lunedì, Marzo 18, 2024
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Perchè i MiniBot non sono un’opzione attuabile

1. Introduzione

Come ormai noto, il 28 maggio 2019 la Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità la mozione MiniBot. Essi sono finalizzati al «pagamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni», anche attraverso l’emissione di «titoli di Stato di piccolo taglio».

Cerchiamo di scoprire perché i MiniBot non sono un’opzione attuabile e neanche efficace per lo Stato italiano.

2. Cosa sono i minibot?

Innanzitutto facciamo un passo indietro e ricordiamo cosa sono i BOT. I Buoni Ordinari del Tesoro, sono titoli del debito pubblico italiano, di valore nominale minimo di 1000 €, emessi dal Tesoro con scadenza a breve termine (3, 6 o 12 mesi).  A chi li acquista lo Stato garantisce un determinato tasso di interesse. Quindi il loro rendimento è dato dalla differenza fra il prezzo di acquisto e il valore nominale, che verrà rimborsato alla scadenza.

Dal nome, i MiniBot sembrerebbero quindi assimilabili ai BOT ma in realtà sono completamente diversi:

  •  sono privi di scadenza;
  • non garantiscono un interesse al possessore;
  • equivalenti a tagli di piccolo calibro (5, 10, 20, 50 e 100 euro)
  • sono messi in circolazione dallo Stato come pagamento della Pubblica Amministrazione verso i propri creditori (in genere imprese e professionisti);
  • sono cartacei e non digitali come i Bot;
  • non si potrebbero usare per saldare pagamenti superiori ai 25mila euro.

Già dall’elencazione delle loro caratteristiche si intuisce perchè i MiniBot non sono un’opzione attuabile per risollevare i conti dello Stato ed anzi sarebbero un’ulteriore aggravio.

Innanzitutto i MiniBot sembrerebbero «titoli al portatore», ossia stampati fisicamente su delle banconote, peculiarità questa che li renderebbe del tutto simili ad una valuta corrente.

Quindi questi buoni del Tesoro avrebbero a tutti gli effetti l’aspetto di una valuta alternativa all’euro, esplicitamente vietata dall’articolo 128 del Tfue.

Ma tralasciando la normativa comunitaria, come vedremo più avanti, essi porterebbero soprattutto all’aumento del già enorme debito pubblico italiano.

3. A cosa servono i MiniBot?

I Minibot sono stati prospettati come strumento per aiutare i piccoli imprenditori in difficoltà, permettendo ad essi di riavere indietro i soldi di cui lo stato è debitore.

Chiariamo però che le imprese non potrebbero usare i MiniBot per saldare i debiti coi propri fornitori e pagare i dipendenti, che rappresentano le loro maggiori voci di spesa.

 Potrebbero usarli soltanto per pagare le imposte o comprare servizi e beni offerti dallo Stato.

 In questo caso lo Stato rinuncerebbe e ad incassare moneta e, di conseguenza, come già detto, aumenterebbe il debito pubblico.

Un’altra finalità che questi buoni potrebbero avere è quella di diventare una moneta alternativa all’euro. È indubbio che essi soddisfino una condizione necessaria per essere moneta in quanto sono passività dello Stato senza scadenza e senza tasso d’interesse.

Ma tale condizione non è sufficiente in quanto mancherebbe la fiducia. Per essere moneta, i MiniBot devono essere accettati nelle transazioni. Risulta difficile credere che questo collante di fiducia si verrebbe a realizzare.

Unica alternativa sarebbe una legge che imponga di accettarli nelle transazioni.

Ma ciò significherebbe uscire dall’euro, in quanto l’Italia starebbe stampando moneta con corso legale. Anche in questo caso non sembra si prospetti una strada positiva, poichè sarebbe una moneta parallela fortemente svalutata rispetto all’euro.

4. Quali sono le possibili conseguenze dell’introduzione dei MiniBot?

Nel caso in cui le imprese e le famiglie utilizzino i MiniBot per pagare le tasse le conseguenze sarebbero del tutto identiche ad un taglio delle imposte. È ovvio che ciò porterebbe ad un incremento di debito pubblico.

Nel caso in cui le imprese usino questi titoli per riscuotere i crediti che ancora vantano con la pubblica amministrazione sarebbero praticamente inutili. Questo perché lo Stato scambierebbe una passività, rappresentata dai debiti nei confronti delle imprese, con un’altra passività, e cioè i buoni del tesoro emessi per finanziarsi. Verrebbe meno dunque il senso dell’introduzione di questi buoni[1].

Anzi avrebbe un risvolto negativo, stando alle regole di contabilità pubblica. Infatti i debiti commerciali della Pubblica Amministrazione non vengono conteggiati nell’aggregato debito pubblico, perché c’è la possibilità di compensarli con altri crediti che lo Stato vanta. Dal momento in cui si pagano i debiti commerciali con titoli di nuova emissione (i MiniBot), questi ultimi andranno quindi conteggiati nell’aggregato debito pubblico. Di conseguenza il debito pubblico aumenterà in modo eccessivo.

L’introduzione dei MiniBot rappresenta un esempio di quella che viene chiamata politica monetaria espansiva. Questa misura, però, sarebbe inefficace ed anzi porterebbe ad un ulteriore peggioramento della nostra economia.

Infatti è facile immaginare che ci sarebbe uno sconto sul valore nominale, richiesto ai fornitori per far circolare questi titoli, che altrimenti non sarebbero richiesti ed utilizzati. Infatti un privato comprerebbe un MiniBot, anziché uno dei titoli oggi in circolazione, solo se costasse molto meno della somma che lo Stato si impegna a pagare in futuro[2].

 Inoltre essi avrebbero una ridotta liquidità e porterebbero ad una sicura sfiducia dei mercati finanziari nei loro confronti.

Date queste criticità, i MiniBot sarebbero spendibili solamente all’interno del perimetro italiano e in relazione ai beni e servizi della pubblica amministrazione e di certo non sarebbero accettati a livello internazionale.

5. Conclusioni

Osservando le loro caratteristiche si capisce che i MiniBot o vengono visti come moneta, ed in quel caso sono illegali e ci porterebbero fuori dall’euro oppure sono un mezzo per ricorrere ulteriormente al debito pubblico, e non siamo nella posizione di affrontare una simile situazione.

Non c’è una terza visione alternativa alle due prospettate.

Ciò è stato ribadito, tra gli altri, da Mario Draghi[3], presidente della BCE, dal ministro del Tesoro Giovanni Tria[4], dal Governatore di Bankitalia Ignazio Visco[5].

In conclusione, è evidente che i Minibot non sono un’opzione attuabile. Risulterebbero uno strumento inutile, nel migliore dei casi, e dannoso, nella peggiore delle ipotesi.

Sia nel caso in cui lo si veda come un tentativo di creare una moneta alternativa all’euro, sia nel caso in cui si veda come un espediente per ricorrere ancora al debito[6], la loro introduzione non sarà positiva per l’economia italiana.

 

[1] Il direttore dell’Osservatorio sull’economia digitale dell’Istituto Bruno Leoni, Carlo Stagnaro, su Twitter ha scritto: “o sono debito (per tagliare le tasse e/o aumentare la spesa) o sono moneta. Se sono debito sono inutili: tanto vale emettere titoli di stato e pagare i fornitori della Pubblica amministrazione con gli euro raccolti in tal modo. Se sono moneta, we have a problem”

[2] Come dichiarato dall’ex presidente dell’Inps, Tito Boeri (fonte: la Repubblica)

[3] Draghi ha recentemente affermato sui MiniBot: “Sono valuta illegale o debito” (fonte: La Stampa)

[4] In occasione del G20 di Fukuoka, in Giappone, Tria si è così espresso:”Penso che in un’interpretazione, quella del debito, non servono. Nell’altra (valuta alternativa, ndr), ovviamente, si fanno i trattati e quindi non possono essere fatti” (fonte: Corriere della Sera)

[5] Visco ha dichiarato Sono sempre debito, non una soluzione” (fonte: la Repubblica)

[6] Sul tema si invita alla lettura dell’articolo https://www.iusinitinere.it/il-debito-pubblico-italiano-cause-disamine-ed-effetti-12246

Fonte immagine: https://pixabay.com/it/

Francesco Lombardo

Francesco Lombardo ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli con tesi in Storia del Pensiero Economico dal titolo: “I diritti Speciali di Prelievo: il contributo di Rinaldo Ossola”. Attualmente collabora con le cattedre di Economia Politica e di Storia del Pensiero Economico presso il Dipartimento di Giurisprudenza della Federico II. Dopo aver ultimato la pratica forense, ha conseguito un Master di II livello come “Esperto in relazioni industriali e di lavoro”, in virtù di una borsa di studio assegnatagli dall’Università Roma Tre, con tesi dal titolo "Mobilità endoaziendale e formazione del lavoratore ex art. 2103 c.c.” È autore di articoli per riviste scientifiche e divulgative. Da novembre 2019 è ammesso al programma “Fabbrica dei Talenti” promosso dalla fondazione ADAPT. Crede molto nell’importanza per un giurista di approfondire anche lo studio di temi economici e finanziari.

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