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Società a partecipazione mista comunale: la specialità della gestione del servizio farmaceutico comunale

A cura di Pasquale La Selva

Il 17 aprile 2018 la Consulta si è pronunciata con sentenza n. 116 sul giudizio di legittimità costituzionale della disposizione relativa all’incentivazione della mobilità[1] nelle società controllate direttamente o indirettamente dalle Pubbliche Amministrazioni.

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con sentenza non definitiva del 28 febbraio 2017, sorta nel corso di un giudizio promosso da una farmacista, socia privata in una società comunale, denominata “Farmacie di Ferentino srl”, costituita ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. d), della legge 2 aprile 1968, n. 475 (Norme concernenti il servizio farmaceutico) che consente la gestione delle farmacie comunali a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che prestino servizio presso tali farmacie e cessino dal rapporto di lavoro dipendente con il comune all’atto della costituzione della società.

In applicazione di tale norma era stata costituita una società a responsabilità limitata, con cessione del 49% del capitale sociale alla farmacista ricorrente nel giudizio a quo, la quale, oltre a rinunciare al rapporto di lavoro, aveva conferito circa euro 700.000 per acquisire la partecipazione sociale.

Nel giudizio davanti al TAR rimettente veniva impugnata la deliberazione con cui il Comune di Ferentino stabiliva di adottare per la gestione della farmacia comunale il modello della concessione ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici vigente ratione temporis) e disponeva la cessione delle partecipazioni comunali (51%) tramite procedura ad evidenza pubblica a doppio oggetto, con il contestuale affidamento in concessione della farmacia comunale per la durata di cinque anni, prorogabili per altri cinque.

Il passaggio dalla gestione diretta della farmacia comunale (a mezzo di società di capitali costituita tra Comune ed i farmacisti dipendenti) alla gestione indiretta (attraverso concessione a terzi) – motivato in ragione di uno squilibrio finanziario rivelatosi negli anni precedenti all’operazione oggetto d’esame – era stato disposto dal Comune in applicazione e secondo le modalità previste dall’art. 1, comma 568-bis, lett. b), della legge n. 147 del 2013.

Il giudice rimettente, di fronte a tali doglianze, respingeva il primo motivo di ricorso, con cui si contestava in radice l’utilizzabilità del modello della concessione per la gestione del servizio comunale, aderendo così all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale i Comuni possono ricorrere a modelli di gestione diversi da quelli previsti dall’art. 9 della legge 475/1968, purché l’esercizio della farmacia avvenga a tutela dell’interesse pubblico.

Quanto al secondo motivo di ricorso invece – incentrato sulla violazione dei principi costituzionali di tutela del lavoro, del risparmio, degli investimenti e della libera iniziativa economica (artt. 41 e 47 Cost.) – secondo il giudice rimettente, i dubbi di legittimità costituzionale deriverebbero dal fatto che la norma censurata, nel prefigurare le modalità di perseguimento di tali interessi comprometterebbe irragionevolmente l’affidamento e l’interesse del privato che, prima della sua entrata in vigore, aveva aderito al progetto di partenariato pubblico-privato per la gestione del servizio pubblico. Nel caso in esame, l’affidamento della farmacista ricorrente – che aveva operato importanti scelte, quale la rinuncia ad un rapporto di pubblico impiego e il versamento di un’ingente somma di denaro, prefigurandosi un assetto di interessi destinato a valere per un lungo periodo di tempo (quasi secolare) – sarebbe ingiustamente sacrificato dall’applicazione retroattiva della previsione denunciata. Essa infatti, pur consentendo che il servizio farmaceutico sia affidato alla società risultante dalla procedura di privatizzazione, limita la durata della concessione a soli 5 anni, eventualmente prorogabili per altri 5, e addossa al socio farmacista privato un ulteriore impegno economico nell’ipotesi in cui egli decida di esercitare il diritto di prelazione per acquisire, a titolo oneroso, la quota pubblica aggiudicata con gara.

Secondo il giudice rimettente sarebbe stato più rispondente ai canoni costituzionali evocati lasciare ai Comuni l’alternativa fra disporre unicamente lo scioglimento della società controllata, con ogni conseguenza quanto alla liquidazione delle quote a ciascuno spettanti, o prevedere la mera alienazione delle quote con procedura ad evidenza pubblica, lasciando inalterato il precedente assetto societario.

Il TAR dunque, con sentenza non definitiva, trasmetteva il fascicolo alla cancelleria della Corte Costituzionale, la quale ha immediatamente rilevato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposte in relazione agli artt. 41 e (implicitamente) 3 Cost. da un lato, e in relazione all’art. 47 dall’altro.

L’art. 1, comma 568-bis, della legge n. 147 del 2013 ‒ non toccato dall’entrata in vigore del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), che, all’art. 20, comma 6, lo fa espressamente salvo ‒ ha introdotto alcuni incentivi per sollecitare lo scioglimento delle società controllate o l’alienazione delle partecipazioni detenute da pubbliche amministrazioni locali. Si tratta di una misura di razionalizzazione che mira a provocare la dismissione delle società a partecipazione pubblica la cui attività non sia strettamente necessaria per il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente, ovvero di quelle scarsamente redditizie o in perdita.

In relazione alla fattispecie descritta nell’ordinanza di rimessione, le censure di illegittimità costituzionale devono intendersi limitate alla lettera b), dell’art. 1, comma 568-bis, citato, secondo cui le pubbliche amministrazioni locali e le società da esse controllate possono procedere: «all’alienazione, a condizione che questa avvenga con procedura a evidenza pubblica deliberata non oltre dodici mesi ovvero sia in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore della presente disposizione e alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a decorrere dal 1º gennaio 2014. In caso di società mista, al socio privato detentore di una quota di almeno il 30 per cento alla data di entrata in vigore della presente disposizione deve essere riconosciuto il diritto di prelazione. Ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, le plusvalenze non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi».

La Corte Costituzionale ha rilevato come la disposizione censuata, dunque la previsione dell’art. 1, comma 568-bis, lettera b), della legge n. 147 del 2013 non può estendere il proprio campo di riferimento alla fattispecie della società comunale partecipata ex art. 9, primo comma, lettera d), della legge n. 475 del 1968. Questo tipo di società costituisce un modello specialissimo di società a partecipazione mista per la gestione dei sevizi pubblici locali in ragione del fatto che l’individuazione dei soci privati è categoricamente disciplinata dalla legge, vincolando l’amministrazione, inoltre la stessa posizione del socio farmacista costituisce una peculiarità, in quanto il legislatore intende valorizzare una categoria specifica di dipendenti dell’ente locale.

Vista la specialità della gestione del servizio comunale, l’affidamento non ha limiti temporali di durata e al socio privato è consentito di disporre delle sue quote perfino in sede testamentaria.

Nell’ambito di questo peculiare modello societario con predeterminazione legislativa dei soci, l’ammissibilità dell’affidamento diretto del servizio alla società ‒ pur in presenza della partecipazione di un soggetto privato, che in via ordinaria lo escluderebbe ‒ è solitamente giustificata in ragione della piena comunanza di interessi fra l’amministrazione locale titolare del servizio e i farmacisti dipendenti. Questo consente di escludere che la partecipazione di privati alla compagine sociale determini, in tale caso, quel vulnus alla possibilità che la società persegua pienamente l’interesse pubblico dell’ente locale titolare del servizio, che – in particolare nella giurisprudenza della Corte di giustizia, formatasi anteriormente all’entrata in vigore delle direttive 23/2014/UE, 24/2014/UE e 25/2014/UE, in tema di affidamento a società in house (ex plurimis, Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenze 19 giugno 2014, C-574/12, Centro Hospitalar de Setúbal EPE e altro, paragrafi 36 e 38, e 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle e altro, paragrafi 49 e 50) – è ricondotto alla presenza di un privato nel capitale sociale.

Ciò che dunque evita il contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost. è il modello spurio di gestione del servizio comunale, ove si rinviene la convivenza tra un socio selezionato senza gara (il farmacista ex dipendente) e uno selezionato con gara, e la stessa società originariamente affidataria diretta del servizio per la durata, di norma, decennale, fissata statutariamente, si vedrebbe ridotta alla condizione di concessionaria dello stesso servizio per la durata di cinque anni.

 

 

[1] Art. 1, comma 568-bis, lett. b), legge 27 dicembre 2013, n. 147 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», come inserito dall’art. 2, comma 1, lettera a-bis), del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche), convertito, con modificazioni, in legge 2 maggio 2014, n. 68: «Le pubbliche amministrazioni locali indicate nell’elenco di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, e le società da esse controllate direttamente o indirettamente possono procedere: a) allo scioglimento della società, consorzio o azienda speciale controllata direttamente o indirettamente. Se lo scioglimento è in corso ovvero è deliberato non oltre ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, gli atti e le operazioni posti in essere in favore di pubbliche amministrazioni in seguito allo scioglimento della società, consorzio o azienda speciale sono esenti da imposizione fiscale, incluse le imposte sui redditi e l’imposta regionale sulle attività produttive, ad eccezione dell’imposta sul valore aggiunto. Le imposte di registro, ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa. In tal caso i dipendenti in forza alla data di entrata in vigore della presente disposizione sono ammessi di diritto alle procedure di cui ai commi da 563 a 568 del presente articolo. Ove lo scioglimento riguardi una società controllata indirettamente, le plusvalenze realizzate in capo alla società controllante non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi; b) all’alienazione, a condizione che questa avvenga con procedura a evidenza pubblica deliberata non oltre dodici mesi ovvero sia in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore della presente disposizione e alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a decorrere dal 1º gennaio 2014. In caso di società mista, al socio privato detentore di una quota di almeno il 30 per cento alla data di entrata in vigore della presente disposizione deve essere riconosciuto il diritto di prelazione. Ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, le plusvalenze non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi».

Pasquale La Selva

Pasquale La Selva nasce a Napoli il 22 Febbraio 1994. Ha conseguito la laurea magistrale in giurisprudenza presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” con tesi in Diritto Amministrativo dal titolo "Il socio pubblico e la golden share", a relazione del Prof. Fiorenzo Liguori, ed ha conseguito, presso il Dipartimento di Scienze Politiche dello stesso Ateneo la laurea magistrale in Scienze della Pubblica Amministrazione, con una tesi sulle "competenze e poteri di ordinanza tra Stato, Regioni ed Enti Locali nell'emergenza sanitaria" a relazione del Prof. Alfredo Contieri. Pasquale ha conseguito anche un Master di II livello in "Compliance e Prevenzione della Corruzione nei settori Pubblico e Privato" presso l'Università LUMSA di Roma, con una tesi sulla rotazione del personale quale misura anticorruttiva. Pasquale è direttore del Dipartimento di diritto amministrativo di Ius in itinere ed è praticante avvocato. Durante il periodo degli studi, Pasquale è stato anche un cestista ed un atleta agonista: detiene il titolo regionale campano sui 400 metri piani della categoria “Promesse” dell'anno 2016, è stato vice campione regionale 2017 della categoria "assoluti" sulla stessa distanza, ed ha partecipato ad un Campionato Italiano nel 2016. Contatti: pasquale.laselva@iusinitinere.it

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