Il patent box, un pensiero dal mondo tributario all’IP
Il patent box, termine che, letteralmente, significa “scatola di brevetti”, è un regime fiscale opzionale, introdotto in Italia con la Legge di Stabilità 2015 [1], altro nome della Legge n. 190 del 2014, con l’obiettivo di porre rimedio a politiche fiscali di talune imprese, solitamente multinazionali.
In merito, occorre precisare che la detta Legge n. 190 2014 [2] ha previsto e disciplinato l’istituto del patent box specificamente dai comma 37 a 45 dell’art. 1..
In particolare, esso consente la parziale defiscalizzazione, ai fini IRES [3] ed IRAP [4], del reddito generato dallo sfruttamento di alcuni diritti di proprietà, a cui possono accedere tutti i soggetti titolari di reddito d’impresa.
L’accesso a tale agevolazione, occorre specificare, potrà avvenire indipendentemente dal tipo di contabilità adottata e dal titolo giuridico in virtù del quale avviene l’utilizzo dei diritti previsti da parte delle imprese richiedenti.
Di agevolazione, infatti, va parlato, visto che, attraverso l’esercizio di tale regime di tassazione, le imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo possono escludere dalla base imponibile il 50% dei redditi derivanti dall’utilizzo, anche congiunto, di determinati beni immateriali o dalla cessione degli stessi beni immateriali.
Tale ultima eventualità, però, può sussistere solo qualora il 90% del “ricavato” venga reinvestito nella manutenzione o nello sviluppo di altri beni immateriali prima della chiusura del secondo periodo di imposta successivo a quello nel quale si è verificata la vendita.
La ragione di tale regime fiscale agevolato di redditi derivanti dallo sfruttamento di beni di proprietà intellettuale e/o industriale è da rinvenire nella volontà del Legislatore italiano di stimolare la crescita economica del paese portando le imprese italiane ad investire in nuovi obiettivi di sviluppo ed innovazione nel territorio nazionale.
In particolare, tale scelta di introdurre il patent box nell’ordinamento tributario italiano è assai probabilmente dovuta al riconoscimento del ruolo fondamentale della fiscalità di vantaggio quale strumento a supporto dello sviluppo e della crescita economica e tecnologica italiana, con connessi effetti positivi su investimenti e occupazione.
Da molti anni, infatti, le imprese italiane avevano, purtroppo, preso la c.d. “abitudine” di spostare i redditi derivanti dall’utilizzo di beni immateriali in paesi ove vige un regime di tassazione agevolata, così riducendo, però, non solo il reddito derivante dall’utilizzo di tali beni in Italia ma anche, e soprattutto, il PIL italiano.
Occorre precisare, però, che il patent box “non è per tutti”. I requisiti fondamentali, infatti, perché tali imprese possano accedere a questo bonus fiscale sono:
- La titolarità del diritto allo sfruttamento economico dei beni immateriali e/o dei diritti sugli stessi;
- Lo svolgimento di un’attività qualificante di ricerca o sviluppo, ossia che consenta di sviluppare o implementare tali beni immateriali sia in modo diretto, sia tramite dei contratti di ricerca stipulati con altre società, università, enti di ricerca o altri organismi equiparati, ecc..
I titolari di reddito di impresa avranno la possibilità di azionare tale opzione nella dichiarazione dei redditi relativa al primo periodo d’imposta per il quale si intende optare per la stessa, a seguito della quale la validità della stessa dura per i successivi cinque periodi d’imposta e, comunque, è irrevocabile e rinnovabile.
L’accesso all’opzione, tuttavia, non è immediato in quanto, per gli interessati, almeno a ridosso dell’emanazione della citata Legge di stabilità 2015, era necessario avviare una procedura concertata con l’Agenzia delle Entrate (c.d. ruling), la quale avrebbe previsto la definizione dei metodi e dei criteri di determinazione del reddito detassato in contraddittorio con l’Ufficio.
In seguito all’entrata in vigore dell’articolo 4 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 [5], però, sono state introdotte misure per la semplificazione delle procedure di fruizione del patent box. Ad oggi, infatti, è possibile scegliere, in alternativa alla procedura preventiva per un accordo in contraddittorio con l’Agenzia delle entrate, di determinare e dichiarare direttamente il reddito agevolabile rimandando il relativo confronto con l’amministrazione finanziaria alla successiva fase di controllo.
Condizione necessaria per l’esercizio di tale facoltà è che i soggetti che esercitano l’opzione riportino le informazioni necessarie alla determinazione del reddito agevolabile in un’idonea documentazione e che, inoltre, ne diano comunicazione del possesso nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta per il quale si beneficia dell’agevolazione.
Le due procedure di accesso qui indicate sono, evidentemente, tra loro differenti tanto per la certezza del risultato quanto per le tempistiche. La prima delle due è decisamente più lunga ma, al contempo, una volta che sia raggiunto l’accordo tra contribuente ed Agenzia delle entrate, questo sarà vincolante per tutte le parti coinvolte.
Nel secondo caso, invece, pur essendovi una maggior celerità, sicuramente apprezzabile, rimane la possibilità che gli organi verificatori ad hoc apportino rettifiche.
Circa i beni immateriali cui il patent box risulta applicabile, l’art. 6, comma 1, del decreto patent pox [6] definisce ed elenca i detti beni che, per l’appunto, consentono alle imprese di accedere al regime opzionale di tassazione agevolata.
Si ricorda, infatti, che il diritto allo sfruttamento economico dei beni immateriali indicati nel citato articolo 6 è condizione necessaria ma non sufficiente per la fruizione dell’agevolazione, in quanto va sempre verificato se a questi sia attribuibile un valore idoneo a generare componenti positivi di reddito che, in quanto tali, concorrono a formare il reddito dell’impresa considerata.
In ogni caso, resta fermo che, come previsto all’articolo 6, comma 2, del decreto patent box [7], per la definizione delle tipologie di beni immateriali e dei requisiti per la loro esistenza e protezione si fa riferimento alle norme nazionali, dell’Unione europea ed internazionali oltre che a quelle contenute in regolamenti dell’Unione europea, trattati e convenzioni internazionali in materia di proprietà industriale e intellettuale applicabili nel relativo territorio di protezione.
Il patent box, pertanto, risulta applicabile a beni la cui protezione è affidata tanto al diritto della proprietà intellettuale quanto al diritto della proprietà industriale e, in particolare, a:
- Software protetti dal diritto d’autore, ossia i programmi per elaboratore in qualunque forma espressi, purché originali quale risultato di creazione intellettuale dell’autore;
- Brevetti per invenzione industriale, sia concessi che in corso di concessione, la cui varietà, come noto, è assai ampia. Tra questi, infatti, ricordiamo i brevetti per invenzione o per le nuove varietà vegetali, financo quelli per le topografie;
- Invenzioni biotecnologiche e certificati di protezione complementari;
- Disegni e modelli, categorie nell’ambito delle quali sono collocabili, ad esempio, i disegni e modelli comunitari non registrati che possiedano i requisiti di registrabilità, la cui tutela dura per un periodo di tre anni decorrente dalla data in cui il disegno o modello è stato divulgato al pubblico per la prima volta nella CE o, anche, i disegni industriali che presentino, di per sé, carattere creativo e valore artistico ex art. 2, comma 1, n. 10, della L.d.A. del 22 aprile 1941, n. 633 [6];
- Modelli di utilità;
- Informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali o scientifiche proteggibili come informazioni segrete. Con tale espressione, va precisato, si intendono tutte quelle informazioni che non siano, nel loro insieme o nella precisa combinazione dei loro elementi, generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore. Inoltre, è necessario che esse, in quanto segrete, abbiano valore economico. Con tale espressione, però, non bisogna pensare che ci riferisca ad un qualche valore di mercato ma, anzi, al fatto che il loro utilizzo comporta, da parte dell’utilizzatore, un vantaggio concorrenziale che consenta di mantenere o aumentare la relativa quota di mercato;
- Marchi di impresa, sia già registrati che in corso di registrazione, intendendosi con essi i marchi registrati dai competenti Uffici per la proprietà industriale, variamente denominati.
Sin qui sono state esaminate, inerentemente al patent box, tanto i requisiti quanto le forme necessari per l’accesso allo stesso, oltre i beni immateriali che possano, effettivamente, beneficiarne.
Occorre precisare, però, che l’istituto in esame, come è oggi, è frutto di un’evoluzione abbastanza intensa, essendo stato sottoposto a modifiche e revisioni tanto nel 2017 quanto nel 2019 come, ad esempio, la già citata parziale modifica nelle modalità di accesso all’agevolazione.
Andando con ordine, va anzitutto ricordato che il patent box è stato oggetto di una prima modifica nel 2017, con la manovra correttiva Gentiloni [7]. La stessa, in specie, ha comportato l’esclusione dell’applicabilità della normativa ai marchi d’impresa, permanendo la potenziale soggezione a tale tassazione agevolata i brevetti, i disegni, i software e il know-how.
A tale manovra correttiva, in tal senso, va dato il merito di specificare l’applicabilità della disciplina per la spinosa eventualità in cui l’impresa disponga di più beni immateriali collegati da un vincolo di complementarietà, circostanza che renderebbe la suddetta applicazione quantomeno complessa.
Per amor di precisione, si sottolinea come l’eliminazione effettiva dei marchi dalla disciplina del patent box sia avvenuta, a livello normativo, ad opera del DL n.50 del 24 aprile 2017, convertito in legge il 15 giugno 2017 [8].
Quindi, con il Decreto Ministeriale del 28 novembre 2017 [9] sono state concretamente modificate le precedenti disposizioni attuative del regime patent box per allinearle alle nuove disposizioni contenute nel citato Decreto-legge n. 50 del 24 aprile 2017.
In particolare, le modifiche introdotte hanno comportato:
- la rimozione dei marchi d’impresa dal novero dei beni agevolabili, con conseguente e relativa esclusione delle attività di ricerca e sviluppo e del riferimento alle attività di “presentazione, comunicazione e promozione” dei marchi;
- la riformulazione della nozione di beni immateriali legati da vincoli di complementarietà e utilizzati congiuntamente, con la nuova previsione che, qualora sussista un rapporto di complementarietà con un marchio, non sarà possibile beneficiare dell’agevolazione.
Per quanto si potrebbe pensare che, a questo punto, l’istituto fosse già stato sufficientemente “ritoccato”, come già anticipato anche nel 2019 si è avuta una nuova modifica dello stesso.
Tali novità, occorre riconoscerlo, sono state introdotte con fine di realizzare un sistema di semplificazione delle relative procedure di accesso.
Tra queste, sicuramente la novità di maggior rilievo consiste nel consentire ai beneficiari di fruire della tassazione agevolata nella dichiarazione dei redditi nell’arco di tre esercizi d’imposta, c.d. procedura di “autoliquidazione”.
Soffermandosi brevemente su tale procedura, basti precisare che questa sarà possibile per i soggetti titolari di reddito di impresa che abbiano scelto di avvalersene per la prima volta nel periodo di imposta 2019. Perché possano usufruirne sarà poi, alternativamente, necessario che questi:
- o si trovino a rinnovare un accordo già stipulato precedentemente con l’Agenzia delle Entrate;
- o che si trovino in costanza della trattazione di un accordo non ancora concluso, in tal caso sarà, infatti, necessaria espressa rinuncia.
Nel documento di prassi, inoltre, l’Agenzia delle Entrate chiarisce possono accedere a tale opportunità anche i contribuenti che non sono/erano tenuti alla presentazione dell’istanza di ruling in quanto si trovano/trovavano in un’ipotesi diversa dall’utilizzo diretto del bene immateriale.
Tale protezione, infatti, ha come finalità il garantire un certo grado di certezza ai contribuenti, con la conseguenza che tale opportunità, per forza di cose, debba essere riconosciuta a tutti i contribuenti e non solo a quelli interessati alla liquidazione triennale.
Altra novità di particolare interesse introdotta è costituita dalla sanzione prevista per infedele dichiarazione. Questa, come noto, è una sanzione amministrativa che va dal 90% al 180% delle maggiori imposte dovute e non versata o del minor credito generato.
Va rilevato, sul tema, che, nel caso di rettifica del reddito escluso dalla base imponibile da cui derivi una maggiore imposta o differenza di credito, nell’ambito “dell’area patent box” la sanzione prevista per l’infedele dichiarazione possa non applicarsi.
Infatti, qualora, nel corso dell’accesso, ispezione, verifica o di altra attività istruttoria, il contribuente abbia consegnato all’amministrazione finanziaria la documentazione idonea a consentire il riscontro della corretta determinazione della quota di reddito escluso, la menzionata sanzione potrebbe non trovare applicazione.
In conclusione, lo strumento del patent box è sicuramente qualificabile come una grande agevolazione ai beni immateriali oggetto di tutela da parte del diritto alla proprietà tanto intellettuale quanto industriale oltre che, sicuramente, un sincero tentativo di sostegno dell’economia nazionale.
[1] Legge di stabilità 2015, disponibile qui: https://www.fiscoetasse.com/normativa-prassi/11904-legge-di-stabilit-2015-il-testo-definitivo-in-gazzetta-ufficiale.html;
[2] Legge n. 190 del 2014, disponibile qui: https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2014-12-23;190!vig=;
[3] IRES definizione, disponibile qui: https://www.treccani.it/enciclopedia/ires#:~:text=IRES%20Sigla%20dell’Imposta%20sul,)%20quando%2C%20con%20il%20d.;
[4]
IRAP definizione, disponibile qui: https://www.treccani.it/enciclopedia/irap/#:~:text=IRAP%20Sigla%20di%20Imposta%20regionale,sistematiche%20e%20fonti%20di%20distorsioni.;
[5] Decreto-legge n. 34 del 30 aprile 2019, disponibile qui: https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2019-04-30;34!vig=;
[6] Legge sul diritto d’autore n. 633 del 22 aprile 1941, disponibile qui: https://www.altalex.com/documents/codici-altalex/2014/06/26/legge-sul-diritto-d-autore;
[7] Cenni sulla manovra Gentiloni 2017 disponibili qui: http://www.programmagoverno.gov.it/media/3271/newsletter-del-governo-28-aprile-2017.pdf;
[8] DL n.50 del 24 aprile 2017, disponibile qui: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/04/24/17G00063/sg;
[9] D.M. 28 novembre 2017, disponibile qui: https://www.mise.gov.it/images/stories/normativa/decreto-28-novembre-2017.pdf;
Dott.ssa Valentina Ertola
Dott.ssa Valentina Ertola, laureata presso la Facoltà di Giurisprudenza di Roma 3 con tesi in diritto ecclesiastico (“L’Inquisizione spagnola e le nuove persecuzione agli albori della modernità”). Ha frequentato il Corso di specializzazione in diritto e gestione della proprietà intellettuale presso l’università LUISS Guido Carli e conseguito il diploma della Scuola di specializzazione per le professioni legali presso l’Università degli Studi di Roma3. Nel 2021 ha superato l’esame di abilitazione alla professione forense. Collaboratrice per l’area “IP & IT”.