venerdì, Aprile 26, 2024
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Hobbes e Locke: osservatori speciali dell’Europa

In Europa, secondo determinate indagini ed osservatori, la povertà assoluta è in crescente aumento, così come il numero di contratti a tempo determinato[1]. Gli europei, e gli italiani nello specifico, vedono in pericolo i propri diritti: dal lavoro alla famiglia, dalla salute alla sicurezza. Le Elezioni Europee del 26 maggio scorso hanno evidenziato una spaccatura dinanzi a questa emergenza, o presunta tale. Siamo nel pieno di una resa dei conti, un ritorno di guelfi e ghibellini per ridefinire i pesi di diritti e libertà.

Quali diritti può garantire un sistema politico-economico? Quanta libertà va lasciata ai cittadini? A quanta libertà son disposti questi ultimi a rinunciare pur di difendere le mura dei loro diritti, o presunti tali?

Nell’Inghilterra del XVII secolo, tra le rivoluzione del 1644 e del 1688, queste domande condussero a soluzioni diametralmente opposte due pensatori: Thomas Hobbes (Westport, 5 aprile 1588 – Hardwick Hall, 4 dicembre 1679) e John Locke (Wrington, 29 agosto 1632 – High Laver, 28 ottobre 1704)[2].

Il filosofo e scienziato britannico Thomas Hobbes risponde in modo netto: la monarchia assoluta è l’unica soluzione per garantire diritti alla società civile. Concentrando i poteri nelle mani di un unico uomo, i diritti potranno essere garantiti, a costo di limitare la sfera delle libertà del singolo. Nel Leviatano Hobbes sostiene che solo affidando, per contratto, il potere ad un’unica persona è possibile porre fine alla guerra di tutti contro tutti caratteristica dello stato di natura. Non a caso, il Leviatano è il nome di un terribile mostro biblico capace di morte  e devastazione[3].

La risposta di Hobbes è figlia della paura, quella più recondita insita nell’uomo. Conseguenza di tale atteggiamento è un desiderio di chiusura (frontiere, al giorno d’oggi) sia in termini sociali che economici. Hobbes non vede di buon occhio nemmeno il mercantilismo, con il pericoloso desiderio di dominio degli uomini.

Con le dovute differenze storiche, si ripercorrono, in Hobbes, le linee di pensiero dei partiti sovranisti d’Europa, e del mondo più in generale. La paura alza continuamente le difese. Lo straniero si avvicina. Le proposte economiche, da qualunque lato provengano, si intingono di nevrotiche cospirazioni. Le soluzioni sommarie di leader-violenti rassicurano le nuove folle, alimentando le paure.

Il medico britannico John Locke ribalta il punto di vista. Gli uomini nello stato di natura godono di un certo numero di diritti. Il contratto sociale che fonda le istituzioni politico-economiche non può abolire tali diritti naturali; ha come obbligo quello di strutturarli al fine di garantirne l’osservazione nel modo più efficace. In quest’ottica, il sovrano è limitato nelle sue funzioni e nei poteri contemporaneamente gestiti. La monarchia parlamentare, per Locke, è la risposta[4].

La sua etica positiva intorno all’uomo si manifesta anche nel riconoscimento della proprietà privata:

“[…] Sebbene la terra e tutte le creature inferiori siano comuni a tutti gli uomini, pure ognuno ha la proprietà della propria persona, alla quale ha diritto nessun altro che lui. Il lavoro del suo corpo e l’opera delle sua mani possiamo dire che sono propriamente suoi. A tutte quelle cose dunque che egli trae dallo stato in cui la natura le ha prodotte e lasciate, egli ha congiunto il proprio lavoro, e cioè unito qualcosa che gli è proprio, e ciò le rende proprietà sua.”

Locke vede una possibilità nella proprietà privata: un riconoscimento che ottiene il singolo per il lavoro compiuto. E non ne vede un immediato bisogno di regolamentazione e limitazione per due motivi.

Da un lato

“[…] non c’è lavoro…, né fruizione che possa consumare più che una piccola parte, così ch’è impossibile che un uomo per questa via invada il diritto di un altro, o si acquisti una proprietà a pregiudizio del vicino.

Dall’altro

“[…] La stessa norma della proprietà, cioè a dire che ognuno possegga quel tanto di cui può far uso, può sempre valere nel mondo senza pregiudicare nessuno, poiché vi è terra sufficiente nel mondo da bastare al doppio di abitanti.

L’ottimismo di Locke è l’embrione dei principi del liberalismo economico. Eppure, questa fiducia da e verso l’uomo, non guarda agli eccessi che un tale sistema politico-economico possa generare: le marcate disuguaglianze[5]. Anzi, arriva persino a giustificarle in nome della moneta usata dagli uomini per i loro scambi perché:

“[…] oro e argento … possono essere accumulati senza far torto a nessuno, poiché questi metalli non vanno perduti né si deteriorano fra le mani del possessore.

La fiducia di Locke negli uomini è l’immagine degli attuali movimenti socialisti che tanto arrancano nel vecchio continente. Eppure le derive, dal sapore di finanza 4.0 e  ignorate da Locke, consentono di percepire i motivi di tanto arrancare. La fiducia e la collaborazione con l’altro sono viste come mero strumento di arricchimento dei soliti. Le paure si alimentano e, nell’immaginario di una fetta dei cittadini europei, i socialisti diventano i principali difensori dello status-quo e delle relative disuguaglianze.

Viviamo, oggi, un periodo di profonde trasformazioni sociali e, di conseguenza, politico-economiche. La dialettica si inasprisce e le posizioni si assolutizzano. La coscienza della storia consentirebbe di non ripercorrere gli stessi errori, le stesse scelte sbagliate.

 

[1] https://www.istat.it/it/

[2] J. Boncouer & H. Thouément, Le idee dell’economia, Edizioni Dedalo.

[3] T. Hobbes, Leviatano, Bur, 2011

[4] J. Locke (and B. Casalini), Due trattati sul governo, Plus-Pisa University Press, 2010.

[5] T. Piketty, Disuguaglianze, Egea spa, 2018.

Fonte immagine: https://www.youtube.com/watch?v=N2LVcu01QEU

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