martedì, Ottobre 15, 2024
Amministrazione e Giustizia

L’evoluzione della conferenza di servizi e l’immobilità di criticabili condotte

A cura di Elisa Tunno

Se del procedimento amministrativo deve fisiologicamente parlarsi in termini di “strumento” per eccellenza dedito alla composizione dei plurimi interessi pubblici continuamente partecipi di un gioco d’equilibrio, destinati ad animare l’incessante attività della pubblica amministrazione tutta, non può alla pari dirsi, dello stesso, in termini di “strumento sufficiente” per il raggiungimento di una totale sinergia, per la quale, invece, si ricorre a processi di coordinamento che già la stessa legge del 7 agosto 1990, n. 241, precisamente agli artt. 14 e 15, dispose prudentemente.

Con particolare riferimento all’istituto della conferenza di servizi, cui ricorso è proprio di una prassi amministrativa ascrivibile agli anni cinquanta, seppur originariamente limitata alla trattazione di discipline di settore (tra le quali lo smaltimento dei rifiuti, mondiali di calcio), esso si inserisce tra gli istituti di coordinamento delle attività dei diversi soggetti attivi della pubblica amministrazione, preposti alla cura di più interessi pubblici rilevanti in un unico procedimento amministrativo, costituendo “non (..) solo un “momento” di semplificazione dell’azione amministrativa…ma anche e soprattutto un momento di migliore esercizio del potere discrezionale della pubblica amministrazione, attraverso una più completa ed approfondita valutazione degli interessi pubblici (e privati) coinvolti, a tal fine giovandosi dell’esame dialogico e sincronico degli stessi[1], perciò destinatario, nei decenni, di ripetuti interventi normativi di riforma, l’ultimo dei quali ha delegato il Governo ad una semplificazione dello strumento con l’obiettivo di certezza e celerità[2], nel più generale auspicio di conseguire l’efficienza decisionale nonostante la difficoltà applicativa dello strumento stesso.

L’utilità dell’istituto si cristallizza nella concentrazione che vivono valutazioni e posizioni di amministrazioni portatrici di antinomici interessi coinvolti nello stesso procedimento amministrativo, divenendo parte di un “gioco” che non conosce una gerarchia delle stesse e che resta proiettato verso il raggiungimento di una decisione non più solitaria, bensì congiunta, volta all’individuazione dell’interesse prevalente[3], nel rispetto delle relative autonomie dei singoli organismi coordinati: la partecipazione alla conferenza di servizi, difatti, non comporta una perdita di individualità delle amministrazioni, conservando queste ultime la facoltà di opporsi alla determinazione finale purché tale opposizione non si trasformi in veto, favorendo così la valorizzazione del principio del contraddittorio[4].

Originariamente l’istituto in oggetto rimase inutilizzato, ma la sopravvenuta e grande quantità di modifiche che ne ha fatto seguito, è stata in grado, invece, di evidenziarne la rilevanza, non automaticamente sanandola, però, da complicazioni di natura per lo più “comportamentale[5]: la stratificazione legislativa menzionata, per converso, ha generato un’eccessiva formalità dell’istituto stesso, divenuto inutile al processo decisionale e, paradossalmente, bisognoso di una sua semplificazione che, in principio, avrebbe dovuto garantire direttamente esso stesso.

Se l’ausilio di proficue occasioni, tra le quali il PNRR, prodromico per la realizzazione di interventi, di natura anche digitale, in grado di garantire l’interoperabilità tra pubbliche amministrazioni, è classificabile quale tentativo di risposta alla maggiore criticità della struttura di coordinamento tra le amministrazioni che il legislatore ha individuato nelle eccessivamente lunghe tempistiche, ciò non è bastato, però, a sufficientemente garantire il risultato di massima interazione amministrativa sperato, ostacolato, per di più, dalle competenze del personale che abita la pubblica amministrazione stessa, dalle “scarse competenze digitali[6] che, esemplificando, quest’ultimo detiene, vanificando, così, ogni tentativo di accelerazione dei processi di interoperabilità.

Tra gli altri, in tal senso, basti pensare al progetto della Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) che consente, tra i vantaggi,  l’accesso immediato alle banche dati delle pubbliche amministrazioni: si legge come “lo scambio di informazioni e di servizi tra enti, permesso dall’interoperabilità, consente alle amministrazioni di realizzare in modo più efficiente e veloce procedimenti complessi, migliorando costi e tempi di gestione e riducendo i margini di errore. (…) Disporre di dati completi e di qualità, inoltre, abilita la P.A. all’utilizzo di strumenti di analisi che permettono di migliorare il processo decisionale, progettare interventi in modo più efficace e definire e monitorare politiche più efficienti, proattive e personalizzate[7].

A tal proposito, risulta di immediata considerazione, quindi, la necessità di un impianto normativo che, sulla linea del già intervenuto decreto legislativo 30 giugno del 2016, n. 127, adottato in attuazione della legge del 2015 per la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, n. 124, e disponente  obblighi comportamentali in capo alle amministrazioni, preveda un’adeguata formazione del personale pubblico sia, visto quanto accennato, in tema di informatizzazione delle procedure, per evitare, dunque, “che le infrastrutture tecnologiche a disposizione delle pubbliche amministrazioni rimangano inutilizzate a causa delle profonde lacune di expertise[8] anzidette, sia – e soprattutto – sulla potenzialità degli strumenti di cooperazione, quale la conferenza di servizi stessa, “disincentivando comportamenti poco collaborativi o addirittura ostruzionistici degli amministratori e degli operatori pubblici[9], nel tentativo di superare condotte criticabili[10] sia in termini di coerenza interna alle stesse che in termini di accettazione di determinazioni finali non gradite, in violazione del principio di leale collaborazione la cui osservazione, invece, non può che alimentarsi del fattore umano, auspicabilmente ponderato, oltre che partecipativo.

 

Note:

[1] Cons. St., Sez. IV, 1 dicembre 2016, n. 5044.

[2] S. FOÀ, La semplificazione procedimentale, in C. E. GALLO (a cura di), Manuale di diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 2022, p. 247.

[3] M. SANTINI, La conferenza di servizi, Roma, Dike Giuridica, 2008 (Scie di Diritto Amministrativo), p. 3 ss.

[4] M. AVVISATI, La conferenza di servizi e ponderazione degli interessi sensibili, in Munus, 2018, pp. 189-191.

[5] L. TORCHIA, I nodi della pubblica amministrazione, Napoli, Editoriale Scientifica, 2016, p. 24.

[6] V. FALCO, La Piattaforma Digitale Nazionale Dati e la conferenza di servizi, in Giorn. dir. amm., 1/2023, p. 23.

[7] Dati e interoperabilità, in www.innovazione.gov.it.

[8]  V. FALCO, La Piattaforma Digitale Nazionale Dati e la conferenza di servizi, op. cit., p. 25.

[9] P. MASCARO, La conferenza di servizi tra semplificazione amministrativa e partecipazione procedimentale, in Amministrazione in Cammino, 3/2021, p. 14; M. SANTINI, La nuova conferenza di servizi dopo la Riforma Madia, Dike Giuridica Editore, Roma, 2016, p. 149.

[10] F. RISSO, La conferenza di servizi: strumento di composizione dei conflitti?, relazione al Convegno nazionale di studi Il giudice amministrativo nei conflitti tra pubbliche amministrazioni: giurisdizione, mediazione, supplenza. – II SESSIONE – I territori del conflitto, tenutosi presso il T.A.R. Puglia, sezione di Lecce, il 21-22 settembre 2018, p. 5.

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