La tutela del diritto all’istruzione del migrante minore
A cura di Veronica Clara Talamo
Introduzione
Se fino ad una decina di anni fa il migrante veniva considerato come un “soggetto di passaggio”, pur essendo accolto e riconosciuto, l’attuale politica d’integrazione mira ad impedirne la marginalizzazione, ritenendo che la sua permanenza in Italia non abbia un termine. Di conseguenza, il fenomeno migratorio non è solo indagato dal punto di vista funzionale ma anche esistenziale, in quanto non può trascurarsi il fatto che il migrante provenga da una dimensione di crisi derivante dalla rottura dell’assetto relazionale di origine[1]: la famiglia, infatti, è il ponte di collegamento tra la comunità di provenienza e la comunità di accoglienza, ove il migrante traspone contenuti culturali e religiosi, aspettative, strumenti materiali e cognitivi per l’integrazione.
Quando, però, il fenomeno migratorio interessa il MSNA la politica per la gestione dell’integrazione non si limita a fornire gli strumenti idonei a tutelare i diritti e le libertà riducendo il problema ad aspetti funzionali (sicurezza, ordine pubblico, etc.), ma appresta forme di tutela unilaterali[2].
Il minore straniero non accompagnato
Alla stregua della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989 (ratifica ed esecuzione in Italia con Legge 27 maggio 1991 n. 176), il minore è portatore dei best interests, che sono meritevoli di tutela anche laddove la sua posizione giuridica non sia regolare.
Questo dictum è stato osservato nella recente Legge 7 aprile 2017 n. 47 – Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati che, in un’ottica di superamento del D.L.vo 18 agosto 2015 n. 142, ha offerto una disciplina unitaria ed organica in materia di MSNA che potesse essere applicata omogeneamente sul territorio nazionale; inoltre, ha mirato al superamento delle barriere contro le quali i migranti minori irregolari si scontravano a causa del loro diseguale status rispetto a quello degli stranieri regolari ovvero dei coetanei italiani, a causa delle difficoltà legate all’acquisizione della cittadinanza italiana e della titolarità del permesso di soggiorno.
Il perseguimento dei predetti obiettivi ha richiesto, però, una compiuta ridefinizione del significato giuridico di minore straniero non accompagnato che, ai fini della L. n. 47/17 «si intende il minorenne non avente cittadinanza italiana o dell’Unione europea che si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che è altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano» (art. 2).
Tuttavia, la definizione appena richiamata ha ripreso quella dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, secondo cui i MSNA sono bambini al di sotto dei diciotto anni di età (a meno che, ai sensi della Legge applicabile al minore, la maggiore età sia stata raggiunta prima) separati da entrambi i genitori e non sottoposti alla tutela di un adulto in base alla Legge o alla consuetudine[3]; inoltre, trae anche spunto dal contenuto dalla Risoluzione n. 97/C 211/03 del 26.06.1997 del Consiglio ove è scritto «la presente risoluzione si applica ai cittadini di Paesi terzi di età inferiore ai 18 anni che giungono nel territorio degli Stati membri non accompagnati da un adulto per essi responsabile in base alla legge o alla consuetudine e fino a quando non ne assuma effettivamente la custodia un adulto per essi responsabile. La presente risoluzione è parimenti applicabile ai minori, cittadini di Paesi terzi, rimasti senza accompagnamento successivamente al loro ingresso nel territorio degli Stati membri».
Ciò posto, sembra che l’art. 2 della Legge c.d. “Zampa” non abbia introdotto elementi di novità ma che, piuttosto, abbia specificato i tratti distintivi della figura del minore straniero non accompagnato previsti dalla pregressa normativa in materia secondo la quale questi, di età inferiore agli anni diciotto, giunge in Italia sprovvisto della cittadinanza italiana o degli altri Stati dell’Unione Europea (non includendosi, così, i minori cittadini italiani o dell’Unione europea, per i quali trovano applicazione le norme stabilite dal diritto nazionale).
Inoltre, è privo di assistenza da parte dei genitori o di altri adulti di riferimento[4], oppure è affidato ad adulti (inclusi i parenti entro il quarto grado) che non sono tutori o affidatari in forza di un provvedimento giurisdizionale; pertanto, essendo privo della rappresentanza legale, lo Stato lo prende in cura mediante dei progetti educativi[5].
Rispetto a quest’ultimo aspetto, l’art. 19, comma 5, D.L.vo 142/2015 aveva previsto l’apertura di un doppio procedimento giudiziario di tutela in base al quale, da un lato, l’Autorità Amministrativa (Prefettura, Enti Locali) segnalava tempestivamente la presenza del MSNA al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, il quale verificava la permanenza di questi presso una struttura di accoglienza al fine di ratificare le relative misure innanzi al predetto Tribunale (archiviando la segnalazione in caso di allontanamento o diniego al collocamento, con facoltà di riattivare la procedura nel caso in cui il minore sarebbe stato rintracciato ed accolto successivamente); d’altra parte, informava il Giudice Tutelare affinché nominasse un tutore ai sensi dell’art. 343 ss. c.c.; inoltre, veniva informato il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali competente per il censimento ed il monitoraggio.
Con la L. n. 47/17 è stata parzialmente superata la competenza concorrente in quanto, in attesa della nomina del tutore, i poteri tutelari vengono espletati dal responsabile della struttura di prima accoglienza.
Il diritto all’istruzione alle luce delle fonti nazionali e sovranazionali
La Costituzione è la cartina al tornasole per individuare i diritti sociali attribuibili anche al non cittadino. Il reticolato normativo di riferimento si apre con l’art. 2 Cost. che «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo» e «richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», rivolgendosi indistintamente a ciascun uomo, quale singolo, che nelle formazioni sociali esprime la sua personalità.
E, di conseguenza, in ragione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.[6], anche lo straniero, in quanto uomo, ha il diritto di godere dei diritti sociali. La condizione giuridica dello straniero è, infatti, definita in proporzione all’accesso ed al godimento dei diritti sociali, previsti in conformità alle norme ed ai trattati internazionali ai sensi dell’art. 10 Cost. ed il fondamentale strumento di integrazione è il diritto all’istruzione disciplinato all’art. 34 Cost. ove recita che «la scuola è aperta a tutti.[7] L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita» (commi 1 e 2). Tale diritto è, inoltre, riconosciuto indipendentemente dallo status di cittadino e dal possesso di un titolo di soggiorno poiché è garantito a tutti coloro che siano capaci e meritevoli (art. 34, comma 3, Cost.).
Nonostante il diritto all’istruzione sia personale, la sua universalizzazione ha portato a definirlo come “funzionale”, in quanto necessario al buon funzionamento dello Stato democratico: se l’obbligo di mantenere, istruire ed educare i figli grava normalmente sui genitori, assumendo lo Stato un’obbligazione di risultato garantendo la prestazione scolastica mediante l’istituzione di scuole statali per tutti gli ordini e gradi; nel caso di MSNA l’obbligo di istruzione grava interamente sul soggetto pubblico e, sul punto, gli interventi legislativi sono stati copiosi.
Tra questi, il D.L.vo 25 luglio 1998 n. 286 ha previsto un esaustivo quadro di riferimento relativamente alle politiche di accoglienza e di integrazione degli immigrati e, fermo restando il richiamo al “superiore interesse del fanciullo” in apertura del Titolo IV, ha stabilito l’obbligo scolastico per i minori stranieri presenti sul territorio nazionale, rinviando a tutte le disposizioni vigenti in materia di istruzione, accesso ai servizi educativi, partecipazione alla vita della comunità scolastica.
Infatti, l’art. 38, comma 1, T.U. Immigrazione, prevedendo che «i minori stranieri presenti sul territorio[8] sono soggetti all’obbligo scolastico; ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica» ha introdotto un’importante novità in quanto, precedentemente alla Legge 6 marzo 1998 n. 40, la questione dell’accesso all’istruzione dei minori stranieri era demandata solamente a circolari ministeriali, per anni strumento prescelto per dare attuazione alle disposizioni costituzionali in materia scolastica.
Il diritto allo studio è stato reso effettivo mediante l’attivazione di appositi corsi ed iniziative per l’apprendimento della lingua italiana in capo allo Stato, alle Regioni e agli enti locali (art. 38, comma 2, T.U. Immigrazione); inoltre, la comunità scolastica, nel recepire le differenze linguistiche e culturali come un valore, ha promosso e favorito «iniziative volte all’accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d’origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni» (art. 38, comma 3, T.U. Immigrazione).
Anche il D.P.R. 8 marzo 1999 n. 275 ha offerto un prezioso strumento a garanzia dell’integrazione degli alunni stranieri e, nel rispetto dell’autonomina della istituzione scolastica, ha ritenuto fondamentale per il riconoscimento della centralità degli alunni la personalizzazione dei piani di studio, mediante la costruzione di percorsi educativi e didattici appropriati a ciascuno studente.
Altrettanto importante l’art. 45 del D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394 che, al fine di evitare fenomeni di discriminazione e marginalizzazione, ha previsto che il diritto all’istruzione dei minori stranieri fosse garantito indipendentemente dalla regolarità della loro posizione, nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani[9].
La Legge 15 luglio 2009 n. 94 è, poi, intervenuta sul T.U. Immigrazione rendendo la posizione dei minori stranieri irregolari più problematica rispetto a quella dei minori stranieri regolari e dei minori italiani, prevedendo una formula di esenzione dall’onere di esibizione dei documenti attestanti la regolarità del soggiorno più restrittiva rispetto al passato.
Tuttavia, l’effettività del diritto all’istruzione non è stata scalfita atteso che l’esenzione dall’obbligo di esibizione del premesso di soggiorno all’autorità amministrativa vale dal periodo iniziale di frequenza dell’asilo nido o della scuola dell’infanzia, fino al conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale.
Dal punto di vista dell’integrazione, invece, le Linee-guida emanate dal MIUR nel febbraio 2014, hanno imposto un’equa distribuzione delle iscrizioni al fine di favorire le composizione eterogenea delle classi, tanto per provenienza territoriale quanto per vocazione religiosa dei minori, evitando la formazione delle classi c.d. “ghetto”. L’intesa tra scuole ed enti locali ha, poi, consentito di rispettare il limite massimo del 30% studenti stranieri in conformità alla Circolare Ministeriale n. 2 dell’8 gennaio 2010.
Successivamente la Legge 13 luglio 2015 n. 107 ha indicato, tra gli obiettivi del potenziamento dell’offerta formativa, l’alfabetizzazione ed il perfezionamento dell’italiano come seconda lingua (art. 1, comma 7, lett. r); mentre, con il Decreto Ministeriale 19 ottobre 2016 n. 797 è stato predisposto il Piano Nazionale 2016/2019 rivolto al personale di scuola operante in contesti di elevata complessità multiculturale, poi approvato dal MIUR con nota n. 2239 del 28 aprile 2017.
Il legislatore è recentemente tornato a trattare l’effettività dei diritti sociali dei MSNA con la L. n. 47/2017: le istituzioni scolastiche e formative accreditate dalle Regioni devono assolvere l’obbligo scolastico mediante la conclusione di convenzioni volte a promuovere programmi di apprendistato e progetti specifici (P.E.I.) che coinvolgano i mediatori culturali (art. 14, commi 3 e 4, L. n. 47/2017); inoltre, al termine del percorso di studi, di ogni grado ed ordine, i minori devono ricevere i relativi titoli conclusivi con i dati identificativi acquisiti al momento dell’iscrizione, anche nel caso in cui questi compiano la maggiore età nelle more del completamento degli studi (in conformità all’orientamento della Corte E.D.U., secondo la quale il diritto all’istruzione che deve essere riconosciuto ad ogni individuo non si esaurisce nell’accesso agli stabilimenti scolastici, ma deve necessariamente concretarsi anche nella possibilità di trarre vantaggio dall’istruzione ricevuta, vedendosi riconoscere ufficialmente gli studi compiuti).
Con la Legge “Zampa” si auspica, dunque, che il diritto all’istruzione ed all’integrazione scolastica dei minori stranieri sia effettivo e non dipenda dal rilascio di un permesso di soggiorno anche considerando il tenore normativo dell’art. 34 Cost. che, prevedendo che la scuola sia aperta a tutti, nega che l’accesso possa dipendere da motivi di cittadinanza. Tuttavia, si tratta di progetti di difficile realizzazione a causa dell’insufficienza delle risorse destinate e dall’atteggiamento di chiusura dell’attuale Governo
Conclusioni
Alla luce di quanto fin qui detto, emerge come la disciplina dei MSNA sia multilivello considerando che le misure di accoglienza ed integrazione non rispondono solo ad una logica nazionale, ma anche europea ed internazionale.
In particolare, la Convenzione di New York del 1989 ha portato un cambiamento di prospettiva in relazione alla tutela del fanciullo che, da oggetto di misure di protezione, è divenuto soggetto di diritti, con il conseguente mutamento nella elaborazione ed attuazione delle politiche sociali degli Stati contraenti; infatti, le misure di integrazione susseguitesi negli ultimi anni sono state volte a garantire i diritti sociali dei minori migranti, quali libertà volte a minimizzare le “sofferenze” derivanti dalla loro diversità culturale, religiosa e pratica.
Nell’ambito dell’istruzione e dell’integrazione il diritto ha giocato un ruolo fondamentale, assumendo per primo una prospettiva relazionale visto che non ha posto l’accento sulla disciplina del singolo, ma sulla dimensione del fenomeno migratorio: solo così è stato possibile avviare un progetto legislativo volto a superare le discriminazioni sociali, atteso che il riconoscimento dei diritti da parte dello Stato è lo strumento per ovviare alle diseguaglianze sociali, agli svantaggi causati dalla natura o dall’età.
Il progressivo ampliamento del riconoscimento, sia livello legislativo che giurisprudenziale, dei diritti sociali degli minori stranieri, specie del diritto all’istruzione, dipende dalla qualificazione dei diritti come fondamentali, inviolabili ed universalmente riconosciuti a tutti gli uomini.
Il diritto all’istruzione, in particolare, è il precipuo mezzo di integrazione, che non può prescindere dalla conoscenza della lingua italiana, quale precondizione per l’accesso all’esercizio dello stesso; le statistiche in merito sono ottimali e consentono di affermare che i tassi di scolarità degli studenti con cittadinanza non italiana sono del 77% nell’età compresa tra i 3-5 anni e quasi pari a quelli degli italiani tra i sei ed i tredici anni (circa il 100%), con leggero ribasso nella età adolescenziale.
È, pertanto, indispensabile continuare a seguire l’attuale filone delle politiche sociali e di integrazione, con un invariato spirito d’inclusione, perché sono l’unico strumento idoneo a superare il fenomeno della emarginazione e ad arricchire di contenuto i diritti umani, che sono una «galassia ideologico-normativa in ampia espansione, e con una meta precisa: accrescere la salvaguardia della dignità della persona. I diritti umani rappresentano il generoso (e in parte, forse, illusorio) tentativo di introdurre un po’ di razionalità nelle istituzioni politiche e nella società i tutti gli Stati»[10].
[1] F. MACIOCE, Immigrazione e famiglia: una prospettiva relazionale, in Dir. fam. pers., 2011, p. 380, ritiene che in ordine alla vicenda migratoria «la famiglia non può essere considerata un elemento di sfondo, o di semplice supporto, alla decisione del migrante, ma va piuttosto considerata la effettiva protagonista della vicenda in oggetto. Tanto la decisione di migrare, quanto le sue modalità e le tappe del suo svolgimento, quanto, infine la valutazione dei risultati della migrazione, sono tutti elementi che vengono valutati, elaborati e programmati all’interno del nucleo familiare di riferimento. Si registra insomma una vera e propria strategia migratoria che viene attuata dalla famiglia nel suo complesso, e che si dà anche laddove la migrazione coinvolga (apparentemente) un solo individuo; non solo perché la famiglia procede alla designazione del soggetto migrante, conferendogli spesso una sorta di mandato, e neppure perché al primo individuo ne seguono altri, provenienti dal medesimo gruppo, ma perché la relazione tra soggetto migrante e nucleo familiare permane nel tempo, spesso indipendentemente dalle possibilità (o dall’attualità) del ricongiungimento».
[2] F. MACIOCE, Immigrazione e famiglia: una prospettiva relazionale, cit., p. 368, continua affermando che l’integrazione generi un vincolo tra il migrante allo Stato, sovrapponibile «con un paradigma hobbesiano, perché in modo del tutto simmetrico a quanto descritto da Hobbes si costruisce il vincolo civile (e politico) in modo del tutto individuale, scindendolo da una molteplicità di micro rapporti che legano i singoli individui al sovrano, cui essi – per accordo reciproco – hanno ceduto la propria libertà, e dalla quale ottengono protezione e sicurezza».
[3] UNHRC, Refugee Children: guidelines on protection and care, Ginevra, 1994.
[4] J. Moyersoen-G. Tarzia, L’evoluzione della normativa sui minori stranieri non accompagnati, in Citt. in cresc., 2002, p. 14, ritengono che il MSNA non si trovi necessariamente in stato di abbandono, ben potendo essere accolto dai parenti entro il quarto grado che siano materialmente e moralmente in grado di provvede alle sue esigenze.
[5] G. CAMPANI-O. SALIMBENI, La fortezza e i ragazzini. La situazione dei minori stranieri in Europa, Milano, Franco Angeli, 2006, p. 19, ritengono che «non esiste a livello internazionale una definizione univoca di minore straniero non accompagnato, così come non esiste una linea comune per tutti i paesi che rappresenti una guida nel trattamento e nella protezione di questi bambini. Ogni Stato adotta le proprie misure in merito all’immigrazione ed ai minori, nel rispetto (almeno in teoria) delle Convenzioni e Dichiarazioni delle Nazioni Unite che ha ratificato».
[6] Si osserva, in proposito, che l’art. 2 Cost., riferendosi ai diritti inviolabili dell’uomo, ha un portato più ampio rispetto all’art. 3 Cost. che, invece, fa riferimento alla pari dignità sociale dei cittadini. Entrambe le disposizioni devono essere lette unitariamente sotto il dettato normativo dell’art. 10, comma 2, Cost. ove prevede che «la condizione giuridica dello straniero è regolamentata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali».
[7] Cfr. art. 13-14-15 del Patto Internazionale relativo ai diritti economici sociali e culturali adottata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966; artt. 7-17 della Carta Sociale Europea del 18 ottobre 1961; art. 26 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
[8] Con la espressione “presenti sul territorio” il legislatore ha inteso garantire l’effettività del diritto all’istruzione, sia ai minori legalmente residenti che ai minori privi del permesso di soggiorno, indipendente dalla regolarità della posizione amministrativa.
[9] Infatti, a mente dell’art. 45 del D.P.R. n. 394/1999 i minori stranieri possono iscriversi in qualunque periodo dell’anno scolastico alla classe corrispondente alla loro età anagrafica. Il collegio dei docenti, previa delibera, può indicare una classe diversa, fermo restano l’ordinamento di studi del Paese di provenienza, il corso di studi seguito ed il livello di preparazione raggiunto. Per garantire l’adattamento ai programmi di insegnamento e facilitare l’apprendimento della lingua italiana si possono adottare specifici interventi individualizzanti o per gruppo i alunni: così, Camera dei Deputati, L’integrazione scolastica dei minori stranieri, in Servizio Studi XVIII Legislatura, 5 luglio 2018.
[10] A. Cassese, I diritti umani come nuovo codice dell’umanità, in I diritti umani oggi, Bari, Gius. Laterza & Figli Spa, 2009, p. 6.
Bibliografia
- Camera dei Deputati, L’integrazione scolastica dei minori stranieri, in Servizio Studi XVIII Legislatura, 2018.
- Campani G.-Salimbeni O., La fortezza e i ragazzini. La situazione dei minori stranieri in Europa, Milano, Franco Angeli, 2006.
- Cassese A., I diritti umani come nuovo codice dell’umanità, in I diritti umani oggi, Bari, Gius. Laterza & Figli Spa, 2009.
- Macioce F., Immigrazione e famiglia: una prospettiva relazionale, in Dir. fam. pers., 2011.
- Moyersoen J.-Tarzia G., L’evoluzione della normativa sui minori stranieri non accompagnati, in Citt. in cresc., 2002.
- Unhrc, Refugee Children: guidelines on protection and care, Ginevra, 1994.
Riferimenti Normativi
- Convenzione sui diritti del fanciullo, 20 novembre 1989
- Patto Internazionale relativo ai diritti economici sociali e culturali, 16 dicembre 1966.
- Carta Sociale Europea, 18 ottobre 1961.
- Dichiarazione Universale dei diritti, 10 dicembre 1948.
- Legge 7 aprile 2017 n. 47.
- Decreto Ministeriale 19 ottobre 2016 n. 797.
- D.L.vo 18 agosto 2015 n. 142.
- Legge 13 luglio 2015 n. 107.
- Legge 15 luglio 2009 n. 94.
- D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394.
- D.P.R. 8 marzo 1999 n. 275.
- D.L.vo 25 luglio 1998 n. 286
- Delib.ne Assemblea Costituente 22 dicembre 1947.