Morire di lavoro – Quando il concorso di colpa del lavoratore?
A cura di Giusy Granata
“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” recita il primo articolo della nostra Costituzione.
Uno Stato che fonda la sua costituzione sul lavoro si presume sia uno Stato che assicuri il diritto di esercitarlo e lo tuteli erga omnes , ma non è sempre così. Il lavoro, anziché fattore di prosperità e realizzazione, spesso si rivela anche causa di sofferenze smisurate per i lavoratori e i propri familiari. Nella nostra società, il tema della sicurezza sul lavoro è di rilevante attualità ed è legato sfortunatamente alle cd. morti bianche, laddove l’aggettivo bianco allude all’assenza di una mano direttamente responsabile dell’accaduto.
Tale fenomeno continua silenziosamente il suo cammino e il dato preoccupante è quello che vede l’Italia ai primi posti per numero di morti bianche. Nel 2017 si sono registrate infatti ben 634 vittime sui luoghi di lavoro e, stando ai dati diffusi dall’Osservatorio di Bologna che da anni monitora questi tragici eventi, nel 2018 ci sono state ben 151 vittime ,numero nettamente superiore rispetto ai 113 dell’anno precedente. I settori produttivi maggiormente colpiti sono il comparto agricolo e quello edilizio con una percentuale che supera il 20% di tutti i morti sul lavoro. Molto spesso gli incidenti sul lavoro non possono essere imputati alla casualità o al destino, bensì alle inadempienze delle imprese pubbliche e private, alla banalizzazione dei rischi e soprattutto allo sfruttamento esasperato dei lavoratori. Tutte queste cause hanno un comune denominatore: il profitto e il mancato investimento sulla sicurezza. Nonostante siano state emanate disposizioni legislative al riguardo nelle quali vengono elencate e descritte tutte le misure di tutela e gli obblighi dei datori, la situazione ad oggi non sembra migliorare.
La legge fondamentale in materia è il “Testo Unico in materia di salute e sicurezza su lavoro” (quale risultato dei d.lgs. 81/2008 e d.lgs. 106/2009) varato a seguito della tragedia di Thyssenkrupp di Torino (una retrospettiva giuridica del caso è disponibile qui), che ha ad oggetto la prevenzione degli infortuni sul lavoro e individua gli obblighi dei diversi attori della sicurezza ma non si considera esaustiva dell’intera materia, sia perché è oggetto di continue modifiche e sia perché non è stata completamente attuata. E cosi in tanti luoghi dello Stivale, il lavoro è fonte di pericoli, disagi e ricatti, con prestazioni lavorative rese nella più completa assenza delle più basilari norme di sicurezze. Molto spesso, alcune di queste tragedie si consumano nel silenzio delle piccole imprese, dilaniate tra l’esigenza di far cassa e la pressione delle tempistiche richieste da un mercato lavorativo competitivo e disumanizzato.
Ma all’occhio vigile dei giudici di Piazza Cavour non sfugge la responsabilità del datore che risponderà anche qualora l’infortunio fosse dipeso dalla condotta colposa del lavoratore. Infatti la Suprema Corte di Cassazione, si è espressa in materia con la sentenza n.9167 del 16 aprile 2013 avente ad oggetto l’infortunio di un lavoratore che aveva riportato gravi lesioni agli occhi a causa di un getto di soda caustica dovuto ad una rottura di un tubo di gomma. Si precisa al riguardo: “Le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore; con l’ulteriore conseguenza che l’imprenditore è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell’abnormità , inopinabilità e esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento.” Nel caso in esame pertanto, non sarà possibile invocare il concorso di colpa, non solo per la situazione di subordinazione in cui versa il lavoratore ma soprattutto perchè il datore non ha ottemperato ai suoi doveri primari in materia di sicurezza, quali quello di vigilare sulla corretta esecuzione della prestazione di lavoro e assicurare il rispetto delle norme antinfortunistiche e delle misure di sicurezza da parte dei propri lavoratori.
Lo stesso principio è stato ribadito dagli Ermellini con la sentenza n.4789 del’11 marzo 2015, in base al quale si esclude il concorso di colpa quando la condotta del lavoratore, sebbene imprudente e negligente, non presenta i caratteri dell’abnormità e imprevedibilità. Quindi in base a quanto riportato, per limitare ed evitare gli infortuni sul lavoro è necessario promuovere e sensibilizzare a livello nazionale una cultura della sicurezza, intensificare le prescrizioni di legge ed inasprire le sanzioni in modo da assicurare la loro puntuale osservanza. E’ necessario puntare anche sulla formazione ovvero quel processo educativo attraverso il quale i lavoratori e gli altri attori del contesto lavorativo acquisiscono competenze per lo svolgimento dei rispettivi compiti e per l’identificazione dei possibili rischi. Sono queste le armi più adeguate ed efficaci per limitare gli infortuni, poiché è inaccettabile che in un nazione democratica ed industrializzata si continui a morire di lavoro.
Fonti:
1. d.lgs 81/2008
2. d.lgs 106/2009
3. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, sentenza n.9167,16 Aprile 2013
4. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, sentenza n.4789,11 Marzo 2015
Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro consultabile qui