venerdì, Luglio 26, 2024
Amministrazione e Giustizia

Brevi cenni sul doping e il caso Iannone

A cura di Elisa Tonni

“All things which do not defy the law of science are in one sense possible[1]

Introduzione

Non si ha la “prova provata” dell’etimologia del termine doping, di derivazione inglese, in quanto origina dal verbo (to) dope: “trattare con stupefacenti”.

Una prima ipotesi è che il dop fosse utilizzato da una popolazione dell’Africa meridionale nel Settecento per indicare una bevanda fortemente stimolante; un’altra ipotesi è che il termine nasca dalla parola olandese doops, salsa densa, che entra nello slang americano per indicare la bevanda che i rapinatori somministravano alle vittime mescolando tabacco e semi di stramonio[2].

Prima di addentrarci nell’affrontare la tematica del doping, è opportuno richiamare alcuni principi cardine del diritto sportivo e il rapporto di quest’ultimo con l’ordinamento statale.

L’art. 1 del d.l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito con l.17 ottobre 2003 n.280, rubricato “Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva”, ha stabilito che la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale[3] facente capo al Comitato Olimpico Nazionale.

Questa indicazione rappresenta una tappa fondamentale non solo perché si è dato atto dell’esistenza di un ordinamento giuridico sportivo, ma altresì perché lo stesso è stato riconosciuto come ordinamento giuridico autonomo facente capo al CONI, con la conseguenza che lo stesso avrà la concreta possibilità di autodeterminare le proprie regole di funzionamento e di gestione anche per quanto attiene alle forme di giustizia in esso operanti, per garantire l’effettività e l’ordine costituito.

L’autonomia è tuttavia circoscritta e limitata, posto la competenza dell’Ordinamento giuridico statale per  situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo.

Rimangono comunque escluse dalla competenza statuale le questioni tecniche, così come sancito dalla Cass. S.U. con la sentenza n.4399 del 26.10.1989[4].

Rappresentano ulteriori principi fondamentali dell’ordinamento sportivo il fair play, il così detto gioco leale e, quindi, anche l’organizzazione e la gestione dell’attività sportive medesime e il principio di lealtà.

Quest’ultimo si applica a tutti i soggetti che appartengono al mondo dello sport in quanto in ogni regolamento della giustizia federale si trova sempre un riferimento esplicito ad esso; tale dovere viene espresso attraverso l’obbligo secondo cui le società affiliate ed i tesserati, nonchè tutti i soggetti che a vario titolo collaborano alla pratica sportiva, devono mantenere una condotta conforme ai principi della lealtà, della probità e della rettitudine sportiva in ogni rapporto di qualsiasi specie, onde evitare la commissione di illeciti sportivi[5].

La causazione di questi ultimi determina l’intervento dell’Ordinamento giuridico sportivo, tramite le azioni delle procure Federali e l’instaurazione di un procedimento ad hoc.

Nella violazione del principio di lealtà rientra anche il doping.

Un atleta, infatti, che fa uso di qualsiasi agente esogeno ovvero di manipolazione clinica finalizzata al miglioramento della prestazione sportiva viola il predetto principio, secondo il quale ciascun atleta deve partecipare a ogni competizione facendo uso solo delle proprie capacità tecniche, evitando di utilizzare qualsivoglia metodo per migliorare artificialmente la sua prestazione a danno degli altri concorrenti.

Il doping, quindi, è un illecito sportivo che viene punito a prescindere dalla competizione sportiva e dall’incidenza effettiva sulla prestazione, rilevando altresì il solo tentativo di far uso delle sostanze dopanti.

 

La normativa statale

La prima legge in Italia di tutela sanitaria in ambito sportivo è stata la n.1055/50 rubricata “Tutela sanitaria delle attività sportive” che all’art.1 afferma: “la  tutela  sanitaria  delle  attivita’  sportive  e’ affidata alla Federazione  medico-sportiva  italiana,  affiliata al C.O.N.I., ed e’ sottoposta  alle  direttive  e alla vigilanza dell’Alto Commissariato per l’igiene e la sanita’ pubblica.”

Tale legge non interviene sulla politica sanzionatoria dei comportamenti scorretti in ambito sportivo, limitandosi a elencare i corsi di aggiornamento di fisiopatologia dello sport  (art. 2) e i requisiti di idoneità sportiva (art.3). Preme sottolineare che nel 1950 non vi era ancora una definizione di doping, rientrando quest’ultimo nelle pratiche di slealtà sportiva.

La prima definizione di doping si ha nel 1962 con la FMSI (Federazione medico sportiva italiana), per la quale “È da considerarsi doping la sostanza diretta ad aumentare artificiosamente le prestazioni di gara del concorrente, pregiudicando la moralità, l’integrità fisica e psichica”.

Quindi, il doping viene ascritto quale condotta plurioffensiva tale da minare non solo la salute individuale ma il benessere delle collettività.

Si inizia a percepire la necessità di un intervento statale nell’ambito della salute, quale quest’ultima bene giuridico.

Le legge 1099/1971, “Tutela sanitaria dell’attività sportiva”, all’art.3 sanziona, con l’ammenda da lire 50.000 a lire 500.000, gli atleti partecipanti a competizioni sportive, che impiegano, al fine di modificare artificialmente le loro energie naturali, sostanze che  possono  risultare  nocive  per  la  loro  salute .

Oltre all’atleta, sono puniti altri soggetti quali coloro che somministrano le sostanze vietate, con aggravio monetario se i somministratori sono dirigenti delle società o associazioni sportive  cui  appartengono gli atleti, allenatori degli atleti partecipanti alle  gare  o  commissari  tecnici.

E’ curioso notare che l’ambito di applicazione risulta essere eccessivamente circoscritto: rientrano infatti solo le competizioni sportive, relegando l’attività sportiva (o comunque il ruolo dello sportivo) alla gara.

La chiave di svolta è stata rappresentata dalla ratifica della Convenzione di Strasburgo del 16 novembre 1989[6], la quale, oltre a definire il termine doping e il campo di applicazione della Convenzione, ne indica lo scopo “nell’intento di ridurre e, in seguito, eliminare la pratica del doping nello sport, le Parti si impegnano ad adottare, entro i limiti dello loro rispettive norme costituzionali, i provvedimenti necessari per l’applicazione delle disposizioni della presente Convenzione” (Art.1)[7]

Infine, con la normativa intervenuta a seguito della legge n. 376/2000, “Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping”, quest’ultimo ha trovato una regolamentazione organica e piena dal punto di vista della legislazione statale: l’art.9, al comma 1, ha individuato tre macro fattispecie di condotte punite nel procurare ad altri, somministrare, assumere o favorire comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive[8].

Sostanze che verranno definite più con maggiore precisione dal D.M. 15/10/2002 “Approvazione della lista dei farmaci, sostanze biologicamente o farmacologicamente attive delle pratiche mediche, il cui impiego e’ considerato doping, ai sensi della legge 14 dicembre 2000, n. 376.[9].

Infine, il  D.lgs. 1 marzo 2018, n. 2, Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale, ha introdotto il reato di doping con l’art.586 bis rubricato “Utilizzo o somministrazione di farmaci o di altre sostanze al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.

 

La normativa sportiva

Per quanto riguarda la normativa sportiva in tema di doping e agli organi di vigilanza ad esso preposti, è necessario far riferimento a una specifica organizzazione, la WADA, World Anti-Doping Agency, l’Agenzia mondiale antidoping, a partecipazione mista pubblico-privata, creata per volontà del C.I.O. il 10 novembre 1999 a Losanna[10], per coordinare la lotta contro il doping nello sport. Lotta contro il doping iniziata con la già citata Convenzione di Strasburgo, Convenzione antidoping del Consiglio d’Europa, stipulata il 16.11.1989, tra i cui allegati vi erano le classi farmacologiche di sostanze e metodi doping, stilate dal CIO nell’aprile del 1989. Il CIO, infatti, aveva adottato il metodo del divieto dell’uso di classi di sostanze farmaceutiche con l’indicazione, per ciascuna di esse, delle principali sostanze che vi erano ricomprese.

Continuarono a susseguirsi interventi “solitari” e non organici finché, nel 2003, a Copenaghen la WADA ha redatto il Codice Mondiale Antidoping (World Anti- Doping Code), con la finalità di uniformare i regolamenti antidoping in tutti gli sport e in tutti gli Stati[11].

            La Wada delega poi l’ attività antidoping a livello nazionale alle NADO (National Anti Doping Organization), istituiti dai Comitati Olimpici dei singoli Paesi, tra cui l’Italia, che con la legge 26 novembre 2007, n. 230, di ratifica della Convenzione internazionale contro il doping nello sport adottata dalla Conferenza Generale dell’UNESCO[12], ha istituito la NADO- Italia con il fine di effettuare controlli antidoping sul territorio nazionale.

NADO Italia è presieduta da un Presidente, mentre un Direttore Generale ne dirige tutte le attività. È articolata nei seguenti organismi: Comitato Esecutivo (CE); Consiglio Interno di Sorveglianza (CIS); Comitato per l’Educazione, la Formazione Antidoping e la Ricerca (CEFAR); Comitato Controlli Antidoping (CCA); Comitato per le Esenzioni a Fini Terapeutici (CEFT); Procura Nazionale Antidoping (PNA); Tribunale Nazionale Antidoping (TNA).

            NADO- Italia deve operare sulla base di del Codice WADA e, per questo, ha il proprio Codice Anti doping (CSA)[13] in cui, alla premessa, ribadisce quanto affermato in precedenza: “Questo Codice Sportivo Antidoping (CSA) è adottato e attuato da NADO Italia, nel rispetto delle proprie responsabilità, in applicazione del Codice Mondiale Antidoping (Codice WADA), con lo scopo di perseguire il suo impegno di contrasto al doping nello sport in Italia.”

            All’art.2 il suddetto Codice elenca ciò che costituisce violazione alla normativa antidoping, tra cui: presenza di una sostanza proibita o dei suoi metaboliti o markers nel campione biologico dell’atleta; uso o tentato uso da parte di un atleta di una sostanza o di un metodo proibiti; elusione, rifiuto o mancata presentazione da parte dell’atleta a sottoporsi al prelievo del campione biologico; mancato adempimento dei Whereabouts da parte di un atleta[14]; manomissione o tentata manomissione di qualsiasi parte del controllo antidoping da parte di un atleta o di altra persona; possesso di una sostanza o di un metodo proibiti da parte di un atleta o di persona di supporto dell’atleta; traffico illegale o tentato traffico illegale, da parte di un atleta o altra persona di sostanze o metodi proibiti; somministrazione o tentata somministrazione da parte di un atleta o di altra persona a qualsiasi Atleta durante le competizioni, di una qualsiasi sostanza vietata o metodo proibito, oppure somministrazione o tentata somministrazione ad un Atleta, fuori competizione, di una sostanza o di un metodo che siano proibiti fuori competizione; complicità o tentata complicità da parte di un atleta o altra persona; divieto di associazione da parte di un atleta o altra persona; atti di un atleta o di altra persona per scoraggiare o contrastare la segnalazione alle autorità:

Tale articolo è poi integrato dall’art.3 il quale afferma che costituiscono ulteriori violazioni al Codice Sportivo Antidoping la mancata collaborazione da parte di qualsiasi individuo per garantire il rispetto delle NSA (Norme Sportive Antidoping), compresa la mancata segnalazione di circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento di reati di doping; qualsiasi comportamento offensivo nei confronti del DCO e/o del Personale addetto al controllo antidoping che non si qualifichi come violazione dell’articolo 2.5[15].

 

Andrea Iannone

L’atleta, nell’ultima giornata del Campionato Mondiale di MotoGP a Sepang in Malesia, veniva sottoposto a un controllo antidoping a seguito del quale veniva riscontrata la presenza di drostanolone nel suo organismo, una sostanza proibita dal WADA 2019 Prohibited List[16], essendo uno steroide androgeno anabolizzante usato per curare alcune forme di tumore al seno ma impiegato anche nel mondo del bodybuilding per aumentare forza, densità e definizione muscolare.

Iannone giustificava la presenza di tale sostanza per la sua predilezione alla carne rossa che aveva consumato, contaminata, in ampie dosi anche in Malesia, giusto poche ore prima del controllo.

L’atleta si appellava sia all’articolo 10.4 del Codice Antidoping dell FMI, “Eliminazione del periodo di squalifica per assenza di colpa o negligenza”, secondo cui qualora un atleta o altra persona dimostri in un singolo caso di non avere colpa o negligenza, il periodo di squalifica teoricamente applicabile è eliminato, sia all’art.10.5.1.2[17] “Prodotti contaminati”: nei casi in cui l’atleta o altra persona riescano a dimostrare sia l’assenza di colpa o negligenza grave sia che la Sostanza proibita rilevata (diversa da una Sostanza di abuso) siano riconducibili ad un prodotto contaminato, il periodo di squalifica corrisponderà a un richiamo con nota di biasimo e nessun periodo di squalifica (misura minima) o due anni di squalifica (misura massima), a seconda del grado di colpa dell’atleta o dell’altra persona.

La Corte Disciplinare Internazionale (di seguito, «CDI») della FIM, con provvedimento del 31.03.2020, rigettava tale tesi, perché l’atleta non solo non era stato in grado con sufficiente dovizia di particolari indicare il tipo di cibo ingerito ma altresì aveva mancato di accertarsi della presenza di eventuali contaminazioni sussistenti nel cibo da consumare, non avendo, quindi, esercitato il dovere e la cura a cui era obbligato per garantire che nessuna sostanza proibita entrasse nel proprio organismo.

Considerato comunque il quantitativo ridotto della sostanza proibita, la CDI, accogliendo la tesi della non intenzionalità della contaminazione, infliggeva una sanzione ridotta di soli 18 mesi di squalifica professionale, anziché di 4 anni, come previsto dall’art. 10.2 del Codice antidoping[18].

Contro questo provvedimento, sia Innone sia la Wada fecero ricorso al CAS[19].

In particolare Iannone chiese l’applicazione dell’art. 10.4 del Codice ovvero, in subordine, una riduzione del periodo di inidoneità al minimo previsto, nei termini di un mero rimprovero o, in via ulteriormente subordinata, la condanna al periodo di inidoneità ad un anno, fermo restando il rigetto dell’appello avanzato dalla WADA, richiedendo altresì l’applicazione del medesimo trattamento e, pertanto, dello stesso iter logico-giuridico-interpretativo già applicato nei precedenti casi che avevano interessato, rispettivamente, gli sportivi Jarrion Laswon e Dominika Jamnicky[20].

Wada, di contro, affermava come Iannone non avrebbe potuto beneficiare di una eliminazione o di una riduzione del periodo di inidoneità, rispettivamente, sulla base degli artt. 10.4 e 10.5 del Codice, non avendo fornito alcuna prova concreta volta a sostenere la tesi della contaminazione alimentare.

La CAS, in riferimento al ricorso del motociclista, criticava  la constatazione effettuata dalla CDI, secondo cui lo sportivo sarebbe stato un «grande consumatore di carne, sia rossa che bianca», essendo priva di qualsivoglia fondamento probatorio, al pari della successiva considerazione, sempre svolta dalla CDI, circa la probabilità della contaminazione della carne ingerita dall’atleta e presuntivamente contenente il drostanolone.

La Corte affermava che lo sportivo non fosse riuscito a dimostrare quanto la legge gli imponeva di comprovare. Nello specifico, in relazione all’asserita cena del 1° novembre 2019 presso un ristorante e al consumo di carne rossa probabilmente contaminata da drostanolone, l’atleta non forniva alcuna prova documentale o di altro genere. L’unica prova prodotta dall’atleta consisteva in un estratto conto bancario che mostrava una voce di addebito per un’operazione avvenuta il 1° novembre 2019 che non conteneva il dettaglio delle pietanze consumate.

Circa una testimonianza scritta del 22 luglio 2020 prodotta da  Iannone, essa veniva dichiarata troppo vaga e non adeguata a comprovare quanto consumato dall’atleta[21].

Riguardo il presunto consumo di carne, da parte del pilota, presso un altro esercizio commerciale dal 30 ottobre 2019 al 2 novembre 2019, l’atleta forniva, a sostegno della propria tesi, diverse ricevute (alcune anche di pranzi consumati non già dal predetto, ma da alcuni amici), senza, tuttavia, produrre alcuna documentazione specifica relativa alle pietanze consumate in quel periodo; anche in tale occasione, non riusciva nemmeno a comprovare gli sforzi effettuati per riuscire a risalire all’origine della presunta carne ingerita[22].

Come stabilito dall’art. 10.2.3 del Codice Antidoping, ai fini dell’applicazione della sanzione in presenza di sostanze proibite nell’organismo dell’atleta, il termine «intenzionale» vuole fare riferimento agli atleti che barano posto comunque che l’atleta deve incorrere in una condotta di cui conosca il carattere illecito, ovvero altamente rischioso rispetto alla disciplina anti-doping, e manifestamente assuma tale rischio[23].

Secondo la CAS, infatti, sebbene i consulenti tecnici chiamati nel processo abbiano dimostrato che fosse stata possibile la contaminazione della carne (anche se possibile non equivale a probabile posto che tutte le cose che non sfidano la legge della scienza sono in un certo senso possibili – nella sentenza  “all things which do not defy the law of science are in one sense possible” cfr. pag.30 punto 162), Iannone non ha mai fornito prova del “più probabile che non”: lo stesso infatti non ha avanzato particolari in riferimento al tipo preciso di carne che ha mangiato; non ha stabilito l’origine della carne mangiata o servita al ristorante o locali dove ha mangiato; non ha preso tutto le misure ragionevoli e diligenti avrebbe potuto prendere per stabilire quanto sopra; non ha fatto riferimento ad alcun caso di uso di Drostanolone come agente del promotore della crescita nei paesi di presunto consumo o nei principali paesi importatori[24].

Per questi motivi, la Corte ha ritenuto di emanare una sanzione di quattro anni di squalifica retrodatata al 17.12.2019.

Sanzione che ha suscitato notevoli perplessità specialmente per i precedenti citati. Tuttavia Iannone ha accettato il provvedimento e non ha provveduto all’impugnazione[25].

Conclusioni

Come si evince dal presente contributo, la normativa del doping è sempre in continua e costante evoluzione, adattandosi ai cambiamenti sociali e a quelli dell’attività sportiva. Sicuramente è una tematica corposa la cui trattazione risulta difficile posta la sua trasversalità e la copiosa attività normativa (basti pensare al fatto che Wada abbia il proprio Codice Antidoping, recepito da NADO e ogni Federazione, a sua volta, abbia una propria produzione codicististica). Quest’ultima è la sintomatica conseguenza della profonda articolazione del sistema sportivo sia a livello internazionale che nazionale, tanto da parlare, a ragion del vero, di pluralità degli ordinamenti sportivi, in quanto, seppur i vari ordinamenti federali si riferiscono tutti al C.I.O., ogni ordinamento sportivo del singolo sport è una struttura autonoma, qualificabile come Istituzione o Ordinamento, in quanto dotato di plurisoggettività, organizzazione e normazione[26]. Tale sistema a “matrioska” sicuramente, a parere di chi scrive, non rappresenta solo la peculiarità del sistema sportivo ma anche la sua bellezza.

 

[1] Punto 162 pag.30 della sentenza CAS 2020/A/6978 & CAS 2020/A/7068 https://images.go.wolterskluwer.com/Web/WoltersKluwer/%7B813a991e-d223-407a-8735-e0a40d792775%7D_TAS-10-novembre-2020-Andrea_Iannone-Final_Award_CAS_6978-7068.pdf?_ga=2.15807230.933675077.1717395718-308877830.1717395717

[2] La storia del doping inizia fin dalle prime Olimpiadi nel 776 a.C. con l’impiego di sostanze di origine naturale. Nell’antica Grecia, durante lo svolgimento dei giochi olimpici, gli atleti assumevano infusi a base di erbe o funghi. Se un atleta veniva trovato in possesso di semi di sesamo, ritenuti ‘dopanti’, era immediatamente escluso dai giochi e giustiziato (Doping, Enciclopedia Treccani).

Già nell’Iliade potremmo comunque asserire la presenza di sostanze dopanti con la supplica di Odisseo a Minerva: “Eran del corso ormai presso alla fine, Quando a Minerva l’Itaco dal core 970 980 Mandò questa preghiera: Odimi, o Dea, 12 E soccorri al mio pie’. – La Dea l’intese, Gli fe’ lievi le membra, i pie’, le braccia; E come fur per avventarsi entrambi Ad un tempo sul premio, l’Oilide Da Minerva sospinto sdrucciolò In lubrico terren sparso del fimo De’ buoi mugghianti dal Pelide uccisi Di Patroclo alla pira. Ivi il caduto Nari e bocca insozzossi.” (Iliade, trad. Vincenzo Monti, Canto XXIII, vv.979-990)

[3] Sigla del Comité International Olympique, organismo non governativo fondato nel 1894 da P. de Coubertin, vertice dell’ ordinamento sportivo internazionale, con lo scopo di  tutelare regolarità, diffusione e interessi dello sport. Ad esso fanno capo i Comitati olimpici nazionali dei vari paesi aderenti e sono affiliate le federazioni sportive internazionali, che hanno il compito di organizzare le competizioni internazionali relative a singole discipline sportive.

[4] E, più recentemente, “l’ordinamento giuridico statale riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale. Ciò, tuttavia, comporta che all’ordinamento sportivo sia riservata sì autonomia, ma solo in tema di osservanza e applicazione delle regole tecniche” (Cass. S.U. n.3101 del 02.02.2022).

[5] Anche i tifosi, qualificati quali soggetti che collaborano alla pratica sportiva, devono tenere un comportamento corretto e idoneo.

Il c.d. “codice etico” delle società calcistiche è stato introdotto nell’ordinamento sportivo italiano dal Protocollo d’Intesa per “Il rilancio della gestione, tra partecipazione e semplificazione”, sottoscritto dal Ministero dell’Interno, dal Ministro per lo Sport, il CONI, la FIGC, le leghe professionistiche, la Lega Nazionale Dilettanti, l’AIA, l’AIC e l’AIAC in data 04 agosto 2017.

Successivamente, le direttive di tale Protocollo sono state recepite anche all’interno del Codice di Giustizia Sportiva FIGC (CGS). L’attuale articolo 27 (CGS), infatti, dispone puntualmente che i club professionistici debbano adottare un codice di regolamentazione della cessione dei titoli di accesso alle manifestazioni calcistiche che integri dei requisiti minimi e, in particolare:

  1. preveda il rifiuto di ogni forma di violenza, discriminazione e di comportamenti in contrasto con i principi di correttezza, probità e civile convivenza, individuando quali condotte rilevanti per l’applicazione del medesimo codice quelle riconducibili ad un evento calcistico che vìolino taluno di detti principi;
  1. subordini l’acquisizione dei medesimi titoli all’accettazione, da parte degli utenti, del medesimo codice;
  2. preveda, in caso di sua violazione, l’applicazione, in relazione alla natura ed alla gravità dei fatti e delle condotte, dell’istituto del “gradimento” quale sospensione temporanea del titolo di accesso, il suo ritiro definitivo e il divieto di acquisizione di un nuovo titolo.

 

[6] Sicuramente grande impulso ebbe anche l’accordo per la prevenzione del doping nello sport, stipulato il 27.04.1989 a Barcellona con la Federazione internazionale degli sport d’estate.

[7] file:///C:/Users/vivic/Downloads/convenzione-di-strasburgo-contro-il-doping-1989_it.pdf

[8] G.Umani Ronchi, N.M. Di Luca, Dietro le contraddizioni di una strategia la partita aperta di un efficace contrasto, in Guida al diritto, 2000.

[9]  Sul rapporto tra L. 376/00 e il D.M. 15/10/2022 è intervenuta la Cass. SS. UU. con sentenza 3087/2005, con particolare riferimento della configurabilità dei reati in materia di doping, con particolare riferimento a quanto previsto dall’art. 9 comma da 1) a 7) della legge nr. 376/2000, anche in mancanza del decreto ministeriale di ripartizione delle sostanze “dopanti”; decreto che è intervenuto solo nell’ottobre del 2002.

Si è posto il problema allora se, in assenza di tale indicazione da parte del governo, potessero essere ritenute integrare i reati di cui ai commi, I, II, VII dell’art. 9 della legge nr. 376/2000 le condotte poste in essere prima dell’approvazione del decreto ministeriale richiamato dalla stessa fattispecie penale. Le Sezioni Unite hanno ritenuto che pur in assenza (fino all’ottobre 2002) del decreto ministeriale di ripartizione delle sostanze, le condotte di cui all’art. 9 potevano avere rilevanza penale sulla base dell’integrazione dell’art. 9 da parte della legge nr. 552/95 che ha ratificato la Convenzione contro il doping stipulata a Strasburgo il 16/11/1989. Proprio tale legge di ratifica aveva già provveduto ad individuare e catalogare, in allegato alla sua appendice, classi farmacologiche e metodi dopanti vietati dalle organizzazioni sportive internazionali. Allora affermano le Sezioni Unite, come il decreto ministeriale di cui all’art. 9 non puo’ non avere un valore meramente “ricognitivo e classificatorio”, non certo innovativo.

[10] Nel 2002 il suo quartier generale è stato spostato a Montréal in Canada, anche se giuridicamente resta una fondazione di diritto privato, regolata dal diritto civile svizzero

[11] Il Codice Mondiale Antidoping ( https://www.nadoitalia.it/images/documenti/2021/2021_wada_code.pdf) è il documento fondamentale che armonizza le politiche, le norme e i regolamenti antidoping all’interno delle organizzazioni sportive e tra le autorità pubbliche di tutto il mondo. Insieme a otto standard internazionali ha l’obiettivo di assicurare uniformità tra le organizzazioni antidoping. Gli standard di riferimento sono: The International Standard for the Prohibited List (The List); The International Standard for Therapeutic Use Exemptions (ISTUE); The International Standard for Testing and Investigations (ISTI); The International Standard for Laboratories (ISL); The International Standard for Education (ISE); The International Standard for Results Management (ISRM); The International Standard for the Protection of Privacy and Personal Information (ISPPPI); The International Standard for Code Compliance by Signatories (ISCCS).

[12]  La Convenzione si prefigge lo scopo, nel quadro della strategia e del programma di attività dell’UNESCO nel settore dell’educazione fisica e dello sport, di promuovere la prevenzione del doping nello sport e la lotta a tale fenomeno allo scopo di eliminarlo https://www.nadoitalia.it/it/normativa/internazionale/convenzioni/392-unesco-convenzione-internazionale-contro-il-doping-nello-sport/file.html

[13] file.html (nadoitalia.it)

[14] Qualsiasi combinazione di tre (3) mancati controlli antidoping e/o mancate comunicazioni, come definiti nello Standard Internazionale per la Gestione dei Risultati in un periodo di dodici (12) mesi, da parte di un Atleta incluso in RTP.

[15] La già citata manomissione o tentata manomissione di qualsiasi parte del controllo antidoping da parte di un atleta o di altra persona.

[16] https://www.wada-ama.org/sites/default/files/wada_2019_english_prohibited_list.pdf, integrata attualemnte https://www.nadoitalia.it/images/lista-wada/2024list_en_final_22_september_2023.pdf

[17]Per la normativa della FMI si rinvia al seguente link https://www.federmoto.it/tipologia-documento/antidoping/. Gli articoli potrebbero riportare una rubricazione differente essendoci stati diversi aggiornamenti posto che il Codice della FIM indicato nel caso di Iannone era del 2019.

[18] “It is undisputable that Mr Iannone committed an Anti-Doping Rule Violation Article 2.1 ADC, namely the presence of a Prohibited Substance or its Metabolite in the Rider’s Sample. […] [T]he CDI finds that the Rider has, for the purpose of Article 10.2.1.1, established at the level of balance of probability that his conduct constituting the Anti-Doping Rule Violation was not intentional. Based on the above finding and pursuant to Articles 10.2.1.1 and 10.2.2 ADC read together, the period of Ineligibility shall be two years, subject to the possible application of Article 10.4 or 10.5 ADC, which is discussed below. […] Based on the above the CDI finds that, for the purpose of Article 10.4 ADC, the Rider could reasonable have known, if he exercised caution and due care, that he was exposed to the risks of ingesting Prohibited Substances caused by eating a lot of meat that could be contaminated by anabolic steroids. Therefore, he did not exercise the duty and care that he was obliged to in order to ensure that no Prohibited Substance entered his body. Consequently, it cannot be said that there was ‘No Fault or Negligence’ on the part of the Rider. Thus, the Rider cannot benefit from Article 10.4 ADC and the period of Ineligibility cannot be eliminated. […] The CDI considers that, viewed in the totally of the above mentioned circumstances, the fault or negligence of the Rider was not significant in relation to the Anti-Doping Rule Violation. Consequently, the sanction in the present case may be reduced based on the degree of the fault or negligence. However, the reduced period of Ineligibility may not be less than one-half of the period of Ineligibility otherwise applicable pursuant to Article 10.5.2 ADC […] Consequently, the appropriate sanction to Mr Iannone in the present case is Ineligibility for eighteen (18) months and Disqualification of the results obtained in the Competition concerned (Grand Prix of Malaysia at Sepang on 3 November 2019)” (cfr. CAS 2020/A/6978 & CAS 2020/A/7068 pag.5 punto 23)

 

[19] Tribunale Arbitrale dello Sport, il CAS è stato creato nel 1984 come parte del Comitato Olimpico Internazionale, con l’idea di risolvere un numero crescente di conflitti sportivi. È posto sotto l’autorità amministrativa e finanziaria del Consiglio internazionale di arbitrato per lo sport (“IACS”). Con sede a Losanna, Svizzera, il CAS ha anche uffici a New York, Stati Uniti e Sydney, Australia.

[20] Jarrion Lawson v. IAAF (CAS 2019/A/6313) (“Lawson”)  e Dominika Jamnicky v. CCES (CAS 2019/A/6443 and CAS 2019/A/6593).

Lawson, vicecampione mondiale di salto in lungo del 2017, era risultato positivo all’epitrenbolone, uno steroide anabolizzante. Nell’agosto del 2018 era stato provvisoriamente sospeso, e poi, per quattro anni dal giugno 2019. Lawson si era sempre difeso dalla sua positività invocando il consumo di carne bovina. Tesi che il Tas ha giudicato “più che probabile”, giungendo alla conclusione che l’atleta non ha “nessuna colpa o negligenza” (“Following a very careful review and examination of the evidence and expert testimony in this procedure, the Panel was unanimously of the view that Jarrion Lawson had established that he bore no fault or negligence for his positive finding under Article 10.4 of the IAAF Anti-Doping Rules. As a consequence of such finding, the period of ineligibility was eliminated” https://www.tas-cas.org/fileadmin/user_upload/CAS_Media_Release_6313.pdf).

Simile il caso di Jamnicky, nuotatrice, pr la quale la Corte, affermando l’impossibilità, in certi casi, di stabilire l’origine della sostanza contaminata, dichiarava non colpevole l’atleta e, pertanto, non intenzionale l’ingestione, anche in ragione della personalità e della credibilità della sportivahttps://www.tas-cas.org/fileadmin/user_upload/Award__6443___FINAL-internet__.pdf.

[21] As to the testimonial evidence proffered by Mr. Iannone, it consists of the above mentioned witness testimony provided by Mr. Campinoti. Mr. Campinoti claims to have contacted the owner of Marini’s on the 57 to inquire about the origin of the meat but that the owner declined to cooperate so as not to prejudice the reputation of his restaurant” (cfr. pag.28 punto 155 del provvedimento in esame)

[22] “No efforts were made by Mr. Iannone to collect documentary evidence to prove  what he consumed. The only evidence provided to the Panel is a bank statement that shows a debit entry for a transaction that occurred on 1 November 2019 in the amount of EUR 567.07 in favour of Marini’s on 57. It is a mere bank statement, as opposed to a receipt, and contains thus no details as to the food eaten or more particularly the type of red meat eaten by him.” (…) “Mr. Iannone’s parallel allegation of consumption of meat at the Sama Sama Hotel during the period from 30 October 2019 to 2 November 2019 is similarly unparticularized and unsubstantiated. Mr. Iannone, here again, has failed to advance any particulars, let alone to establish what precisely he ate during his stay at this hotel.” (Cfr. punti 146 -vii- e 147 di CAS 2020/A/6978 & CAS 2020/A/7068)

[23] “Moreover, assuming Mr. Iannone had proven the same, his case would in any event have still failed, for the reasons set out below, in establishing, on balance of probabilities, the meat served at these restaurants and premises in Singapore and/or Malaysia were contaminated by Drostanolone. In particular: (i) (ii) Mr. Iannone’s evidence consists of analysis of mere generalities and speculation. He alleges that meat contamination is an issue in Asia. Yet Asia is a very large continent, such generalities are of limited assistance. Singapore or Malaysia are not reported to suffer from any meat contamination. (iii) While Mr. Iannone has provided evidence that a very small fraction, representing around 533 tonnes out of approximately 230,903 tonnes, i.e. around 0.23% of the yearly meat imports of Malaysia come from China, this is insufficient to give rise to the inference that the country suffers from meat contamination because China suffers from the same, a fortiori for purposes of proving causation as it pertains to Mr. Iannone’s specific case on contamination.” (pag.28-29 punto 158 della sentenza)

[24] “(…) (i) did not advance particulars as to what precise type of meat he ate; (ii) did not establish the origin of the meat eaten or served at the restaurant or premises where he ate; (iii) did not take all the reasonable and diligent steps he could have taken to establish the foregoing; and (iv) did not advance any reported case of use of Drostanolone as a growth promoter agent in the countries of alleged consumption or in the main importing countries thereto” (pag. 31 punto 165 della sentenza)

[25] Secondo gli artt.190 e 191 della LDIP (Legge Federale sul diritto internazionale), è possibile il ricorso del lodo arbitrale avanti il Tribunale Federale Svizzerohttps://www.fedlex.admin.ch/eli/cc/1988/1776_1776_1776/it#chap_12/lvl_IX/lvl_2.

[26] Cfr. Leandro Cantamessa, Giovanni Maria Riccio, Giovanni Sciancalepore, Lineamenti di diritto sportivo, Giuffrè Editore, 2008.

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