martedì, Marzo 19, 2024
Criminal & Compliance

Cass. Pen., Sez. VI, 11 ottobre 2022, n. 38336 sulla relazione affettiva nel delitto di maltrattamenti in famiglia

La massima

Ai fini della applicazione della norma incriminatrice dell’art. 572 c.p., di convivenza si può parlare solamente laddove risulti acclarata l’esistenza di una relazione affettiva qualificata dalla continuità e connotata da elementi oggettivi di stabilità (Cass. Pen., Sez. VI, 11.10.2022, n. 38336).

 

Il caso

La pronuncia origina dal ricorso per cassazione presentato dal difensore dell’imputato contro la sentenza della Corte d’Appello che aveva confermato quella resa ad esito di giudizio abbreviato con la quale lo stesso era stato condannato alla pena di giustizia per i reati di cui agli artt. 572 e 624-bis c.p.-
Il gravame si basava sulla violazione di legge, in relazione agli artt. 117, comma 7, Cost., e art. 572 c.p., e vizio di motivazione, per manifesta illogicità e apparenza.

 

La sentenza

Nell’esaminare il ricorso, la Corte di cassazione si sofferma sugli orientamenti giurisprudenziali in tema di maltrattamenti in famiglia, con particolare riferimento al requisito della convivenza.
Difatti un primo orientamento ritiene che il reato di maltrattamenti possa configurarsi in una situazione caratterizzata dalla accertata esistenza di relazione sentimentale nella quale si sia instaurato un vincolo di solidarietà personale tra i partner (ex multis Cass. Pen., Sez. VI, 03.11.20220, n. 37077).
Un secondo invece valorizza l’espresso riferimento, contenuto nell’art. 572 c.p. (nella sua versione modificata dall’art. 4 della L. 1 ottobre 2012, n. 172), alla figura del convivente, parificata a quella del familiare, come persona offesa di tale delitto: prendendo atto come con la formula “maltratta una persona della famiglia, o comunque convivente”, il legislatore abbia inteso far riferimento a condotte che vedono come persona offesa il componente di una famiglia intesa come comunità qualificata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale; ovvero il soggetto che ad esso componente sia parificabile in ragione di una accertata relazione di convivenza, che, lungi dall’essere riconoscibile nella presenza non continuativa di una persona nell’abitazione di un’altra, è solo quella che si crea quando la coabitazione della coppia sia caratterizzata da una duratura consuetudine di vita comune nello stesso luogo (ex multis Cass. Pen., Sez. II, 23.01.2019, n. 10222).

Il tal senso anche la Corte costituzionale ha avuto modo di esprimersi su tale questione evidenziando che: “Il divieto di analogia in malam partem impon(ga) di chiarire se il rapporto affettivo dipanatosi nell’arco di qualche mese e caratterizzato da permanenze non continuative di un partner nell’abitazione dell’altro possa già considerarsi, alla stregua dell’ordinario significato di questa espressione, come una ipotesi di ‘convivenzà…(e se)… davvero possa sostenersi che la sussistenza di una (tale) relazione consenta di qualificare quest’ultima come persona appartenente alla medesima “famiglia” dell’imputato (…). In difetto di una tale dimostrazione, l’applicazione dell’art. 572 c.p. in casi siffatti – in luogo dell’art. 612-bis, comma 2, c.p., che pure contempla espressamente l’ipotesi di condotte commesse a danno di persona “legata da relazione affettiva” all’agente – apparirebbe come il frutto di una interpretazione analogica a sfavore del reo della norma incriminatrice” (Cort. cost., 14.05.2021, n. 98).

La Suprema corte ha quindi affermato che: “In buona sostanza, alla luce di una esegesi rispettosa del principio costituzionale di legalità, ai fini della applicazione della norma incriminatrice dell’art. 572 c.p., di “convivenza” si può parlare solamente laddove risulti acclarata l’esistenza di una relazione affettiva qualificata dalla continuità e connotata da elementi oggettivi di stabilità: lungi dall’essere confuso con la mera coabitazione, il concetto di convivenza deve essere espressione di una relazione personale caratterizzata da una reale condivisione e comunanza materiale e spirituale di vita”.

In definitiva, quanto al reato di maltrattamenti in famiglia, i giudici di legittimità ritengono che non sia stato adeguatamente chiarito se, anche in relazione alla limitata estensione dell’arco temporale entro il quale si erano manifestate quelle azioni violente, le condotte illecite siano state poste in essere in maniera continuativa o con cadenza ravvicinata, tanto da integrare gli estremi di quella abitualità che caratterizza il reato.

Nel ritenere i rimanenti motivi di ricorso inammissibile, la Corte di cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al reato di maltrattamenti in famiglia con rinvio per nuovo giudizio su tale capo e per l’eventuale rideterminazione della pena, ad altra sezione della Corte d’Appello.

Francesco Martin

Dopo il diploma presso il liceo classico Cavanis di Venezia ha conseguito la laurea in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a Ciclo Unico), presso l’Università degli Studi di Verona nell’anno accademico 2016-2017, con una tesi dal titolo “Profili attuali del contrasto al fenomeno della corruzione e responsabilità degli enti” (Relatore Chia.mo Prof. Avv. Lorenzo Picotti), riguardante la tematica della corruzione e il caso del Mose di Venezia. Durante l’ultimo anno universitario ha effettuato uno stage di 180 ore presso l’Ufficio Antimafia della Prefettura UTG di Venezia (Dirigente affidatario Dott. N. Manno), partecipando altresì a svariate conferenze, seminari e incontri di studi in materia giuridica. Dal 30 ottobre 2017 ha svolto la pratica forense presso lo Studio dell’Avv. Antonio Franchini, del Foro di Venezia. Da gennaio a luglio 2020 ha ricoperto il ruolo di assistente volontario presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia (coordinatore Dott. F. Fiorentin) dove approfondisce le tematiche legate all'esecuzione della pena e alla vita dei detenuti e internati all'interno degli istituti penitenziari. Nella sessione 2019-2020 ha conseguito l’abilitazione alla professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia e dal 9 novembre 2020 è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Venezia. Da gennaio a settembre 2021 ha svolto la professione di avvocato presso lo Studio BM&A - sede di Treviso e da settembre 2021 è associate dell'area penale presso MDA Studio Legale e Tributario - sede di Venezia. Da gennaio 2022 è Cultore di materia di diritto penale 1 e 2 presso l'Università degli Studi di Udine (Prof. Avv. Enrico Amati). Nel luglio 2022 è risultato vincitore della borsa di ricerca senior (IUS/16 Diritto processuale penale), presso l'Università degli Studi di Udine, nell'ambito del progetto UNI4JUSTICE. Nel dicembre 2023 ha frequentato il corso "Sostenibilità e modelli 231. Il ruolo dell'organismo di vigilanza" - SDA Bocconi. È socio della Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici”, e socio A.I.G.A. - sede di Venezia.

Lascia un commento