venerdì, Aprile 19, 2024
Criminal & Compliance

Il rapporto tra ubriachezza abituale ed il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi: aspetti giuridici e sociali

Il rapporto tra ubriachezza abituale ed il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi: aspetti giuridici e sociali

A cura di Dott.ssa Tatiana di Giulio

  1. Premessa

L’articolo propone una riflessione sul rapporto tra l’ubriachezza abituale ed i maltrattamenti in famiglia, in conformità con la ratio che ha ispirato l’emanazione della Legge n. 69/2019 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere). Si tratta della volontà di tutelare le vittime della violenza domestica, di genere o dei maltrattamenti in famiglia; nonché di intervenire preventivamente al fine di evitate il verificarsi di nuove analoghe situazioni anche mediante opere di sensibilizzazione della comunità[1].

Nell’approfondire il rapporto tra l’ubriachezza abituale ed i maltrattamenti in famiglia occorre valutare, oltre ovviamente agli aspetti giuridici e giurisprudenziali, anche l’evoluzione del concetto di “famiglia”.

La nostra Costituzione repubblicana tutela – all’art. 29 comma 1– la famiglia definendola “una società naturale fondata sul matrimonio”, ossia una sorta di “cellula base” del tessuto sociale deputata al mantenimento dell’ordine dello stesso. Con l’avvento della postmodernità anche la famiglia, nella sua struttura e nei rapporti economici e giuridici tra i suoi membri, ha progressivamente cambiato volto.

La locuzione inserita nel dettato costituzionale che attribuisce lo status di famiglia solo in presenza del vincolo matrimoniale appare, pertanto, superata. Oggi il primo comma dell’art. 29 della Costituzione è oggetto di discussioni, di interpretazioni da parte di coloro che richiedono la sua revisione, per potere definire come famiglia anche i rapporti stabili non matrimoniali. Si pensi, ad esempio, alle coppie omosessuali oppure alle coppie di fatto ed alle “famiglie allargate”.

Invero, alcune modifiche normative sono già state realizzate, consentendo la trasposizione in ambito giuridico dei cambiamenti sociali ora elencati. Il riferimento principale è alla Legge n. 76/2016 che ha introdotto, come è noto, le unioni civili per le coppie dello stesso sesso e la convivenza registrata, garantendo tutele patrimoniali ed assistenziali analoghe – ma non del tutto eguali – a quelle del matrimonio.

Il dibattito sul tema è, ovviamente, maggiormente complesso ed esula dalla trattazione dell’articolo, ma ciò che rileva è la necessità di estendere la tutela penale ai rapporti ed agli interessi interni ad un modello di famiglia in continua trasformazione.

Tale assunto è così efficacemente sintetizzato: “Oggetto di tutela penale, pertanto, deve allo stato intendersi non già la famiglia in quanto tale, ma i singoli rapporti e gli specifici interessi che fanno capo ai suoi componenti. Seguendo tale impostazione, si può dunque sostenere come il modello di famiglia oggi tutelata dal legislatore risulti meglio aderente alle profonde trasformazioni sociali e culturali che hanno attraversato il nostro paese[2].

La famiglia è una formazione sociale e come tale non è esente dal verificarsi di delitti, al punto che il nostro stesso codice penale ha previsto molteplici sanzioni per altrettante condotte ritenute meritevoli di tutela penale. Basti pensare al libro II del codice penale, ed alle modifiche apportate nel corso del tempo, interamente dedicato ai reati contro la famiglia.

Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra ubriachezza abituale e maltrattamenti contro familiari o conviventi le motivazioni sottostanti alle politiche criminali rimandano ad un’idea dell’ubriaco abituale come “vizioso”[3]. Si tratta di una concezione amplificata –  tra i consociati e di conseguenza nelle scelte normative –  se “l’ubriaco” si manifesta come tale nei rapporti endofamiliari, commettendo appunto il delitti di cui all’art. 572 c.p.

  1. Gli articoli 94 e 572 del codice penale: una breve analisi

Per quanto concerne l’ubriachezza abituale, l’art. 94 del codice penale sancisce che: “Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale, la pena è aumentata.

Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all’uso di bevande alcooliche e in stato frequente di ubriachezza.

L’aggravamento di pena stabilito nella prima parte di questo articolo si applica anche quando il reato è commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti da chi è dedito all’uso di tali sostanze”.

Si tratta di una norma ereditata dalla legislazione degli anni Trenta e che, nell’ottica attuale delle funzioni delle pene può apparire, può apparire particolarmente repressiva[4]. Con la previsione di questa circostanza aggravante il Legislatore interviene non solo sull’evento oggetto di sanzione, ma anche sui comportamenti dell’agente. Alla luce di quanto detto, è possibile affermare che: “Ratio della norma è colpire la più intensa capacità criminale, manifestata dal “vizio di ubriacarsi”, nel quadro di un anacronistico e oggi più che mai discusso giudizio di colpevolezza per la condotta di vita[5].

Su tale preludio è di facile comprensione la stigmatizzazione giuridica e sociale “dell’ubriaco” responsabile di maltrattamenti in famiglia, anche se suscettibile di essere un giudizio puramente morale.

L’entrata in vigore della Legge n. 69 del 2019, comunemente conosciuta come “codice rosso”, apporta alcune significative modifiche normative per la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.

Il Legislatore manifesta così la volontà di intervenire, in modo maggiormente incisivo, contro le forme di violenza sopracitate.

La nuova versione dell’articolo 572 c.p., in questa sede oggetto di argomentazione, al comma 2 prevede che: “La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi”.

All’ultimo comma, invece, è previsto il riconoscimento dello status di persona offesa dal reato al minore che assiste ai maltrattamenti (la c.d. “violenza assistita”).

Dal dettato dell’art 572 si evince l’intenzione di salvaguardare l’integrità psico-fisica di tutti i componenti del nucleo familiare, destinatari di comportamenti criminosi.

  1. Il rapporto tra ubriachezza abituale e maltrattamenti in famiglia

La disamina, qui proposta, costituisce la base fondamentale per comprendere il rapporto che intercorre tra gli articoli 94 e 572 del codice penale. In un’ottica di collegamento tra le disposizioni relative all’ubriachezza abituale ed i maltrattamenti contro familiari o conviventi, è particolarmente interessante concentrare l’attenzione sul dolo richiesto per quest’ultima fattispecie.

Per integrare le condotte ex art 572 c.p. è sufficiente il dolo generico, inteso come la coscienza e la volontà dell’attore di attuarle in modo abituale e continuo, seppur in assenza di particolari scopi. È, quindi, un tipo di dolo unitario e programmatico che funge da elemento unificatore dei singoli episodi lesivi del bene giuridico tutelato[6].

In poche parole: “È perciò costituito da una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o meno, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualità[7].

La Corte di Cassazione, con un orientamento consolidato dagli anni Novanta del secolo scorso ad oggi, ritiene che l’ubriachezza abituale non escluda il dolo per la commissione delle condotte ascrivibili al reato ex art. 572 c.p.

Con la sentenza n. 47444/2019, la Suprema Corte ribadisce il concetto secondo cui il dolo necessario per i maltrattamenti in famiglia è quello generico. Di conseguenza la commissione dei singoli episodi, che integrano in modo continuato il reato, in stato di ubriachezza abituale non rileva[8].

L’elemento psicologico del reato si estrinseca nella coscienza e volontà di infliggere alla persona offesa continue sofferenze morali e fisiche, che non vengono sminuite dall’ubriachezza abituale[9].

La situazione descritta all’art. 94 c.p. è interpretata, in associazione ai maltrattamenti contro familiari o conviventi, come un’aggravante e non come una causa che fa venire meno la volizione dell’evento. Al riguardo è significativa la pronuncia numero 1400 del 2014, con la quale i giudici di legittimità considerano aggravato il delitto ex art. 572 c.p. se l’autore versa in frequente stato di ubriachezza. Nel caso di specie il marito che sottopone continuatamente la moglie a un numero di aggressioni fisiche e vessazioni, in concomitanza con un’assidua di ubriachezza, è soggetto ad un aggravio della sua posizione[10].

Lo stato di ubriachezza abituale non compromette la sussistenza degli elementi caratterizzanti del dolo, pertanto, i singoli episodi criminosi non possono essere interpretati come il risultato di “crisi alcoliche”.

In conseguenza di quanto sino ad ora affermato, Giovanni Fiandaca ed Enzo Musco evidenziano come questo tipo di ubriachezza non esclude e non diminuisce la punibilità, bensì comporta un aumento di pena. Gli stessi Autori subordinano l’abitualità a due condizioni: l’abitudine o dedizione ad un uso eccessivo di alcol (o di sostanze stupefacenti) e lo stato frequente di ubriachezza[11].

È bene ricordare, infatti, che il tipo di ubriachezza descritto all’art. 94 del codice penale si differenzia dall’ubriachezza cronica. Dalla lettura dell’art. 95 c.p. è possibile ricavare la seguente interpretazione: la cronica intossicazione alcolica o da sostanze stupefacenti è un fattore che incide sulla capacità di intendere e di volere, dal momento che può scemarla se non addirittura escluderla.

A differenza dell’ubriachezza abituale la cronica intossicazione si presenta come una vera e propria patologia, tra i cui sintomi vi sono: le dipendenze psichica e fisica dalla sostanza, il venire meno della capacità di autodeterminazione del soggetto, crisi di astinenza, il delirium tremens, la paranoia alcolica o la psicosi alcolica di Korsakoff.

Si tratta, in sintesi, di un quadro maggiormente complesso rispetto a quello statuito dall’articolo 94, che incide sulla non punibilità o sulla punibilità con riduzione della pena.

Sul punto è intervenuta, con una pronuncia decisiva, la Corte Costituzionale: “Con sentenza 9 aprile 1998, n. 114, ha chiarito che la cronica intossicazione si differenzia dalla ubriachezza abituale in quanto è un dato irreversibile ovvero, in questo caso, i fenomeni tossici sono stabili, persistendo anche dopo l’eliminazione dell’alcool assunto, di conseguenza la capacità del soggetto può essere permanentemente esclusa o grandemente scemata (…). Mentre nell’ubriachezza abituale i fenomeni tossici non sono onnipresenti,vengono meno, infatti,negli intervalli di astinenza, durante i quali il soggetto riacquista la capacità d’intendere e di volere[12].

Il discrimen tra le due figure descritte rispettivamente agli articoli 94 e 95 c.p. può essere così sintetizzato: l’ubriachezza abituale, forte del suo carattere transuente, non incide sulla capacità di intendere e di volere perché il soggetto la riacquista nei periodi di astinenza. L’intossicazione cronica, invece, è una patologia psichica ineliminabile e come tale origine del vizio di mente parziale (ex art. 89 c.p.) o totale (ex art. 88 c.p.)[13].

In conclusione, l’ubriachezza abituale è da considerarsi un’aggravante, nei confronti del delitto di maltrattamenti in famiglia, se si riesce a provare il dolo. Ai fini di provare il rapporto tra gli articoli esaminati in questo articolo occorre – preliminarmente – accertare l’esistenza del dolo nei comportamenti continuati e descrittivi di un “progetto criminoso”. In assenza dell’elemento soggettivo così descritto, seppur in presenza di episodi di ubriachezza, gli atteggiamenti aggressivi o iracondi privi di abitualità non integrano la fattispecie ex art. 572 c.p[14].

[1]C. Peloso, “Il codice rosso: risvolti processuali e sostanziali di un’emorragia culturale e sociale attuale”, (www.lalegislazionepenale.eu).

[2]F. Morelli, “Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, sentenza n. 6490 del 13 febbraio 2009, Sulle condotte concretanti i maltrattamenti in famiglia, (www.avvocatomorelli.com).

[3]G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale. Parte generale, 2019.

[4]G. Sorrentino, L’ubriachezza: quando è causa di esclusione dell’imputabilità?”, www.iusinitinere.it .

[5]C. Ottonello, L’imputabilità dell’ubriaco e del tossicodipendente, diritto.it.

[6]S. Calì, “Il Reato di maltrattamenti contro familiari  e conviventi”, (www.avvocatocali.it).

[7]Ibidem.

[8]Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 47444, 03/10/2019.

[9]Cass. Pen. Sez. IV, sentenza n. 3141, 25/02/1994.

[10]Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 1400, 22/10/2014.

[11]G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale. Parte generale, ed. 2019.

[12]Brocardi, “Spiegazione dell’art. 95 del codice penale”, (www.brocardi.it).

[13]G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale. Parte generale, 2019.

[14]Cass. Pen., Sez. VI, sentenza n. 17574, 06/04/2017.

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