L’obbligo di mantenimento dei figli ha un limite temporale?
L’art. 147 c.p.c. e la generazione dei “bamboccioni”
In Italia da vari anni la nuova generazione i Millenial, coloro che sono entrati nella vita adulta nei primi 15 anni del 2000, si sono approcciati al mondo del lavoro, ma da tempo quest’ultimi sono stati criticati per il loro generale immobilismo e l’assenza di ideologie. A tal proposito si ricorda l’audizione di Padoa Schioppa, all’epoca Ministro dell’Economia, nella quale, riferendo la situazione economica italiana alle Commissioni bilancio della Camera e del Senato, nel 2007, fu il primo a portare all’attenzione pubblica il problema dei “bamboccioni”. Da allora la questione si è andata sempre più ad aggravare tanto che nel 2016 l’STAT la ha evidenziata nel suo rapporto annuale: nel 2015 il 70,1 per cento dei giovani di 25-29 anni della Generazione del millennio e il 54,7 per centodelle loro coetanee vive ancora in famiglia con il ruolo di figli, mentre solo 20 anni prima la percentuale era notevolmente più bassa[1].
Lo stesso organismo di controllo negli approfondimenti della relazione ha motivato tale cambiamento con l’aumento diffuso della scolarizzazione e l’allungamento dei tempi formativi, le difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro e la condizione di precarietà, gli ostacoli a trovare un’abitazione.
Se è vero che l’attuale generazione è quella che più di tutte sta pagando le conseguenze della crisi economica e che ciò ha causato la posticipazione delle le tappe verso la vita adulta, tra cui quella della formazione di una famiglia, come riporta il resoconto redatto dall’Istituto Nazionale di Statistica, fino a quando la famiglia d’origine è tenuta a mantenere la propria progenie?
Per poter rispondere a tale domanda è necessario capire in cosa consista l’obbligo di mantenimento; la prima norma regolatrice è l’art. 30 della Costituzione che al primo comma impone: è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.
A questo vincolo generale si affianca la statuizione dell’art.147 del codice civile: il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis. La dottrina in proposito ha stabilito che rientri nel mantenimento l’obbligo di fornire ai propri figli quanto necessario perché possano avere un’adeguata vita di relazione rapportandola all’effettivo contesto sociale e alle disponibilità dei genitori. Tale imposizione è stata rafforzata dalla legge 54/2006 che ha introdotto l’art. 155 – quinquies del codice civile: Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale sussidio, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto.
Da ultimo l’obbligazione al versamento del mantenimento è stata ulteriormente garantita dall’articolo 570 bis del codice penale che prevede sino ad un anno di reclusione e sino ad una pena di € 1.032 per chi si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti la responsabilità genitoriale[2].
Stabilito che il mantenimento, pur dipendendo dal contesto economico della specifica situazione, non ha esclusivamente natura alimentare, ma comprende le attività utili per lo sviluppo psico-fisico dei giovani incluse quelle per la formazione del senso civico ed il grado culturale vi è un limite oltre il quale non debba esser concesso tale sostentamento? La Corte Costituzionale è stata investita della questione da circa un ventennio a seguito delle crescenti istanze proposte da genitori obbligati a versare un contributo al mantenimento dei propri figli. Gli ermellini hanno adottato una posizione uniforme in materia:
“l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, secondo le regole degli artt. 147 e 148 cod. civ., non cessa,“ipso facto”, con il raggiungimento della maggiore etàda parte di questi ultimi, ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell’obbligo stesso non dia la prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso.”[3]
Da questa massima si ricavano tre punti fondamentali:
- Sino al raggiungimento del diciottesimo anno di età i ragazzi hanno diritto a vedere versata una somma a loro favore per il mantenimento.
- Il raggiungimento della maggiore età non comporta l’automatica decadenza dell’obbligo di mantenimento.
- L’obbligo di mantenimento cessa solo in due casi:
- Il giovane abbia raggiunto un’indipendenza economica, quindi ha delle proprie entrate che gli permettono di mantenersi autonomamente.
- La mancata indipendenza economica sia causata dall’inattività del giovane. Questo è il punto focale su cui si è basata la giurisprudenza della Corte per evitare che il diritto ad ottenere una somma a titolo di mantenimento divenga un diritto illimitato ad essere sostentati disincentivando, quindi, i ragazzi nella ricerca della loro emancipazione.
Da ciò si evince che vi è un limite temporale al diritto di mantenimento, ora è necessario chiedersi quale sia.
Al contrario di quanto è accaduto per il precedente interrogativo in questo caso la Corte Suprema non è riuscita a stabilire un criterio oggettivo per la definizione di tale limite lasciando ai singoli giudici l’individuazione dello stesso:
“La cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegnorivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa ed, in particolare, alla complessiva condottapersonale tenuta dal raggiungimento della maggiore età da parte dell’avente diritto.”[4]
Da tale sentenza si evince che gli ermellini pur non avendo lasciato al libero apprezzamento del giudice la statuizione di un termine massimo oltre il quale i figli non hanno più diritto ad essere mantenuti ha elencato dei criteri per stabilirlo:
- L’età pur non essendo un criterio rigido, la Corte ha più volte ribadito che non si possa prefissare un termine a tale obbligo di mantenimento … sulla base di un termine astratto (ancorché desunto, come nel caso, dalla media della durata degli studi in una determinata facoltà e dalla normalità del tempo mediamente occorrente ad un giovane laureato, in una data realtà economica, affinché questo possa trovare impiego).[5]
- Il secondo parametro evidenziato dalla Corte è la realizzabilità delle ambizioni del mantenuto, infatti del sin dalle prime pronunce in merito la Corte Costituzionale ha stabilito che il percorso di studi e le aspirazioni del giovane devono essere compatibili con le effettive condizioni economiche della famiglia.[6]
- L’impegno versato nell’ottenimento di una competenza maggiore o nella ricerca di una lavoro adeguato alla propria formazione è uno dei punti che la Corte ha maggiormente posto in rilievo, talvolta basando il termine del mantenimento (soltanto) sul fatto che il figlio, malgrado i genitori gli abbiano assicurato le condizioni necessarie (e sufficienti) per concludere gli studi intrapresi e conseguire il titolo indispensabile ai fini dell’accesso alla professione auspicata, non abbia saputo trarne profitto, per inescusabile trascuratezza o per libera (ma discutibile) scelta delle opportunità offertegli, ovvero non sia stato in grado di raggiungere l’autosufficienza economica per propria colpa.[7]
In conclusione si può dire che l’obbligo al mantenimento dei figli, in linea generale, non ha un limite massimo di età, ma viene meno con il raggiungimento dell’indipendenza economica degli stessi. Posto che questo è l’unico caso che fa automaticamente decadere l’onere del versamento è il raggiungimento, da parte del figlio, di una posizione lavorativa consona alle proprie competenze, la dottrina costituzionale non ha previsto un’età massima oltre la quale il diritto ad esser mantenuti decade, bensì dei criteri concreti in base ai quali i singoli giudici possono valutare se il beneficiario abbia ancora diritto a ricevere l’assegno di mantenimento o meno. Ad oggi, inoltre, diversi Tribunali come quello di Milano e di Roma stanno elaborando indirizzi sempre più concreti per evitare che il diritto ad essere sostentati inibisca ulteriormente i giovani nella ricerca della loro autonomia economica e personale.
Dott.ssa Nicoletta Cosa
Bibliografia:
Corte Costituzionale, Prima Sezione, 1858 del 01.02.2016
Corte Costituzionale, Prima Sezione, 12951 del 22.06.2016
Corte Costituzionale, Prima Sezione, 18076 del 20.08.2014
Corte Costituzionale, Prima Sezione, 27377 del 06.12.2013
Corte Costituzionale, Prima Sezione, 19589 del 26.09.2011
Corte Costituzionale, Prima Sezione, 16612 del 15.07.2010
Corte Costituzionale, Prima Sezione, 8221 del 07.04.2006
Corte Costituzionale, Sezione Prima, 15756 del 11.07.2006
Corte Costituzionale, Sezione Prima, 22500 del 01.12.2004
Corte Costituzionale, Prima Sezione, 4765 del 03.04.2002
[1]Alla fine del XX secolo il 62,8 per cento per gli uomini ed il 39,8 per cento delle donne tra i 25 ed i 29 anni vivevano ancora con la famiglia d’origine.
[2]http://www.iusinitinere.it/il-nuovo-articolo-570-bis-c-p-natura-disciplina-e-ratio-9294
[3]Per tutte: Corte Costituzionale, Prima Sezione, 19589 del 26.09.2011
[4]Corte Costituzionale, Prima Sezione, 12951 del 22.06.2016
[5]Corte Costituzionale, Prima Sezione, 8221 del 07.04.2006
[6]Corte Costituzionale, Prima Sezione, 4765 del 03.04.2002
[7]Corte Costituzionale, Prima Sezione, 8221 del 07.04.2006
Nicoletta Cosa si è laureata in Giurisprudenza presso La Sapienza Università di Roma nel novembre 2017. Sta proseguendo gli studi partecipando al Master in diritto della Concorrenza ed Innovazione presso la Luiss School of Law. Attualmente è anche praticante presso un prestigioso studio legale della capitale.