domenica, Aprile 28, 2024
Labourdì

Legittimità del licenziamento per violazione delle procedure aziendali scritte

A cura di Federico Fornaroli

Con ordinanza n. 6827/2024, gli Ermellini si sono recentemente pronunciati in relazione ad una fattispecie assai peculiare, concernente due dipendenti, accusati di aver caricato irregolarmente della merce su un automezzo aziendale e, conseguentemente, sanzionati disciplinarmente dal datore di lavoro, per violazione delle procedure interne aziendali, stabilendo la legittimità di una simile decisione.

In particolare, tale condotta, ad avviso della società interessata, avrebbe potuto esporre la medesima a rischi economici e reputazionali significativi e, per l’effetto, ne è scaturito il predetto provvedimento espulsivo.

Nei primi due gradi di giudizio di merito, i suindicati lavoratori si vedevano, dapprima, parti ricorrenti e, successivamente alla soccombenza davanti al Tribunale di Padova, parti appellanti.

Anche la Corte d’Appello di Venezia, tuttavia, decretava la soccombenza di siffatti lavoratori.

Per il ché, i suddetti procedevano con ricorso per Cassazione, nel cui ambito segnalavano una serie di profili, a proprio avviso, di illegittimità delle determinazioni datoriali circa il summenzionato licenziamento.

Nondimeno, tali osservazioni a nulla sono risultate utili secondo la Suprema Corte, giacché essa confermato l’interpretazione adottata, da ultimo, dalla Corte d’appello di Venezia, stante l’intervenuto riconoscimento della “gravità della condotta tenuta dai lavoratori” e del correlato danno in capo alla società, anche in termini di possibili sanzioni amministrative che le autorità competenti avrebbero potuto comminare alla stessa, visto anche il settore piuttosto regolamentato nel quale la medesima operava.

La Cassazione ha quindi ribadito l’importanza del rispetto delle procedure aziendali e della correttezza nelle operazioni di trasporto, sottolineando come violazioni di tale portata possano giustificare il licenziamento per giusta causa.

Siffatto indirizzo giurisprudenziale si inserisce in un contesto attento alla tutela dell’integrità delle operazioni commerciali e alla prevenzione di condotte lesive per l’azienda.

Aspetto fondamentale della pronuncia è la valutazione della proporzionalità tra la condotta e la sanzione, confermando che misure disciplinari severe come il licenziamento sono ammissibili qualora la violazione comprometta il rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro, nonché l’integrità e la sicurezza delle operazioni aziendali.

Ebbene, la portata materiale delle pronuncia in questione appare di non poco conto, poiché sottolinea l’importanza dell’osservanza delle procedure e regolamenti aziendali da parte dei dipendenti, il cui inadempimento può ben implicare un provvedimento disciplinare sfociante nel licenziamento, posta, parimenti (e qui si pone la crucialità di talune “accortezze” ad opera del datore di lavoro) la sussistenza di (i) policy chiare e ben positivizzate per iscritto; (ii) un’effettiva conoscenza di queste ultime da parte dei lavoratori destinatari; e, comunque (iii) di una seria gravità delle violazioni imputabili ai soggetti coinvolti, tale da esporre la società a rischi, specialmente di natura economica e/o reputazionale.

D’altronde, ciò che precede, si può agilmente inserire nel solco normativo tratteggiato dal c.d. Decreto Trasparenza- D.lgs. n. 104/2022 (anche come novellato dal c.d. Decreto Lavoro-D.L. n. 48/2023), in quanto viene, a maggior ragione, enfatizzata la significatività di determinare regolamenti limpidi e dettagliati e, conseguentemente, messi a compiuta conoscenza dei dipendenti che ne siano tenuti.

A bene vedere, inoltre, si possono individuare (almeno) due ulteriori effetti da quanto sopra, consistenti, senz’altro, (i) nella necessità delle aziende di dotarsi di un’organizzazione attenta e articolata, anche sotto il profilo formale (aspetto, peraltro, che viene acuito in un contesto di contratto di appalto, date le recenti evoluzioni normative al riguardo); e (ii) nell’armonizzazione dei correlati risvolti disciplinari rispetto al dettame del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato dal datore di lavoro.

Nondimeno, stiamo parlando di un’iniziativa di non sempre agevole determinazione, in forza delle continue e rapide vicissitudini e necessità che, oggigiorno, un’azienda deve quotidianamente fronteggiare e sono sempre in veloce (talora anche imprevedibile) evoluzione.

Infine, la pronuncia in oggetto potrebbe – anche per quanto disciplinato dal succitato combinato disposto “Decreto Trasparenza-Decreto Lavoro” – conferire minor pregio ai c.d. “usi e prassi” che, per giurisprudenza consolidata, hanno efficacia parificata alle policyscritte, giacché, sempre di più, soltanto queste ultime sono in grado di incidere concretamente nella vita aziendale. Tuttavia, sul punto, è bene significare che la ragionevolezza della prevalenza di regole scritte rispetto alle prassi-usi per scopi squisitamente disciplinari è dovuta e ineluttabile, proprio in ossequio ai principi cardine del nostro ordinamento, soprattutto per un’adeguata protezione dei diritti, posizioni e interessi del lavoratore.

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