Reddito di cittadinanza: esperimenti passati e prospettive future
Prima di procedere con l’analisi inerente al reddito di cittadinanza è doveroso citare alcuni dati. Nel 2017, l’ISTAT ha rilevato che sono 5 milioni le persone che, in Italia, vivono in uno stato di povertà[1]. Per povertà assoluta si intende l’impossibilità di condurre uno stile di vita dignitoso attraverso l’accesso ai servizi minimi e l’acquisto di beni necessari. Le politiche pubbliche, in Italia, rispetto ad altri Paesi hanno dato minore centralità alla politica di assistenza sociale come mezzo di lotta alla povertà. L’attività di policy-making è stata spesso connessa all’andamento dei mercati finanziari.
Per meglio dire, la formulazione delle politiche pubbliche è legata al ciclo economico. Fino ad oggi, l’accesso alla protezione sociale e ai suoi benefici è stato associato in genere a una posizione lavorativa e le prestazioni previdenziali sono state finanziate attraverso contributi sociali (salvi i casi di prestazioni assistenziali come l’assegno sociale). Benché le forze politiche nazionali abbiano avuto, nel corso degli anni, la consapevolezza della necessità di attivare politiche pubbliche nel settore della protezione sociale (come evidenziato dai lavori della c.d. commissione Onofri[2] nel 1997, dalla successiva sperimentazione del reddito minimo di inserimento e da alcune previsioni della Legge 328/2000), le scelte politiche e i conseguenti investimenti hanno sostenuto prevalentemente altri obiettivi.
L’Italia affronta oggi un periodo di crescita molto lenta rispetto agli altri Paesi europei. Sicuramente ciò è determinato da una molteplicità di fattori e, anche, dalla crisi mondiale che ha favorito l’aumento del divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Va anche detto che altri Stati europei in condizioni comparabili evidenziano prospettive di crescita migliori.
La consapevolezza delle criticità attuali e il cosiddetto contratto di governo redatto a partire dai programmi elettorali dei due partiti partner hanno fatto sì che, l’attuale esecutivo, prendesse atto della necessità di porre al centro delle politiche pubbliche il cittadino e il suo benessere, immaginando un reddito minimo garantito per chiunque viva sotto una soglia di reddito convenzionale di 780 euro per un single (il cui importo viene rimodulato a seconda della composizione del nucleo familiare e di altre variabili)[3].
Anche il Consiglio Europeo ha sottolineato come favorire l’integrazione sociale rappresenti uno degli obiettivi per la modernizzazione e il miglioramento della protezione sociale. Seppur con alcuni limiti che analizzeremo in seguito, la legge di bilancio del 30 dicembre 2018 ha introdotto il reddito e le pensioni di cittadinanza[4]. In merito vi sono molte posizioni contrastanti. Per alcuni è inaccettabile percepire un reddito senza fornire una prestazione lavorativa. In vari atti parlamentari si legge che è necessario garantire un reddito minimo uniforme per assicurare uno stile di vita dignitoso a tutti i cittadini.
Talune tesi sembrerebbero sottolineare la positività dell’istituzione di un reddito minimo garantito in un Paese afflitto dal debito pubblico, costretto a ridurre la spesa sociale e di conseguenza a limitare di fatto l’accesso a certe prestazioni sociali per i meno abbienti (i quali pure risultano meno in grado di beneficiare di una politica sanitaria che pure ha un’impostazione di fondo universalista). Questa misura appare quindi come una sorta di stabilizzatore sociale in grado di contrastare la povertà. Chiaramente, la formulazione di questa politica pubblica ha avuto una risonanza all’interno del dibattito pubblico.
Tuttavia, è opportuno fare delle precisazioni. Questa misura è stata denominata, infatti, in modo non del tutto calzante, “reddito di cittadinanza”. Questa locuzione, in effetti, starebbe ad indicare un reddito garantito a tutti i cittadini, sulla base della cittadinanza e senza alcuna verifica in merito alla condizione economica e al possesso di un lavoro. La previsione nella legge di bilancio, in realtà, fa riferimento al concetto di “reddito minimo garantito” che si acquisisce sulla base di determinati requisiti ed è quindi selettivo.
Alla luce degli spunti di riflessione forniti, è anche opportuno sottolineare che già dal 1°dicembre 2017 è previsto il reddito di inclusione come misura di contrasto alla povertà sulla base di specifici requisiti[5]. Pertanto, il reddito di cittadinanza come definito nell’ultima legge di bilancio non si presenta come una novità assoluta, benché abbia caratteri di formulazione nuovi. Esso si pone come una misura volta a limitare la povertà e ad arginare il fenomeno della disoccupazione.
Il fine delle presenti riflessioni è proprio di capire quali sono in realtà gli obiettivi che il policy maker si pone e quali potranno essere realmente raggiunti. Sulla base di queste valutazioni, è opportuno fare riferimento a politiche pubbliche formulate e attivate negli anni precedenti le quali, seppur con delle sostanziali differenze, possono mostrarci dei punti in comune e favorire degli spunti di riflessione per meglio comprendere le dinamiche e il ciclo di vita delle politiche pubbliche. Queste, in alcuni casi, possono rivelarsi fallimentari per una serie di concause.
È il caso della Regione Campania, la quale, con legge regionale n. 2 del 19 febbraio 2004, istituiva in via sperimentale il reddito di cittadinanza[6]. Anche in questa previsione, ritroviamo appunto l’utilizzo del termine improprio “reddito di cittadinanza”. In realtà fa riferimento ad una sorta di minimo vitale. Vediamo, di seguito, cosa prevede la legge. All’art.1, dove sono contenuti i principi, si fa riferimento all’inclusione e coesione sociale promosse dall’Unione Europea.
Si afferma che la Regione considera il reddito di cittadinanza una prestazione concernente un diritto sociale fondamentale e che avvia sul territorio una sperimentazione di tale strumento. Scopriamo nell’oggetto e nelle finalità che l’erogazione non è prevista per ogni singolo individuo, ma per nucleo familiare. Inoltre, non può superare la soglia dei 350 euro, ed è accompagnata da specifici interventi per favorire l’inserimento scolastico e lavorativo dei componenti. I beneficiari devono possedere un reddito annuo inferiore ai 5000 euro e lo strumento di identificazione di possesso dei requisiti è l’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).
All’art. 3, dove sono indicati i soggetti aventi diritto, si specifica che si può presentare domanda entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge e si fa riferimento all’individuazione dei beneficiari sulla base delle risorse disponibili. L’approntamento di mezzi e/o risorse rappresenta un punto cruciale per la formulazione e l’attivazione di una politica pubblica e su questo ci soffermeremo in seguito. La gestione e l’attribuzione del reddito di cittadinanza è gestito dai Comuni attraverso i Piani di Zona.
L’art.7 della suddetta legge stabilisce che la Regione ripartisce, sulla base delle disponibilità di bilancio, le risorse disponibili tra i piani di zona in relazione ai fabbisogni nel quadro della programmazione delle politiche sociali, formative e del lavoro. Oltre all’erogazione monetaria, si prevedono misure per sostenere la scolarità nella fascia d’obbligo, in particolare per acquisto libri di testo; accesso gratuito ai servizi sociali e socio-sanitari; misure tese a promuovere l’emersione del lavoro irregolare o l’avvio all’autoimpiego attraverso percorsi che permettono l’utilizzo di risorse regionali; misure tese a promuovere l’accesso ai dispositivi della politica del lavoro regionale indirizzati alla formazione e di incentivo all’occupazione; agevolazioni per l’uso dei trasporti pubblici regionali; sostegno alle spese di affitto; inserimento nelle attività culturali.
All’art.8 è stabilito che il monitoraggio, la valutazione e le verifiche degli interventi competono al dirigente del settore politiche sociali e al dirigente del settore osservatorio – ORMEL – della Regione Campania, sulla base delle relazioni annuali dei comuni capofila e delle verifiche a campione.
Questa legge regionale si presente con alcuni punti critici. In una prima analisi, potremmo soffermare la nostra riflessione sull’art.117 della Costituzione comma 2 (lettera m), il quale prevede la legislazione esclusiva dello Stato nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Dunque, si fa riferimento ad una competenza esclusiva dello Stato nella legiferazione in materia. Lo Stato dovrebbe determinare i livelli essenziali (cosa che in questa materia non ha fatto).
Ma ciò non preclude alle regioni di effettuare propri interventi, tant’è che anche altre regioni ne hanno adottati Appare arduo delegare alla legge regionale la gestione di una materia così complessa relativa ai diritti sociali ma non è questo l’aspetto cruciale che ha determinato il fallimento di questo esperimento o, forse, la legiferazione regionale potrebbe essere considerata una concausa. La riflessione deve soffermarsi sulle risorse disponili che rappresentano il punto cruciale per il raggiungimento degli obiettivi che la legge si era prefissata e quelli che poi sono stati realmente raggiunti.
Per sostenere quanto previsto dalla legge sono stati stanziati 11 milioni di euro, una somma esigua se consideriamo che sono state 140.000 le famiglie ad aver presentato la richiesta per la corresponsione del “reddito di cittadinanza”. Solo 18.000 famiglie ne hanno beneficiato nei primi 3 anni di esperimento e l’aspetto più significativo è dato dall’abrogazione della suddetta legge per necessità di controllo della spesa pubblica. In realtà a ciò si aggiunge anche l’insediamento di un nuovo vertice politico in Regione che ha determinato una nuova pianificazione degli obiettivi regionali.
È chiaro che questo esperimento si è rivelato fallimentare principalmente per la mancanza di risorse finanziarie. Alla luce di ciò, è possibile classificare questo tipo di politica pubblica nella categoria delle politiche, in larga misura, simboliche[7] in quanto i risultati attesi non sono stati raggiunti poiché non vi erano i mezzi e le risorse finanziarie necessarie per attivare concretamente l’esperimento del reddito di cittadinanza.
Risorse finanziare necessarie non solo per l’erogazione del reddito ai nuclei familiari ma anche per garantire maggiori fondi ai Comuni che si sono ritrovati un impegnativo carico lavorativo e la necessità di far fronte a nuove esigenze, dal momento che gli enti locali hanno gestito la valutazione, l’assegnazione e il controllo di questa misura. È chiaro che i mezzi per garantire il raggiungimento degli obiettivi di una politica pubblica non sono solo economici, ma in questo caso l’aspetto economico rappresenta il fulcro della realizzazione dell’esperimento del reddito di cittadinanza.
Questa legge, più volte, per le sue criticità è stata considerata come un mezzo per raggiungere fini elettoralistici e, dunque, potremmo affermare che tra gli obiettivi di intervento nel tessuto sociale volti a restituire e garantire uno stile di vita dignitoso ai nuclei familiari più svantaggiati[8], si celano, però, degli obiettivi latenti.
Altro aspetto insidioso da valutare è il fenomeno del lavoro nero, fenomeno presente in Italia soprattutto nell’area del Mezzogiorno, che sicuramente può falsare le reali condizioni economiche dei destinatari del reddito di cittadinanza. In merito a questo aspetto si ritiene di offrire uno spunto di riflessione sulla mancanza di etica sociale e sulla incapacità dei cittadini di comprendere la realtà statale come una grande famiglia dove gli effetti negativi di determinati comportamenti si ripercuotono inevitabilmente sull’intero nucleo familiare.
L’esperienza della Regione Campania si è rivelata fallimentare per tutta la serie di concause che non hanno reso efficace ed efficiente l’esperimento del “minimo vitale” e al centro del fallimento si colloca la mancanza di risorse economiche sufficienti per la realizzazione di questa politica pubblica.
A tal proposito, anche per quanto concerne la misura del reddito di cittadinanza si è fatto più volte riferimento alla scarsa disponibilità delle risorse finanziarie. Il comma 9 dell’art.12 del d.lgs 4/2019 prevede che “in caso di esaurimento delle risorse disponibili per l’esercizio di riferimento, con decreto del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro trenta giorni dall’esaurimento di dette risorse, è ristabilita la compatibilità finanziaria mediante rimodulazione dell’ammontare del beneficio”.
Appare chiaro che l’erogazione del reddito di cittadinanza è subordinato alla disponibilità delle risorse finanziarie e, laddove si dovesse verificarne l’esaurimento, l’erogazione sarà sospesa fino alla rimodulazione del beneficio economico.[9] L’Italia ha rivolto, per la prima volta, l’attenzione alle politiche di lotta alla povertà. L’introduzione del reddito di cittadinanza rappresenta la prima vera “riforma” significativa in Italia che, rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea, ha destinato sempre scarse risorse alle politiche attive di contrasto alla povertà[10].
Tuttavia, affinché una misura come il reddito di cittadinanza sia davvero efficace ed efficiente, è necessario avviare un sistema di riforma e di semplificazione in grado di coordinare la gestione della suddetta misura e soprattutto lavorare con attenzione ad un piano di coordinamento e di revisione di tutti gli altri investimenti statali per garantire un’equa ripartizione delle risorse.
[1] Cfr.Note rapide, Istat, agosto 2017
[2] La Commissione si occupò di politiche del lavoro e sistema pensionistico ispirando le successive riforme.
[3] Con l’art.1 del D.L. 28-1-2018, n.4, è stato istituito, a decorrere dal 1°aprile 2019, il Reddito di cittadinanza con l’intento di creare una misura di politica attiva attiva del lavoro.
[4] Il Reddito di cittadinanza assume la denominazione di Pensione di cittadinanza per i nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiori a 67 anni quale misura di contrasto alla povertà delle persone anziane.
[5] Il Reddito di Inclusione è una misura di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale introdotta dal d.lgs n.147 del 15-9-2017, emanato in attuazione della legge-delega 15 marzo 2017.
[6] Legge regionale n.2 del 19 febbraio 2004 “Istituzione in via sperimentale del reddito di cittadinanza”pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania n.8 del 23 febbraio 2004.
Disponibile qui: http://www.sito.regione.campania.it/burc/pdf04/burc08or_04/lr02_04.pdf
[7] Sulle politiche simboliche, cfr La Spina A, Espa E, Analisi e Valutazione delle politiche pubbliche, il Mulino, 2011.
[8] Cfr S.Sacchi, “Reddito minimo e politiche di contrasto alla povertà in Italia”, Urge-Unità di ricerca sulla governance europea, n.1/2005.
[9] ”Tutte le risorse per il reddito di cittadinanza” di Franco Pesaresi, 09/04/2019, su welforum.it
Disponibile qui: https://welforum.it/tutte-le-risorse-per-il-reddito-di-cittadinanza/
[10] ”Come migliorare il Reddito di cittadinanza: dieci proposte dell’Alleanza contro la povertà” di Chiara Agostini del 15/02/2019, su secondowelfare.it
Disponibile qui: https://www.secondowelfare.it/povert-e-inclusione/migliorare-il-reddito-di-cittadinanza-le-dieci-proposte-dellalleanza.html
Fonte immagine: http://www.today.it/economia/reddito-di-cittadinanza-520-euro.html
Si occupa di politiche pubbliche presso la Luiss Guido Carli.