venerdì, Luglio 26, 2024
Labourdì

Il dibattito sullo smart working nella pubblica amministrazione

Il dibattito sullo smart working nella pubblica amministrazione

a cura di Giacomo Barbetta

Il 22 ottobre scorso, un nuovo Governo ha giurato di fronte al Presidente della Repubblica Italiana. Con il cambio di guardia si è assistito al passaggio delle deleghe sulla pubblica amministrazione da Renato Brunetta al neo ministro Paolo Zangrillo. La pubblica amministrazione, come noto, è fatta subito oggetto di attenzione da parte dei nuovi esecutivi che la individuano come primario campo di azione dove esprimere fin da subito la propria spinta e forza riformatrice. Non c’è Governo, nel recente passato, che non si sia misurato con un tentativo di riforma della pubblica amministrazione.

Tuttavia, spesso, questi tentativi più o meno efficaci, si sono dovuti tutti comunque scontrare con la realtà dei fatti e cioè che il settore pubblico è e rimane luogo dove si mischiano e si contrappongono formidabili forze e interessi e nel quale in cui convivono anime ed realtà completamente differenti accomunati da vincoli contrattuali[1].

Certamente un tema su cui si sono accesi confronti e dispute che hanno assunto toni accesi e anche aspri, tra conservatorismi e fughe in avanti, è quello del cosiddetto smart working. Vale la pena soffermarsi su questo aspetto, poiché l’istituto dello smart working, oltre a contemplare, come si vedrà in seguito, una serie di criticità definitorie e applicative è, a livello giuridico e soprattutto di organizzazione del lavoro, un elemento capace, potenzialmente, di apportare un vero cambiamento nel paradigma del lavoro pubblico inteso in senso classico basato, cioè, su gerarchia, direzionalità e controllo.

Per questo lo smart working, oltre alle questioni tecnico-operative legate ai rinnovi contrattuali, alle libertà sindacali e ai diritti dei lavoratori, è diventato  un tema centrale nell’ambito della pubblica amministrazione, e non solo.

Inizialmente guardato con sospetto, soprattutto nel settore pubblico, lo smart working ha assunto un ruolo salvifico durante le fasi più drammatiche della crisi pandemica. Si è affermato, in pratica, come un nuovo strumento di lavoro, volto al raggiungimento degli obiettivi più che al mero adempimento, alla responsabilizzazione del personale, all’accrescimento delle competenze, con particolare riferimento alle competenze digitali, ed è diventata una nuova modalità di lavoro alla quale però, ricorrere con la dovuta parsimonia.

Ennio Flaiano nel suo Diario notturno affermava che “il lavoro possiamo dividerlo in due categorie. Alla prima assegneremo i lavori che sono una continuazione dei doveri infantili, alla seconda i lavori che sono una continuazione dei giuochi. Ossia: lavori che chiedono la stretta osservanza di un orario (e spesso l’immobilità del corpo), e lavori che si svolgono con o senza orario, ma sempre avventurosamente. Un vetturale, per esempio, un attore, un medico, un negoziante, un gendarme, un artista, un imperatore, un ladro: tutti costoro lavorano obbedendo alle leggi di un gioco che sta al loro estro cambiare e abbellire. Un impiegato, invece, lavora perché deve; esegue un compito predisposto per lui da un’autorità: ed è perciò sotto la continua minaccia di sanzioni che gli ricordano le punizioni paterne e le bocciature scolastiche. Da qui, la tristezza dell’impiegato, la tristezza della letteratura che quest’essere ispira e i cattivi risultati della amministrazione pubblica, che voi tanto lamentate. Quindi, se sentite parlare di amministrazioni corrotte, di ministri corrompibili, ricordatevi che la corruzione è l’unico mezzo che i burocrati hanno per riportare il loro lavoro alla categoria preferita: alla categoria dei giochi[2].

Lo smart working, quindi, oltre ad essere una modalità di prestazione dell’attività lavorativa che assicura una migliore conciliazione dei tempi di vita con quelli del lavoro, potrebbe rappresentare, in qualche modo, anche una modalità per scardinare un atteggiamento passivo e deresponsabilizzato del dipendente pubblico che spesso viene lamentato in letteratura e anche da qualche referente politico.

Lo smart working nella pubblica amministrazione italiana: da pericolo a salvezza per ritornare a pericolo

A Robert Heller[3] viene attribuito il seguente aforisma “la differenza tra management e amministrazione (che è ciò che i burocrati sono soliti fare in maniera esclusiva) è la differenza tra scelta e rigidità”. Questa affermazione da bene conto della necessità di innovare i processi e le dinamiche all’interno della pubblica amministrazione, a fronte della fatica ad abbandonare un’impostazione rigida e strettamente collegata all’adempimento.

Il primo riferimento normativo attraverso il quale si è prevista l’introduzione dello smart working nella pubblica amministrazione deve essere individuato nella cosiddetta Legge Madia, ovvero la n. 124 del 7 agosto 2015[4], che all’articolo 14, comma 1, afferma che “Le amministrazioni pubbliche, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, adottano misure organizzative volte a fissare obiettivi annuali per l’attuazione del telelavoro e per la sperimentazione, anche al fine di tutelare le cure parentali, di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della  prestazione lavorativa che permettano, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano, di avvalersi di tali modalità, garantendo che i dipendenti che se ne avvalgono non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera”. Appare evidente come questo testo pensasse allo smart working all’interno della pubblica amministrazione come una soluzione che dovesse, in qualche modo, passare precedentemente da una fase di sperimentazione. Questa impostazione trova fondamento nella previsione che potessero accedere a questo tipo di modalità lavorativa “almeno il 10% dei dipendenti”, lasciando, tuttavia,  libere le amministrazioni di prevedere un limite più alto. Inoltre, la nuova modalità lavorativa doveva essere intesa come una metodologia diversa dal già esistente e sperimentato telelavoro e doveva consentire esplicitamente la promozione della conciliazione di tempi di vita con i tempi lavorativi nell’ambito delle pubbliche amministrazioni. La legge n. 81 del 22 maggio 2017[5] offre una definizione di smart working che ne delimita l’applicazione all’articolo 18, comma 1: “le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”. Alla luce del sopra citato riferimento, lo smart working prevede un accordo bilaterale tra lavoratore e amministrazione, è svincolato da orari e luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, si svolge anche attraverso il supporto di strumenti tecnologici, prevede dei rientri presso i locali aziendali e deve tenere conto dei limiti di durata massima dell’orario giornaliero e settimanale. Al comma 3 dell’articolo 18, infine, la norma prevede espressamente l’impiego dello smart working nell’ambito delle pubbliche amministrazioni e richiama le “direttive emanate anche ai sensi dell’articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n.  124, e fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti”. In maniera in qualche modo conservativa, rimane quindi ben salda l’indicazione di consentire l’utilizzo di questo strumento almeno al 10% del personale. Traspare un’impostazione che non vede nello smart working uno strumento per la modifica dell’impianto organizzativo delle amministrazioni e tanto meno per scollegare il rapporto di lavoro da una logica di adempimento a favore di quella del perseguimento degli obiettivi; ma la nuova modalità lavorativa deve consentire esclusivamente a genitori, pendolari e soggetti in qualche modo fragili di conciliare la vita lavorativa con quella privata. Questa finalità deve, quindi, trovare un bilanciamento nell’organizzazione dell’amministrazione attraverso la previsione di sistemi di verifica del buon andamento dell’azione amministrativa e della qualità dei servizi, con quella della produttività.La direttiva n. 3 del 1° giugno 2017[6] a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri e dell’allora Ministro della pubblica amministrazione, Marianna Madia, in materia di lavoro agile, detta le regole relative all’organizzazione del lavoro con lo scopo di promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti. Questo strumento fa esplicito riferimento alla risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016[7] in cui si afferma che il Parlamento “sostiene il lavoro agile, un approccio all’organizzazione del lavoro basato su una combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione, che non richiede necessariamente al lavoratore di essere presente sul posto di lavoro o in un altro luogo predeterminato e gli consente di gestire il proprio orario di lavoro, garantendo comunque il rispetto del limite massimo di ore lavorative giornaliere e settimanali stabilito dalla legge e dai contratti collettivi …”. La direttiva n. 3, inoltre, si preoccupa “di definire tanto le modalità di attuazione delle diverse misure di supporto alla conciliazione vita-lavoro quanto, nello specifico, di specificare delle indicazioni operative per l’attivazione del lavoro agile e definire gli aspetti organizzativi, quelli relativi alla gestione del rapporto di lavoro nonché quelli inerenti alle relazioni sindacali[8]. Con l’irrompere della crisi pandemica e le ferree limitazione allo spostamento delle persone volto a contenere la diffusione del COVID, lo strumento dello smart working ha assunto un ruolo quasi salvifico quale soluzione in grado di garantire il prosieguo delle attività lavorative e la continuità sei servizi e delle prestazioni. Questa nuova condizione ha portato all’emanazione del decreto legge n. 9 del 2 marzo 2020, recante “Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, che ha superato la fase sperimentale in cui le amministrazioni dovevano impegnarsi nell’adozione di misure organizzative per il ricorso a nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa. Con il decreto legge n. 9 del 2 marzo 2020[9], infatti, il lavoro agile diventa la modalità di lavoro ordinaria di prestazione lavorativa. Questa disciplina, dettata dall’emergenza sanitaria, è stata confermata e ripresa dagli articoli 75 e 87 del decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020[10], cosiddetto decreto “Cura Italia”. In particolare, l’articolo 75 rivolgeva la propria attenzione alle modifiche in materia di disciplina per l’acquisto di sistemi informatici per la diffusione del lavoro agile; mentre l’articolo 87 equiparava le assenze per malattia da COVID al periodo di ricovero ospedaliero e non lo ricomprendeva ai fini del calcolo del periodo di comporto. Il lavoro agile, quindi, diventa “una delle modalità ordinarie di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”. Successive disposizioni dettagliano ulteriormente l’ambito di applicazione e conferiscono indicazioni operative per l’attuazione dello smart working all’interno delle pubbliche amministrazioni. L’articolo 263 del decreto legge n. 34 del 19 maggio 2020, cosiddetto decreto rilancio, convertito con la legge di conversione n. 35 del 22 maggio 2020, afferma che: “in considerazione dell’evolversi della situazione epidemiologica, con uno o più decreti  del  Ministro  per  la  pubblica amministrazione possono essere stabilite modalità organizzative e fissati criteri e principi in materia di flessibilità del lavoro pubblico e di lavoro agile, anche  prevedendo il conseguimento di precisi obiettivi quantitativi e qualitativi”. In particolare, in vista di una progressiva riapertura al pubblico, le amministrazioni: “organizzano il lavoro dei propri dipendenti e l’erogazione dei servizi attraverso la flessibilità dell’orario di lavoro, rivedendone l’articolazione giornaliera e settimanale, introducendo modalità di interlocuzione programmata, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza con l’utenza, applicando il lavoro agile, con le misure semplificate di cui al comma 1, lettera b), del medesimo articolo 87, e comunque a condizione che l’erogazione dei servizi rivolti a cittadini ed imprese avvenga con regolarità, continuità ed efficienza, nonché nel rigoroso rispetto dei tempi previsti dalla normativa vigente”.Allentandosi la morsa della crisi pandemica, con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 settembre 2021[11] si assiste ad una inversione di rotta in ragione della quale la modalità ordinaria per lo svolgimento della prestazione lavorativa torna ad essere quella in presenza: “a decorrere dal 15 ottobre 2021  la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30  marzo  2001,  n. 165, è quella svolta in presenza”. Quindi con un decreto del Presidente del Consiglio si modifica un decreto legge convertito in legge e si rimanda alla fase di contrattazione collettiva nazionale in corso per una puntuale regolazione dello strumento. Sembra chiaro l’intento di limitare l’utilizzo dello smart working, rimanendo tuttavia ancora inesplorata la questione relativa alla valutazione della produttività lavorativa. In un primo momento, anche a causa dello shock determinato dalla pandemia, lo smart working diventa la “nuova modalità di lavoro” e ne vengono lodate le caratteristiche; non appena la pandemia rallenta si cerca di tornare al vecchio sistema; ma in entrambi i casi le norme non hanno previsto una fase di valutazione di impatto relativa sia alla produttività sia ai costi[12]. Si è lasciato questo spazio alle numerose pubblicazioni che ci sono state che a volte esaltano e a volte affossano lo smart working, senza aver individuato un modo, e senza aver costretto le amministrazioni a fornirsi di uno strumento, volto a valutare il suo effettivo utilizzo[13]. Sulla scia di questa impostazione, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 ottobre 2021[14], recante “Modalità organizzative per il rientro in presenza dei lavoratori delle pubbliche amministrazioni”, in attuazione di quanto previsto dal citato DPCM del 23 settembre del medesimo anno, ha stabilito le modalità organizzative con le quali doveva avvenire il rientro in presenza del personale dipendente. Tra le varie condizioni per l’accesso al lavoro agile che il DPCM dell’8 ottobre 2021 detta al comma 3 dell’articolo 1 troviamo il fatto che: “l’amministrazione deve garantire un’adeguata rotazione del personale che può prestare lavoro in modalità agile, dovendo essere prevalente, per ciascun lavoratore, l’esecuzione della prestazione in presenza”. Tale impostazione, tuttavia, rimane sempre vincolata alla “definizione degli istituti del rapporto di lavoro connessi al lavoro agile da parte della contrattazione collettiva”. A conclusione del confronto con le organizzazioni sindacali, il 30 novembre del 2021 vengono pubblicate, sempre nelle more della regolamentazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro, le Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’articolo 1, comma 6, del decreto del Ministro per la pubblica amministrazione recante modalità organizzative per il rientro in presenza dei lavoratori delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell’articolo 1, comma 6, del decreto del Ministro per la pubblica amministrazione 8 ottobre 2021.L’unico contratto di comparto che al momento è stato rinnovato, quello relativo alle funzioni centrali, sottoscritto in via definitiva tra Arana e le parti sociali il 9 maggio scorso, disciplina per la prima volta l’istituto dello smart working nella pubblica amministrazione, individuandone due modalità: il lavoro agile, strettamente inteso, e il lavoro da remoto con vincolo di orario e luogo. Al di là di questa nuova distinzione, il documento sembra superare la logica percentuale (secondo la quale non più del 49% del tempo di lavoro poteva essere svolto in modalità agile), lasciando alle amministrazioni l’onere di definire una propria regolamentazione.

Il dibattito sullo smart working

Nell’ottobre di quest’anno l’Osservatorio sullo Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano ha presentato l’edizione 2022 della ricerca sulla diffusione di questo strumento. Per quanto attiene la pubblica amministrazione, come da attese, emerge che il lavoro agile continua ad essere utilizzato ma ha perso gran parte della sua rilevanza. Si assiste, infatti, ad un rallentamento nella diffusione dello smart working e nel suo utilizzo, passando dal 67% al 57% degli Enti che ricorrono a questo strumento, con una media di circa 8 giorni di lavoro da remoto al mese. Cala anche, di circa 500mila unità il numero di lavoratori pubblici che utilizzano lo smart working (3,6 milioni di lavoratori). L’Osservatorio, poi, produce quella valutazione di impatto che, invece, manca totalmente nella prospettiva normativa, affermando che il benessere lavorativo è correlato al modello organizzativo, che lo smart working può contribuire a ridurre le emissioni di CO2 di circa 450 KG annui per persona, che il lavoro a distanza incide anche sui costi energetici prevedendo un risparmio medio per singolo lavoratore che rientri in ufficio tre giorni alla settimana di circa 600 euro annui (dove il dato considera anche l’aumento delle spese per i consumi domestici di luce e gas).

A fronte di ciò, il 19 ottobre scorso la Commissione tecnica sul lavoro agile nella PA, istituita con decreto dell’allora Ministro della pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ha emanato una relazione. La citata Commissione, infatti, al fine di far fronte al proprio mandato di “definire e implementare l’attuazione e le modalità del lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche a regime nella fase post emergenziale” ha improntato un monitoraggio empirico del lavoro agile e una ricostruzione del quadro normativo di riferimento. Tuttavia, per quanto attiene al monitoraggio, che aveva lo scopo di “superare l’estrema (e sterile) polarizzazione oggi presente nel dibattito pubblico” siamo ancora nelle fasi di impostazione. È, infatti, stato predisposto un questionario da somministrare, attraverso la collaborazione del Formez PA, ad un campione di 284 amministrazioni, tra centrali e locali. Il questionario, in particolare, concentra la propria attenzione sui seguenti aspetti: “dati quantitativi sull’attuazione del lavoro agile; dati quali-quantitativi sulla organizzazione del lavoro agile, con particolare riferimento alla verifica dello stato di attuazione delle condizionalità di cui al DM del Ministro Brunetta dell’8 ottobre 2021 (valide anche per il lavoro agile a regime); dati quali-quantitativi sulla gestione del lavoro agile”. Tuttavia, va sottolineato come questo questionario che doveva essere somministrato nei mesi di agosto e settembre scorso, attualmente è stato rinviato “in attesa delle decisioni di merito del nuovo esecutivo”, a riprova del fatto che lo smart working, lungi dall’essere considerato una modalità innovativa di prestazione dell’attività lavorativa volta a garantire una maggiore responsabilizzazione del dipendente, una maggiore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro ed un risparmio sia della pubblica amministrazione che del singolo, è invece un espediente politico che muta al mutare del colore del Governo. Inoltre, nella sua presentazione per brevi linee il questionario non è, ancora una volta, volto a valutare l’effettivo impatto dello smart working sull’organizzazione della pubblica amministrazione e sulla qualità del servizio offerto (anche al cliente interno), ma ha lo scopo di valutare quantitativamente il fenomeno e di verificare lo “stato di attuazione delle “condizionalità” di cui al DM del Ministro Brunetta dell’8 ottobre 2021”, ovvero il rispetto della norma.

La sensazione è quella che a piccoli (o grandi?) passi ci si stia avvicinando pericolosamente a dissipare un’esperienza caratterizzata, come spesso avviene, da luci ed ombre; senza, tuttavia, essersi mai soffermati nell’analisi di tali luci e di tali ombre e senza aver mai prodotto una valutazione seria e oggettiva.

[1] Si pensi a tale proposito al comparto degli Enti pubblici di ricerca (ricercatori, tecnologi e personale tecnico-amministrativo) accomunato, nell’ambito dello stesso contratto collettivo nazionale, con il personale della scuola (docenti, ATA…) ma ben distinto dal personale delle Università che non ha un contratto collettivo ma un rapporto di lavoro pubblico.

[2] Ennio Flaiano, Diario notturno, Piccola Biblioteca Adelphi, 323.

[3] https://en.wikipedia.org/wiki/H._Robert_Heller

[4] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/08/13/15G00138/sg

[5] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/06/13/17G00096/sg

[6] http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/dipartimento/01-06-2017/direttiva-n-3-del-2017-materia-di-lavoro-agile

[7] https://famiglia.governo.it/it/politiche-e-attivita/comunicazione/notizie/risoluzione-del-parlamento-europeo-del-13-settembre-2016/

[8] Renato Brunetta, Michele Tiraboschi, Il lavoro agile o smart working nella pubblica amministrazione: prospettive e criticità, working paper ADAPT University Press

[9] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/02/20G00026/sg

[10] https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2020-03-17;18

[11] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/10/12/21A06102/sg

[12] Il Dipartimento della funzione pubblica produce un monitoraggio del lavoro agile nell’ambito delle pubbliche amministrazioni a partire dal maggio 2020.Tuttavia, questo monitoraggio, che ha cadenza quadrimestrale, è volto esclusivamente a misurare quantitativamente il ricorso al lavoro agile da parte delle pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento alla fase emergenziale.

[13] Il 4 novembre 2020 viene istituito dall’allora Ministro alla pubblica amministrazione, in attuazione del decreto rilancio l’Osservatorio nazionale del lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche. Compito di questo organismo, tuttavia, non è quello di fornire elementi volti a valutare il lavoro agile, ma bensì spunti per interventi di carattere normativo, organizzativo o tecnologico per migliorare sempre più lo smart working nelle PA.

[14] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/10/13/21A06117/sg

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