venerdì, Marzo 29, 2024
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Il progressivo stravolgimento del ruolo e delle funzioni dell’Organismo di Vigilanza (operazioni Alexandria e Santorini di MPS)

A cura di Emanuele Salvatore Murone. 

La decisione del tribunale di Milano, II sez. penale, n. 10748 del 7 aprile 2021 presenta molteplici profili di interesse per quanto specificatamente concerne i profili di responsabilità dell’ente ai sensi del d. lgs. n. 231/2001 e i poteri e le responsabilità facenti capo all’Organismo di Vigilanza. 

  1. Introduzione

In data 7 aprile 2021 sono state depositate le motivazioni della sentenza del Tribunale di Milano, Sezione II Penale, relativamente alla vicenda che ha visto coinvolto l’istituto bancario Monte dei Paschi di Siena nelle operazioni Alexandria e Santorini.
Nel caso di specie, agli imputati persone fisiche sono state contestate le fattispecie di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2622 c.c. e manipolazione del mercato ex art. 185 T.U.F., mentre all’Ente in questione venivano contesati, in relazione a tali reati, gli illeciti amministrativi di cui agli artt. 25-ter e 25-sexies del d. lgs. n. 231/2001.
Il procedimento penale, che ha visto imputati il presidente, il direttore generale e il manager in carica di Monte dei Paschi di Siena fino al 2012, ha avuto ad oggetto la contabilizzazione in bilancio delle operazioni Santorini (impattante sui bilanci dal 2008 al 2011 e sulla situazione patrimoniale al 31/3/2012, 30/6/2012 e 30/9/2012) e Alexandria (impattante sui bilanci dal 2009 al 2011 e sulla situazione patrimoniale al 31/3/2012, 30/6/2012 e 30/9/2012).
Con la sentenza in oggetto, il tribunale di Milano ha condannato tutti gli imputati, nonché i responsabili civili Deutsche Bank AG, Deutsche Bank London Branch e Nomura International Plc, in solido tra loro, al risarcimento del danno in favore delle parti civili e, inoltre, riconoscendo come soggetti titolari di un diritto di risarcimento coloro i quali abbiano acquisito o detenuto titoli MPS in epoca anteriore al 7 febbraio 2013, purché non ceduti prima di tale data.

Il fulcro della vicenda che ci occupa è rappresentato dal criterio di contabilizzazione “a saldi aperti” dei derivati Alexandria e Santorini, operazioni effettuate – secondo quanto ricostruito nel processo alla precedente gestione del Monte dei Paschi di Siena – per coprire le perdite in bilancio causate dall’acquisizione di Antonveneta, costata circa 10 miliardi di euro nel 2008.

  1. Il caso di specie

Per quanto in questa sede rileva, la giurisprudenza con tale pronuncia ha nuovamente riconosciuto in capo all’Organismo di Vigilanza un ruolo di sindacato sulle scelte gestionali dell’azienda.

Dopo una breve introduzione sui caratteri costitutivi del d. lgs. n. 231/2001, la pronuncia in oggetto affronta il tema dell’idoneità del modello organizzativo adottato dall’istituto di credito in questione e della sua conformità alle indicazioni, seppur generiche, fornite dal legislatore del 2001.
Sul punto, i giudici milanesi, sulla base dei dati probatori acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale, hanno ritenuto che il modello vigente fino all’ottobre 2013 era assolutamente inidoneo a prevenire la commissione dei reati.
La fondatezza di tale conclusione, secondo quanto emerge dalla motivazione, pare ineccepibile, posto che le criticità presenti nel modello vigente all’epoca erano state direttamente riscontrate dal consulente nominato dall’istituto bancario il quale, peraltro, aveva sollecitato una significativa riscrittura di questo profilo della governance aziendale.
Non si può del resto tralasciare, ha sostenuto ancora il Tribunale, che sino al 24 maggio 2012 la società era finanche priva di un organismo di vigilanza.
Per i giudici, pertanto, fino a tale momento “la Banca è risultata sprovvista di accorgimenti organizzativi concretamente idonei a prevenire il rischio criminoso”.

Un aspetto su cui la decisione in oggetto si sofferma e, pertanto, che merita di essere in tal sede segnalato, è la differenza che intercorre tra l’attività posta in essere dai possibili diversi sistemi di controllo interno (quali il comitato per il controllo interno o la funzione di internal audit) ed il modello organizzativo delineato dal d. lgs. n. 231/2001.
Quest’ultimo, argomenta il Tribunale, richiede, a differenza dei primi, una serie di adempimenti come “la mappatura delle aree di rischio, la predisposizione di specifici controlli diretti alla prevenzione dei reati, gli indispensabili flussi informativi verso l’OdV nonché il sistema disciplinare”, la cui mancanza determina la violazione del d. lgs. n. 231/2001.
Si tratta, questa, di una conclusione cui più volte è già pervenuta la giurisprudenza di legittimità, sostenendo che il soddisfacimento delle esigenze cui tende il d. lgs. n. 231/2001 consiste nel richiedere la predisposizione di un assetto organizzativo che presenti determinate caratteristiche, senza le quali non può dirsi soddisfatto il dettato normativo [1].

Dopo aver esaminato l’assetto organizzativo operante fino all’ottobre del 2013, la pronuncia si sofferma sul modello di prevenzione dei reati successivamente adottato dall’istituto di credito, concludendo nuovamente in ordine alla responsabilità dell’ente.
In proposito i giudici milanesi hanno fornito diverse motivazioni in ordine all’inidoneità del modello organizzativo, stigmatizzando l’inerzia dei componenti dell’Organismo di Vigilanza, i quali “da più fronti avvisati delle criticità legate alle vicende inerenti alle operazioni Santorini e Alexandria e finanche venuti a conoscenza dell’apertura di un procedimento riguardo alle stesse, non hanno in alcun modo esercitato i loro poteri di controllo e di intervento”.
Il tribunale milanese è giunto a tali conclusioni non già prendendo in esame le procedure previste dal modello organizzativo, il quale a più riprese è stato persino valutato positivamente per la sua completezza, bensì valutando in che misura le stesse procedure fossero state concretamente implementate e rispettare, verificando cioè il concreto ed effettivo funzionamento del modello organizzativo.

Ebbene, all’esito di un tale controllo, il Tribunale milanese ha sottolineato come le relative previsioni siano rimaste sostanzialmente inosservate, non essendo infatti risultato operante alcuno degli strumenti preventivi e impeditivi ivi previsti.
Tale assunto del Tribunale si ispira sostanzialmente a quella logica secondo cui è piuttosto semplice mettere su carta un assetto dell’impresa funzionale alla prevenzione dei reati, mentre ciò che è complesso consiste nel rispettare i precetti che tale assetto impone.
In questo senso va letta l’osservazione secondo cui, dopo aver il Tribunale indicato la composizione dell’Organismo di Vigilanza, formato da “professionisti di elevato spesso e comprovata esperienza, di cui era assicurata la continuità di azione, munito di penetranti poteri di iniziativa e controllo, ivi inclusa la facoltà di chiedere ed acquisire informazioni da ogni livello e settore operativo della Banca, avvalendosi delle competenti funzioni dell’istituto”, ne ha però sottolineato l’inerzia, sfociata quasi in un disinteresse di tale organo riguardo alle vicende Santorini e Alexandria.
I componenti dell’Organismo di Vigilanza, è dato leggere in sentenza, si sono “limitati ad insignificanti prese d’atto, nella vorticosa spirale degli eventi che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe certamente scongiurato, per cui non resta che rilevare l’omessa (o almeno insufficiente) vigilanza da parte dell’organismo che fonda la colpa di organizzazione di cui all’art. 6 del d. lgs. n. 231 del 2001”.

Riconosciuta la responsabilità dell’Ente, quanto al trattamento sanzionatorio, il Tribunale, dopo aver evidenziato come non risulti dimostrata la fraudolenta elusione del Modello, ha ritenuto esclusivamente applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria (1000 quote del valore di 800 euro l’una, per un totale di 800.000,00 euro), non essendovi “i presupposti di fatto della confisca, non ravvisandosi alcun vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dei reati-presupposto”.

  1. Conclusioni

La conclusione cui perviene il Tribunale di Milano, secondo cui l’inadeguato operato dell’Organismo di Vigilanza è circostanza idonea a fondare la responsabilità della società, desta qualche perplessità.
Non può certo tacersi, infatti, la rilevanza del ruolo oggi ricoperto da detto organo nel sistema delineato dal d. lgs. n. 231/2001, posto che trattasi di un soggetto cui è demandato un compito di centrale importanza all’interno di quella parte di governance aziendale dedicata alla prevenzione dei reati.

Al contempo, tuttavia, questa accentuazione della rilevanza assunta dall’Organismo di Vigilanza in ambito aziendale pare eccessiva poiché concentra su questo marginale e circoscritto aspetto il giudizio in ordine alla colpevolezza dell’ente, prescindendo da un’attenta analisi delle procedure adottate, dei protocolli organizzativi e dei controlli previsti.
Sul punto deve osservarsi che la possibilità per cui l’Organismo di Vigilanza impedisca la commissione dei reati-presupposto richiamati dagli artt. 24 ss. d. lgs. n. 231/2001 è una tesi che comincia ad affacciarsi con una certa frequenza nella giurisprudenza di legittimità [2] e analoghe riflessioni sono state formulate in sede di merito [3].
Con una pronuncia emessa nel 2014, infatti, la Suprema Corte ha censurato la mancata previsione di una dissenting opinion dell’Organismo di Vigilanza rispetto ad atti tipicamente di competenza degli organi gestionale, trattandosi, nel caso di specie, di taluni comunicati stampa emessi, così adombrando la necessità di affidare all’organo in questione anche compiti di sindacato attivo sulle determinazioni adottate dal potere gestorio.

La decisione resa dal Tribunale di Milano, dunque, pur non affermando espressamente l’esistenza di un obbligo di impedimento dei reati-presupposto in capo all’Organismo di Vigilanza, richiede che tale organo effettui un controllo diretto sugli atti del potere gestionale, con conseguente trasfigurazione del suo compito, che da controllore della compliance, diventa un organo deputato alla prevenzione e repressione dei reati commessi dalla società.
Conclusioni di siffatto tenore rischiano di condurre ad una radicale modifica del ruolo dell’Organismo di Vigilanza, abdicando dalla sua natura di soggetto che garantisce, non già la prevenzione del reato in sé, ma il rispetto delle misure preventive del modello organizzativo volte a ridurre il rischio di commissione di ogni forma di illecito [4].
Attenendosi alle vicende considerate dalla pronuncia in oggetto, l’Organismo di Vigilanza avrebbe dovuto evidenziare la natura delle operazioni negoziali Santorini ed Alexandria, qualificandole come fortemente rischiose per la solidità economica del Monte dei Paschi di Siena.
I componenti di detto organo, pertanto, non avrebbero dovuto limitarsi a sostenere che il comunicato con cui era stato commesso il reato di aggiotaggio era stato emesso in maniera irregolare, senza essere transitato per un parere presso l’Organismo di Vigilanza, ma avrebbero dovuto dichiarare direttamente la falsità del suo contenuto.
Tale impostazione, tuttavia, non appare in linea con la ratio sottesa all’adozione del d. lgs. n. 231/2001, laddove la corretta interpretazione della disciplina in questione impone di fondare la colpevolezza della società, non nel mancato impedito il reato, quanto piuttosto nel non aver predisposto sufficienti presidi idonei alla prevenzione dei reati.

E’ di fondamentale importanza, quindi, sottolineare che all’Organismo di Vigilanza non vengono conferiti diretti poteri impeditivi né la possibilità di intervenire sulle scelte riguardanti l’organizzazione aziendale; ove dovesse riscontrare delle anomalie o mal funzionamenti relativi all’applicazione dei modelli di prevenzione contenuti nel MOG, l’Organismo di Vigilanza può solo riferire all’organo amministrativo o dirigenziale che avrà, dunque, l’onere di provvedere.
Un tale ordine di argomentazioni, a ben vedere, imporrebbe all’Organismo di Vigilanza un ruolo di sindacato diretto e totale sulle scelte gestionali dell’azienda e dei suoi vertici, prospettiva nettamente in contrasto con il ruolo proprio di detto organo, il quale può adempiere correttamente ai propri compiti solo nella misura in cui è separato rispetto alla gestione della società e verifica, in maniera indipendente, l’adozione e l’attuazione dei modelli organizzativi [5].
E’ evidente, infatti, che al fine di garantire l’efficienza e la funzionalità, l’organismo di controllo non deve avere compiti operativi che, facendolo partecipe di decisioni dell’attività dell’ente, potrebbe pregiudicarne la serenità di giudizio al momento delle verifiche [6].
Che non possa configurarsi alcuna posizione di garanzia in capo ai membri dell’Organismo di Vigilanza è peraltro confermato dall’assenza di specifici obblighi di impedimento dei reati, idonei a fondare la responsabilità per omesso impedimento dell’evento lesivo ai sensi del comma secondo di cui all’art. 40 del codice penale [7].
Il principio di equivalenza causale tra condotta attiva e condotta omissiva, scolpito nell’art. 40, comma 2, c.p., postula che il reato omissivo improprio possa configurarsi esclusivamente in presenza di una norma giuridica espressa che imponga a determinati soggetti l’obbligo di impedire uno specifico evento, attribuendo i rispettivi poteri.
Una norma di questo tenore manca con riferimento all’Organismo di Vigilanza, assegnandogli il d. lgs. n. 231/2001 dei compiti di generica prevenzione, prospettici ed organizzativi, non già volti ad impedire singoli eventi lesivi.
Questa prospettata trasfigurazione dei compiti dell’Organismo di Vigilanza rende pertanto auspicabile un intervento del legislatore che riconduca la fisionomia di detto organo a quella originariamente pensata, in maniera tale che l’Organismo di Vigilanza non sia chiamato a prevenire esso stesso concrete ipotesi di reato ma si limiti a relazionare all’organo gestorio al quale solamente compete la potestà di adottare le necessarie misure correttive.


[1] Sul punto, si veda Cass. pen., Sez. VI, 22 giugno 2017, n. 41768. Nello stesso senso, Cass. Pen., Sez. IV, 28 maggio 2019, n. 29538.

[2] Cass. Pen., Sez. V, 30 gennaio 2014, n. 4667.

[3] Trib. Milano, II Sez. Pen., n. 13490/2019, dep. 12 maggio 2020.

[4] NAPOLETANO, Omesso impedimento del reato e illecito amministrativo dell’ente: quale responsabilità per l’Organismo di Vigilanza in caso di omesso o insufficiente controllo?, in Giur. pen. web, 3/2020, p. 8

[5] Marco Levis e Andrea Perini, Il 231 nella dottrina e nella giurisprudenza, 2021, Zanichelli, pagg. 254-255.

[6] VALENSISE, L’organismo di vigilanza ex d. lgs. 231/2001: considerazioni su poteri, composizione e responsabilità, in Analisi giuridica economia, 2009, 2, pagg. 335 ss.

[7] SFAMENI P., Responsabilità da reato degli enti e nuovo diritto azionario: appunti in tema di doveri degli amministratori ed organismo di vigilanza, in Rivista delle società, n. 1/2007, p. 185.

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