Indebita compensazione: la non perfetta coincidenza delle nozioni di inesistenza e non spettanza del credito nella giurisprudenza di legittimità civile e penale.
A cura di Maria Chiara Mastrantonio
SOMMARIO: 1. L’art. 10 quater D. Lgs. 74/2000: un inquadramento generale. – 2. Le nozioni di credito inesistente e credito non spettante nella giurisprudenza delle Sezioni Civili della Suprema Corte. – 3. Inesistenza e non spettanza del credito negli orientamenti del Giudice di legittimità penale.
- L’art. 10 quater Lgs. 74/2000: un inquadramento generale.
Il delitto di indebita compensazione è disciplinato dall’art. 10 quarter D. Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, introdotto dall’art. 35, VII comma, D. L. n. 223 del 2006 (c.d. Decreto Bersani).
Con la riforma operata dal D. Lgs. n. 158 del 2015, però, l’assetto strutturale dell’art. 10 quater ha subito una profonda e radicale modifica. Oltre a scomparire il richiamo all’art. 10 bis originariamente previsto[1], il legislatore dell’epoca ha scisso la norma incriminatrice previgente in due distinte e autonome ipotesi delittuose: la prima relativa ai crediti non spettanti e la seconda, invece, dedicata a quelli inesistenti.
Nel primo comma dell’odierna formulazione, dunque, si prevede la punizione con la reclusione da sei mesi a due anni di chiunque non versi le somme dovute all’Erario utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 D. Lgs. 241/1997, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro. Nel secondo comma, invece, si punisce con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versi le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo già citato nel primo comma, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro.
Il bene giuridico tutelato dalla disposizione è – come intuibile – rappresentato dall’interesse dello Stato alla tempestiva ed efficace riscossione delle entrate patrimoniali. Tutela ritenuta da illustri autori quanto più necessaria considerato che il delitto in esame non è immediatamente ravvisabile ma necessita della previa verificazione circa l’inesistenza o la non spettanza del credito dedotto[2].
Nonostante l’incipit delle norme su menzionate, si tratta di reati propri la cui commissione può avvenire ad esclusiva opera del contribuente che, in sede di compilazione del modello F24, abbia effettuato indebite compensazioni in misura tale da integrare le soglie di punibilità previste[3].
Dal punto di vista della condotta criminosa, appare opportuno rappresentare che, malgrado le aspre critiche della dottrina[4], la Suprema Corte ha posto fine all’annosa questione relativa alle modalità di compensazione rilevanti per l’integrazione delle fattispecie de quibus.
Con un orientamento oramai granitico[5], invero, il Giudice di legittimità ha affermato l’applicabilità dell’art. 10 quater sia in caso della c.d. compensazione orizzontale – operazione che coinvolge crediti e debiti riguardante tributi di natura diversa (ad esempio, tra Iva e Ires) – che nell’ipotesi di c.d. compensazione verticale – operazione riguardante crediti e debiti aventi la stessa origine e natura (ad esempio, tra Iva a debito e Iva a credito).
Con riferimento, infine, all’elemento piscologico richiesto per l’integrazione della fattispecie incriminatrice, si ritiene pacificamente che la condotta debba essere sorretta da dolo generico rappresentato dalla coscienza e volontà, all’atto del versamento unitario, di utilizzare crediti non spettanti ovvero inesistenti per un ammontare superiore ad € 50.000,00 per ciascun periodo di imposta.
- Le nozioni di credito inesistente e credito non spettante nella giurisprudenza delle Sezioni Civili della Suprema Corte.
Per lungo tempo attorno alle nozioni di credito non spettante e credito inesistente sono sorti accesi contrasti interpretativi nell’ambito della Sezione Tributaria della Suprema Corte.
Con il D. Lgs. 158/2015, però, congiuntamente alle modifiche che hanno investito la disposizione di cui all’art. 10 quater D. Lgs. 74/2000, è stato altresì riformulato l’art. 13 D. Lgs. 471/1997 (in tema di violazione degli obblighi di versamento dei tributi) offrendo una definizione normativa sia dei crediti non spettanti che di quelli inesistenti.
L’art. 13 comma IV, invero, fonda la nozione di crediti non spettanti sulla scorta di due parametri: uno quantitativo, secondo cui rileverebbero quei crediti esistenti utilizzati in compensazione in misura superiore a quella spettante; un altro procedurale, in base al quale la non spettanza deriverebbe dalla violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti.
Per quanto attiene all’inesistenza, invece, il comma V del predetto articolo prevede espressamente che “si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli” di cui agli artt. 36 bis e 36 ter D.P.R. n. 600/1973 e all’art. 54 bis d.P.R. n. 633/1972, ovverosia i c.d. controlli automatizzati operati dall’Agenzia delle Entrate.
Ciononostante, secondo un primo e più risalente orientamento, tra le due nozioni non vi sarebbe alcuna differenza. Si è affermato, infatti, che detta distinzione risulta priva di fondamento logico-giuridico e che il differente regime giuridico previsto all’art. 27, comma XVI e XVII, D. L. 185/2008 è univocamente finalizzato a garantire un margine di tempo adeguato per le verifiche, talora complesse, riguardanti l’elemento generatore del credito d’imposta[6].
A tale orientamento si è contrapposto quello inaugurato delle sentenze gemelle n. 34443, 34444 e 34445 del 16 novembre 2021 che, ponendo in evidenza la novità normativa rappresentata dall’art. 13, comma V D. Lgs 471/1997, hanno donato nuova dignità alla distinzione tra le predette categorie. La nozione di credito inesistente, secondo tale interpretazione, deve essere circoscritta ad una dimensione “non reale” o “non vera”e, dunque, all’assenza di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili.
A porre fine a detto contrasto interpretativo sono, di recente, intervenute le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione che, aderendo pienamente alla seconda tesi, hanno rappresentato che, con la riforma operata dal D. Lgs. 158/2015, il legislatore ha inteso creare due categorie “strutturalmente distinte e, sul piano logico, alternative: il credito è inesistente oppure esiste ma è non spettante […] la distinzione tra credito inesistente e credito non spettante ha, innanzitutto, carattere strutturale e trae il suo fondamento logico giuridico dal complessivo sistema ordinamentale tributario: l’una (l’inesistenza) ha un valore obbiettivo, mentre l’altra (la non spettanza) ha un carattere dinamico ancorato al presupposto, antitetico, dell’esistenza del credito” [7].
Proprio sulla scorta di ciò, è stato evidenziato come il credito possa essere qualificato come inesistentesolamente allorquando ricorrano congiuntamente i due presupposti normativamente richiesti dall’art. 13, comma V, D. Lgs. 471/1997: la carenza (totale o parziale) del presupposto costitutivo e la non riscontrabilità dell’inesistenza mediante i controlli c.d. automatizzati.
Dalla necessaria compresenza delle due condizioni ne discende il corollario in base al quale “in assenza di uno dei due requisiti, il credito, ai fini qui in rilievo, non può qualificarsi come inesistente: non importa che il credito sia carente di elementi costitutivi o sia non reale se tale inesistenza è agevolmente rilevabile, restando la vicenda, in tale ipotesi, soggetta al regime giuridico ordinario e meno afflittivo. In altri termini, il credito, pur inesistente in fatto, non è valutabile come tale e, dunque, esclusa la possibilità di un tertium genus tra esistente e inesistente, deve essere ricondotto, sul piano formale, ai crediti esistenti, sicché la sua indebita compensazione rileva come quella di credito non spettante”.
Le Sezioni Unite Civili, quindi, riconducendo a sistema la materia, hanno ritenuto configurabili ai fini sanzionatori-tributari tre distinte ipotesi:
- la compensazione di crediti inesistenti e la cui inesistenza non è riscontrabile in sede di controllo automatizzato, certamente rientrante nella nozione di credito inesistente;
- la compensazione di crediti esistenti ma non spettanti per la violazione di soglie di utilizzabilità o delle procedure e/o le formalità previste per il loro utilizzo, senza alcun dubbio incluso nella definizione di credito non spettante;
- e, infine, la compensazione di crediti inesistenti la cui inesistenza è, tuttavia, riscontrabile in sede di controllo automatizzato, ricompresi – finalmente – nella nozione di crediti non spettanti.
In conclusione, sulla scorta di quanto rappresentato, il Supremo Consesso ha statuito il principio di diritto secondo cui il credito è inesistente “alla luce anche dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, D. Lgs. n. 471 del 1997, come modificato dal D. Lgs. n. 158 del 2015 – allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis D.P.R. n. 633 del 1972; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano i termini ordinari per l’attività di accertamento”.
- Inesistenza e non spettanza del credito negli orientamenti del Giudice di legittimità penale.
Il contrasto interpretativo circa le nozioni di credito inesistente e non spettante – come immaginabile – non è rimasto confinato nella Sezione Tributaria del Giudice di legittimità ma ha attirato l’attenzione anche in seno alle Sezioni Penali della Suprema Corte.
Sulla scorta del principio di autonomia dell’accertamento penale rispetto a quello fiscale, è stata da sempre sostenuta la non perfetta coincidenza delle nozioni di credito inesistente e credito non spettante tra il sistema penale e quello tributario.
L’orientamento tuttora prevalente, difatti, sostiene l’inapplicabilità delle definizioni di cui all’art. 13, comma IV e V, D. Lgs. 471/1997 ai fini penali e, in particolare, alla fattispecie di cui all’art. 10 quater D. Lgs. 74/2000.
È stato, peraltro, evidenziato che, essendo la bipartizione dell’art. 10 quater avvenuta a cura della medesima riforma che ha introdotto le definizioni di cui all’art. 13, il mancato richiamo di quest’ultima disposizione nel corpo della prima costituisca un argomento forte a sostegno della inapplicabilità delle definizioni tributarie ai fini penali.
Ne deriva, quindi, che “la fattispecie sanzionata penalmente dal D. Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater, sviluppa una definizione costitutiva ed autonoma dei concetti di “crediti inesistenti” e di “crediti non spettanti”, preesistente (e impermeabile) alle modifiche introdotte dal D. Lgs. n. 158 del 2015, laddove la definizione di “crediti inesistenti” di cui al D. Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 5, rileva ai soli fini dell’integrazione dell’illecito amministrativo specificamente introdotto dal medesimo D. Lgs. n. 158, cit.” [8].
Sulla scorta di tali argomentazioni, in plurime occasioni, la Terza Sezione Penale ha evidenziato che “mentre il concetto di credito inesistente è di facile ed intuibile identificazione (essendo chiaramente tale il credito del quale non sussistono gli elementi costituitivi e giustificativi) […] il credito tributario non spettante, ai fini di cui al D. lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater, è quel credito che, pur certo nella sua esistenza ed ammontare sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile (ovvero non più utilizzabile) in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l’Erario” [9].
Non può non menzionarsi, però, una recente statuizione della Terza Sezione Penale che, accogliendo l’interpretazione delle predette sentenze gemelle della V Sezione Civile, si è posta in forte contrapposizione con l’orientamento finora vigente.
Con la sentenza n. 7615 del 3 marzo 2022, invero, è stato – coraggiosamente – affermato che, anche ai fini penali, “la definizione di credito inesistente si desume dal D. Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 5, secondo cui si considera tale il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile attraverso i controlli di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36-bis e 36-ter e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis. Devono dunque ricorrere entrambi i requisiti per considerare inesistente il credito: a) deve mancare il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili, finanziari o patrimoniali del contribuente); b) l’inesistenza non deve essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria. Ne deriva, a contrario, che se manca uno di tali requisiti, il credito deve ritenersi non spettante”.
Ed ancora, in questa pronuncia, si è altresì posto in rilievo che “la diversità delle due ipotesi (non spettante; inesistente), incide anche sul piano dell’elemento soggettivo, diverso nelle due ipotesi contemplate dal D. Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater, comma 1 e dal comma 2, atteso che l’ inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, mentre nel caso in cui vengano dedotti dei crediti “non spettanti” occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che tali crediti non siano utilizzabili in sede compensativa”.
In altre parole, quindi, è stato statuito che l’adesione anche ai fini penali alle nozioni di credito inesistente e credito non spettante previste all’art. 13 D. Lgs. 471/1997 non solo delinea un nuovo discrimen tra i commi I e II dell’art. 10 quater D. Lgs. 74/2000 ma incide altresì sul quantum di prova richiesto per l’accertamento dell’elemento soggettivo[10].
Merita, tuttavia, di essere evidenziato che il predetto virtuoso insegnamento è, al momento, rimasto isolatononostante l’intervento delle Sezioni Unite Civili n. 34419/2023 in tema.
Ed invero, nelle more del deposito della motivazione del Massimo Consesso Civile, si è registrata una pronuncia – sempre della Terza Sezione Penale – che, facendo leva sull’argomento del mancato richiamo dell’art. 13 D. Lgs. 471/1997 nella fattispecie dell’indebita compensazione, ha ritenuto di non aderire al predetto orientamento bensì di affermare che “ai fini della configurabilità del reato di indebita compensazione, ex art. 10-quater del D. Lgs. n. 74/2000, per “crediti inesistenti” non si deve fare riferimento alla definizione contenuta nell’art. 13 del D. Lgs. n. 471/1997, secondo la quale si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli; tale definizione è applicabile solo agli illeciti amministrativi e non alle fattispecie penali”[11].
Sebbene, dunque, le Sezioni Unite Civili abbiano concluso per una prospettiva unitaria e sistematica tra diritto penale e diritto tributario mettendo in luce come “appare evidente che la definizione di crediti inesistenti e crediti non spettanti debba intendersi senza soluzione di continuità – rientrando nella nozione della prima quali elementi costitutivi entrambi i requisiti ora esplicitamente previsti dall’art. 13, comma 5, D. Lgs. n. 471 del 1997 e già inclusi nell’art. 27, comma 16, D.L. n. 185 del 2008 ed assumendo rilevanza residuale quella di cui all’art. 13, comma 4 – e unitaria tra ambito penale e tributario”[12], le Sezioni semplici Penali appaiono ancora restie ad aderire a detta visione.
Ad allora, alla luce di quanto rappresentato, non può che auspicarsi un intervento chiarificatore anche da parte delle Sezioni Unite Penali della Suprema Corte di Cassazione idoneo a delimitare, pure in ambito penale, le nozioni di credito inesistente e credito non spettante e, dunque, gli esatti contorni delle fattispecie incriminatrici di cui all’art. 10 quater, comma I e II, D. Lgs. 74/2000.
[1] Nell’originaria versione, invero, l’art. 10 quater D. Lgs. 74/2000 stabiliva che “La disposizione di cui all’articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti o inesistenti”.
[2] In tal senso, G. Soana, I reati tributari, 2020, p. 401; G. Gambogi, I nuovi reati tributari, 2020, p. 530; A. Traversi – S. Gennai, Diritto penale commerciale, 2008, p. 221.
[3] E. Musco – F. Ardito, Diritto penale tributario, 2016, p. 322; L. Salvini – F. Cagnola, Manuale professionale di diritto penale tributario, 2021, p. 794; F. Colaianni – D. Colombo, L’indebita compensazione e dichiarazione fraudolenta tra crediti non spettanti e inesistenti, in Giurisprudenza penale, n. 12/2021, p. 6.
[4] Sul punto, A. Lanzi – P. Aldrovandi, Diritto penale tributario, 2021, p. 468; A. Perrone, Limiti di applicabilità del reato previsto dall’art. 19 quater del D.lgs. n. 74/2000: un opinabile orientamento della Suprema Corte, in Rivista di diritto tributario, n. 9/2011, p. 145; C. Todini, L’equivoco sulla compensazione mette a rischio il meccanismo della detrazione?, in Rassegna tributaria, n. 4/2011, p. 1011; L. Salvini – F. Cagnola, Manuale professionale di diritto penale tributario, 2021, p. 799 ss.; F. Zunica – A. Gentili, I delitti di occultamento, omesso versamento e indebita compensazione, in A. Scarcella (a cura di), La disciplina penale in materia d’imposte dirette e IVA, 2019, p. 264.
[5] Ex pluris, Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 42462, 11 novembre 2010; Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 15236, 16 gennaio 2015; Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 37094, 10 novembre 2017; Cass. pen., Sez. feriale, sentenza n. 33893, 16 agosto 2022; Dello stesso avviso Corte cost., sentenza n. 35, 6 dicembre 2017.
[6] Di questo avviso, Cass. civ., Sez. V, ordinanza n. 10112, 21 aprile 2017; Cass. civ., ordinanza n. 19237, 2 agosto 2017; Cass. civ., Sez. V, ordinanza n. 24093, 30 ottobre 2020; Cass. civ., Sez. V, ordinanza n. 31859, 5 novembre 2021.
[7] Cass. civ., Sez. Un., sentenza n. 34419, 11 dicembre 2023.
[8] Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 16353, 21 febbraio 2023. Nello stesso senso, Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 23083, 14 giugno 2022; Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 6, 2 gennaio 2024.
[9] Cass. pen., Sez., III, sentenza n. 36393, 9 settembre 2015; Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 3367, 26 giugno 2014; Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 38860, 4 agosto 2017; Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 25922, 11 settembre 2020; Cass. pen., sentenza n. 16353, 21 febbraio 2023.
[10] La tesi della differenziazione del dolo tra le due ipotesi era, in verità, già stata accolta dalla giurisprudenza di legittimità, vedasi Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 5934, 12 settembre 2018; Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 43613, 2 novembre 2022; Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 20721, 21 gennaio 2022.
[11] Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 6, 2 gennaio 2024.
[12] Cass. civ., Sez. Un., sentenza n. 34419, 11 dicembre 2023.