & Compliance e Sicurezza di Acea Energia S.p.A. in qualità di Compliance Specialist.
Andrea è Responsabile dell’area Compliance di Ius in itinere.
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