Accesso e appalti: la risposta dell’Adunanza Plenaria
Con la sentenza n. 10 del 2020 pubblicata il 2 aprile, l’Adunanza Plenaria si è pronunciata sulla questione relativa alla compatibilità dell’accesso generalizzato con il mondo degli appalti pubblici in risposta all’ordinanza di rimessione n. 8501/2019
1. L’ordinanza di rimessione
Dopo poco più di tre mesi l’Adunanza Plenaria affronta le questioni sollevate dalla III Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza del 16 dicembre 2019[1], pronunciandosi sull’annosa problematica concernete i rapporti tra accesso civico generalizzato e la realtà degli appalti pubblici, soprattutto in merito alla fase esecutiva del contratto. Al fine di rendere più agevole l’analisi della sentenza in esame pare opportuno, in via preliminare, richiamare brevemente i tre quesiti posti dall’ordinanza: a) se sia configurabile o meno in capo all’operatore economico utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, all’esito della procedura di gara, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto ai sensi dell’art. 22 l. 241/90 ad avere accesso agli atti della relativa fase esecutiva, così da poter eventualmente sollecitare la risoluzione per inadempimento del contratto e conseguente scorrimento della graduatoria; b) se la disciplina dell’accesso civico generalizzato possa operare nel settore degli appalti pubblici e in particolare nel corso della fase esecutiva; c) se in presenza di un’istanza di accesso ai documenti motivata secondo la disciplina tradizionale prevista dal titolo V della l. 241/90 la pubblica amministrazione possa o meno – accertata la mancanza del presupposto legittimante la relativa richiesta, ovvero la titolarità di un interesse differenziato in capo all’istante – convertire l’istanza nella forma dell’accesso generalizzato, una volta positivamente accertata la sussistenza delle rispettive condizioni previste dal d.lgs. 33/2013[2].
2. La risposta dell’Adunanza Plenaria
Con la sentenza in esame l’Adunanza Plenaria si pronuncia sulla tematica rilevando, in via preliminare, la necessità di ricostruire, secondo un ordine logico-giuridico, l’analisi delle tre questioni sollevate, mettendone così in evidenza la relativa intima connessione e correlazione.
Alla luce di una simile esigenza logico-processuale, non sorprende come la Plenaria abbia ritenuto opportuno affrontare in primis, il terzo quesito posto dall’ordinanza (lett. c) concernente la configurabilità di un potere-dovere in capo alla pubblica amministrazione di convertire una domanda di accesso documentale in accesso generalizzato, una volta accertata l’assenza del presupposto previsto ai sensi dell’art 22 L.241/90 (interesse differenziato dell’istante) e ravvisata la sussistenza delle condizioni sancite dal d.lgs. 33/2013. Tale problematica, infatti, è logicamente antecedente rispetto alle altre due e come tale meritevole di un’analisi preliminare. Sul punto i giudici ritengono pienamente ammissibile la coesistenza dell’istanza di accesso documentale con quella di accesso generalizzato chiarendo come, aldilà delle rispettive differenze di presupposti -disciplina ed effetti, costituiscano due fattispecie che possono concorrere tra di loro senza una reciproca esclusione. A sostengo di tale posizione, la sentenza richiama non solo il dato normativo dell’art 5 co. 11 d.lgs. 33/2013 che ammette espressamente un simile concorso tra forme di accesso, ma anche, il recente orientamento giurisprudenziale favorevole al riconoscimento della coesistenza dei due istituti soprattutto in riferimento al settore dei contratti pubblici[3]. La Plenaria, tuttavia, chiarisce come tale possibilità sia ammessa purché sussistano i presupposti e le condizioni legalmente previste in materia di accesso civico e solo laddove l’istanza ostensiva non faccia riferimento in modo specifico ed univoco alla sola disciplina dell’accesso documentale (o viceversa). In altri termini, difronte ad una richiesta di accesso (come nel caso di specie) che non si limita a richiamare la sola disciplina della fattispecie procedimentale, la pubblica amministrazione, ravvisati i relativi presupposti, ha il potere-dovere di convertire il titolo dell’istanza. Un simile orientamento si pone in linea di stretta continuità con la tesi che considera il diritto di accesso quale corpus unitario al cui interno vanno ricomprese le singole fattispecie introdotte dal legislatore. Di conseguenza, l’amministrazione competente è tenuta a vagliare l’stanza di accesso nel suo complesso evitando di ricadere in inutili formalismi tali da ostacolare la soddisfazione del diritto in esame, appesantendone il relativo procedimento; ciò si pone nel pieno rispetto del principio di stretta necessità operante in materia. La Plenaria così facendo intende tutelare maggiormente l’interesse conoscitivo che ispira in generale l’istituto dell’accesso agli atti e che esplica la sua portata in un settore così delicato come quello dei contratti pubblici. La questione cambia nel caso in cui l’istanza presentata dall’interessato sia espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina tradizionale di cui alla l. 241/90. In tal caso la P.A., accertata l’assenza dei requisiti previsti ex art. 22, non può esaminare la relativa richiesta in termini di accesso generalizzato e neppure il giudice amministrativo, in sede di esame del ricorso ex art 116 c.p.a., è legittimato a convertire il titolo dell’accesso. In altri termini, l’istanza presentata in sede procedimentale, dove di regola avviene il bilanciamento dei contrapposti interessi, non può mutare nel corso del processo, pena la violazione del divieto di mutatio libelli e d’introduzione di ius novorum[4].
In merito alla questione (lett. a) circa la possibilità di applicare la disciplina dell’accesso documentale in riferimento agli atti della fase esecutiva del contratto e quindi il relativo riconoscimento in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria finale, di un interesse differenziato ex art 22, i giudici della Plenaria sembrano condividere la posizione avanzata dall’ordinanza di rimessione. Nello specifico, infatti, è indubbia la configurabilità in capo ai soggetti che abbiano partecipato alla gara, di accedere agli atti della fase esecutiva al fine di far valere l’eventuale inadempimento delle prestazioni contrattuali da parte dell’aggiudicatario e conseguente risoluzione del contratto con relativo scorrimento della graduatoria. D’altronde a conferma di ciò, si pone non solo la lettera dell’art 53 d.lgs. 50/2016 che espressamente fa riferimento al “diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici”, ma anche, l’orientamento giurisprudenziale maggioritario che riconosce l’operatività del diritto di accesso ad atti concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della rispettiva disciplina sostanziale. In altri termini, nonostante la fase esecutiva si fondi su norme di diritto privato, è allo stesso tempo ispirata e finalizzata alla cura dell’interesse pubblico alla corretta esecuzione dell’opera, dei lavori oggetto dell’appalto. È proprio in tale fase che la realizzazione dell’interesse pubblico assume particolare rilievo tanto da riconoscere in capo a terzi (soggetti privati che hanno partecipato alla gara) il diritto alla corretta informazione e conoscenza di quanto avviene nel corso dell’esecuzione del contratto. La Plenaria, quindi, ammette la sussistenza di un interesse differenziato ex art 22 l. 241/90 in capo all’operatore economico che intende accedere agli atti relativi alla fase esecutiva del rapporto negoziale, purché tale interesse sia per l’appunto diretto, concreto, attuale e soprattutto antecedente rispetto alla relativa istanza che, come tale, non mira a perseguire una finalità di natura esplorativa. Sul punto, infatti, il legislatore ha chiarito come la forma di accesso documentale (a differenza di quello civico c.d. right to know) non realizza un controllo generalizzato sull’attività pubblicistica o privatistica delle pubbliche amministrazioni, non opera in via strumentale al fine di rilevare “eventuali” irregolarità o inadempienze contrattuali da parte dell’aggiudicatario. Trattandosi di uno strumento dall’ambito applicativo circoscritto, rappresenta una forma di accesso volta ad assicurare la protezione di un interesse individuale, tendenzialmente di natura difensiva (c.d. need to konw).
L’ultima questione posta all’attenzione della Plenaria (lett. b) concerne la compatibilità dell’istituto dell’accesso civico generalizzato con la realtà degli appalti pubblici. Sul punto i giudici, in via preliminare, richiamano brevemente le diverse posizioni contrapposte in giurisprudenza che hanno dato luogo al relativo dibattito, soffermandosi successivamente sulla portata applicativa e sulle caratteristiche che contraddistinguono tale forma di accesso. Sulla base di simili premesse non sorprende come la posizione assunta si ponga nell’ottica di accogliere la tesi dell’ordinanza, riconoscendo l’operatività della disciplina dell’accesso generalizzato in materia di contratti pubblici. Così facendo, i giudici condividono l’orientamento che considera il diritto di accesso quale corpus organico al cui interno convogliano le tre diverse fattispecie che il legislatore ha progressivamente introdotto nell’ ordinamento. Sulla base di una simile lettura unitaria e sistematica delle singole ipotesi di accesso, l’Adunanza ammette l’applicabilità di quello generalizzato in tale un settore, per definizione maggiormente esposto al rischio di corruzione e di infiltrazioni mafiose, con conseguenze determinati in termini di efficienza, efficacia dell’attività amministrativa, nonché di fruibilità dei servizi per i singoli cittadini. Diversamente, un orientamento restrittivo fondato su un’interpretazione letterale del combinato disposto di cui all’art 53 d.lgs.50/2016 e art. 5-bis co. 3 d.lgs.33/2013, finirebbe per creare un vuoto di trasparenza in materia, vanificando così la ratio di base che ispira l’istituto in esame. Una simile esigenza emerge non solo nella tradizionale fase dell’aggiudicazione ma anche in quella esecutiva, dove permane la necessità di assicurare la corretta realizzazione dell’interesse pubblico oggetto dell’appalto. In sintesi, la Plenaria sottolinea l’assenza sul pianto normativo di un’esclusione assoluta del diritto di accesso in materia di appalti la cui specialità, dettata dalla sussistenza di molteplici interessi economico-privatistici ne giustifica una disciplina peculiare, ma non un’esclusione ex se di tipo assoluto. Secondo i giudici è opportuno, piuttosto, valutare di volta in volta in base alle esigenze del caso di specie la compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis commi 1 e 2 d.lgs. 33/2013 a tutela degli interessi-limite pubblici e privati, al fine di assicurare un corretto bilanciamento tra due valori fondamentali: trasparenza e riservatezza
3. Considerazioni conclusive
È evidente dall’esame della sentenza in commento come la posizione assunta dalla Plenaria segni un rilevante “cambio di rotta” rispetto all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, un mutamento di prospettiva che tenta di avvicinare l’ordinamento italiano alle esigenze della comunità internazionale. La Commissione europea, infatti, si è recentemente pronunciata sottolineando la necessità di promuovere la trasparenza dell’attività amministrativa in ogni ambito e in particolare nel settore dei contratti pubblici anche in riferimento alla fase esecutiva. Di conseguenza, essendo l’accesso generalizzato espressione massima del principio di trasparenza, come tale funzionale ad assicurare il rispetto della legalità negli appalti pubblici, questo non può che trovare applicazione.
[1] Si rimanda alla lettura dell’ordinanza in questione vd. https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza?nodeRef=&schema=cds&nrg=201904009&nomeFile=201908501_18.html&subDir=Provvedimenti
[2] Per maggiori approfondimenti circa l’analisi dell’ordinanza di rimessione 8501/2019 del 19 dicembre 2019 si rimanda alla lettura dell’articolo Filisi G., Acesso generalizzato e appalti pubblici: i dubbi dell’ordinanza di rimessione n.8501/2019, in Ius in Itinere 2020.
[3] Cons. St. sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503.
[4] Cons. St., sez. V, 20 marzo 2019, n. 1817; Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503.
Giulia si laurea in giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli con una tesi in diritto dei contratti e servizi pubblici dal titolo: “Le informative antimafia nella disciplina dell’evidenza pubblica”, conseguendo il massimo dei voti.
Nel corso della carriera univeristaria matura un particolare interesse per il settore del diritto amministrativo e degli appalti pubblici, tanto da decidere di specializzarsi successivamente conseguendo un Master di II livello in “Compliance e prevenzione della corruzione nel settore pubblico e privato” presso l’univeristà LUMSA di Roma.
Attualmente svolge la pratica forense presso lo studio Antonelli di Napoli specializzato in diritto civile e il tirocino ex art 73 d.l. 69/2013 presso il TAR di Napoli.