martedì, Ottobre 8, 2024
Diritto e ImpresaLabourdì

Somministrazione di lavoro ed appalto di lavoro: quali differenze? – Parte II

A partire dalla  legge n.196 del 1997(cosiddetto Pacchetto Treu, formalmente “Norme in materia di promozione dell’occupazione“), e dal d.lgs n.276 del 2003(cosiddetta Riforma Biagi, rubricato “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30“), locuzioni quali “somministrazione di lavoro” ed “appalto di lavoro” sono entrate nel linguaggio comune sociale e giuridico: il fenomeno che le accomuna consiste nell’assegnazione del prestatore di lavoro subordinato ad un sito produttivo che non fa parte  dell’organizzazione d’impresa del datore di lavoro e/o nell’assoggettamento del lavoratore all’eterodirezione di un soggetto diverso dal titolare del rapporto di lavoro(in quest’ultimo caso si parla di “triangolazione“).

Il legislatore ha inteso disciplinare le fattispecie in esame sia nella prospettiva di un incremento della flessibilità in entrata ed in itinere del mercato del lavoro, sia nella consapevolezza dell’esigenza di rinsaldare le garanzie per i lavoratori e di configurare univocamente le ipotesi(alquanto frequenti)d’illiceità: tuttavia spesso accade che le ipotesi in oggetto siano confuse tra loro, rendendo necessaria una specificazione degli elementi di discrimine, nell’ottica principalmente della tutela dei dipendenti.

In quest’articolo si tratterà dell’appalto di lavoro come regolamentato dall’ordinamento legislativo italiano.  Per l’approfondimento in materia di rapporti di lavoro in regime di somministrazione, qui.

Appalto di lavoro

La fattispecie dell’appalto, ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, è rappresentata dal “contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”.

I mezzi di cui l’imprenditore si avvale per l’esecuzione del contratto di appalto sono normalmente costituiti da materia prima, strumentazione, personale: a seguito dell’introduzione, con l’articolo 1 della legge n.1369 del 1960[1], del divieto di fornitura di manodopera da parte di un apparente datore di lavoro in favore di un committente esercitante effettivamente i poteri connessi al rapporto di subordinazione[2], ci si chiese come distinguere l’ipotesi d’interposizione fittizia di manodopera(illecita)dall’impiego di prestatori di lavoro subordinato per la realizzazione di un’opera o di un servizio nella sfera di liceità dell’appalto.

La giurisprudenza risalente aveva configurato come appalto lecito quello caratterizzato dalla predisposizione, ad opera dell’appaltatore, accanto al personale, delle apparecchiature necessarie al compimento dell’opera commissionata[3]: con un’interpretazione, dunque, restrittiva e materialistica del termine “mezzi” utilizzato dal dettato codicistico; anche la regolamentazione dell’appalto lecito contenuta nella legge speciale n.1369 del 1960 appariva però vincolistica, in quanto l’articolo 3 prevedeva la responsabilità solidale dell’appaltante per i crediti retributivi e contributivi dei dipendenti dell’appaltatore impiegati per l’esecuzione del contratto(1° e 3°comma), e l’obbligo in capo ai contraenti di assicurare ai lavoratori un trattamento normativo(e retributivo)non inferiore a quello spettante ai dipendenti del committente(1°comma, consacrante il principio di parità di trattamento).

La ratio delle disposizioni sull’appalto consisteva nella disincentivazione di forme di segmentazione o decentramento produttivo giustificate esclusivamente dalla volontà di trarre profitto dal minor costo della manodopera: l’imposizione di vincoli, dunque, era finalizzata a rendere meno conveniente anche il ricorso all’appalto legittimo[4].

Lo sviluppo del settore terziario, o economia dei servizi, a partire dagli anni Ottanta del Novecento, ha convertito l’originaria diffidenza degli operatori del diritto avverso la fattispecie dell’appalto lecito, e più in generale del decentramento produttivo: diviene ricorrente il riferimento ad un modello fisiologico di decentramento e viene ratificato il ricorso ad operazioni di esternalizzazione di segmenti produttivi per convenienze prettamente industriali o finanziarie.

Espressione di questo mutato orientamento è contenuta nell’articolo 29 del d.lgs. n.276 del 2003, in particolare nel 1°comma: con questa disposizione il legislatore, accogliendo i suggerimenti di dottrina e giurisprudenza, si preoccupa di rimarcare la distinzione tra somministrazione di lavoro ed appalto di lavoro, il cui discrimine è rappresentato sì dall’organizzazione dei mezzi necessari per la realizzazione dell’opera o la prestazione del servizio come già enuncia l’articolo 1655 del codice civile, ma con la precisazione che il requisito organizzativo ricorre anche quando, in relazione alle concrete esigenze deducibili dal contratto, l’appaltatore eserciti il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto con assunzione del rischio d’impresa.

La previsione normativa risponde puntualmente all’evoluzione dell’economia dei servizi, in cui appare crescente la prestazione di servizi smaterializzati, ovvero caratterizzati da un impiego finanche nullo di strutture materiali e dalla prevalenza dell’apporto del fattore lavoro: in assenza di strumentazione, l’esercizio dei poteri specificamente datoriali da parte dell’appaltante costituisce il quid pluris che consente di ricondurre l’appalto nell’alveo della liceità, favorendo la pratica degli affari ma al contempo arginando il rischio di una violazione delle norme a presidio della somministrazione di lavoro; ne consegue che la semplice prestazione di lavoratori, diretti e coordinati dall’appaltante eludendo le norme di garanzia della somministrazione di lavoro, è sanzionata con il riconoscimento della qualità di datore di lavoro in capo all’appaltante.

Ulteriore conseguenza del rinnovato sillogismo giuridico è l’abrogazione della presunzione assoluta, vigente la legge n.1369 del 1960, d’illiceità dell’appalto qualora la proprietà dei mezzi di produzione fosse appartenuta al committente: attualmente le attrezzature necessarie per la realizzazione dell’opera possono essere legittimamente noleggiate dall’appaltatore, a condizione che risulti comunque quest’ultimo l’organizzatore dei fattori produttivi.

Dal dettato legislativo è scomparso anche l’obbligo di parità di trattamento dei dipendenti dell’appaltatore rispetto ai dipendenti dell’appaltante: anche in questo caso, il legislatore del 2003 ha voluto dare copertura normativa alla convenienza di stipulare un contratto di appalto per il minor costo del lavoro, perché ad esempio l’appaltatore applica un contratto collettivo meno oneroso.

Il 2°comma dell’articolo 29 prevede, come per il passato[5], la responsabilità solidale di committente ed appaltatore per i trattamenti retributivi e per i contributi previdenziali dovuti, entro il limite di 1 anno dalla cessazione dell’appalto: il d.l. n.25 del 2017, convertito con legge n.49 del 2017, è intervenuto sulla disposizione abrogando la possibilità riconosciuta ai contratti collettivi nazionali, sottoscritti dalle associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative, di individuare metodi e procedure di controllo e verifica della regolarità complessiva degli appalti; l’obbligo di citare in giudizio l’appaltante per il pagamento dei crediti di lavoro solo unitamente all’impresa appaltatrice; il beneficium escussionis in favore dell’appaltante[6], il quale poteva essere eccepito da costui nel primo atto difensivo.

 

 

[1]Abrogata dall’articolo 85 del d.lgs. n.276 del 2003

[2]GIULIANO R., http://www.iusinitinere.it/somministrazione-di-lavoro-ed-appalto-di-lavoro-quali-differenze-parte-i-10822

[3]Un esempio di scuola è dato dall’appalto di catering: mentre costituiva interposizione illecita di manodopera la mera fornitura di cuochi e camerieri, integrava la fattispecie dell’appalto lecito la messa a disposizione degli operatori unitamente alle stoviglie, al tovagliato ed al cibo, tutti fattori coordinati dall’impresa appaltatrice per l’espletamento del servizio di catering. L’exemplum è riportato da CARINCI F., DE LUCA TAMAJO R., TOSI P., TREU T., Diritto del lavoro. 2. Il rapporto di lavoro subordinato, Utet, Torino, 2013, p.145

[4]CARINCI F., DE LUCA TAMAJO R., TOSI P., TREU T., op. cit., p.146

[5]Articolo 3, commi 1° e 3°, della legge n.1369 del 1960

[6]Nel sistema previgente il creditore doveva in primo luogo aggredire il patrimonio dell’appaltatore, e solo in caso di infruttuosa escussione poteva intentare l’azione esecutiva nei confronti dell’appaltante.

Rossella Giuliano

Rossella Giuliano nasce a Napoli nel 1994. Dopo aver conseguito la maturità classica nel 2012, inaspettatamente, interessata alle implicazioni giuridiche della criminologia, decide d'iscriversi al corso di laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'Ateneo Federico II: durante il percorso accademico, si appassiona a tutto ciò che gravita attorno all'universo giuridico; volendo coniugare la sua passione per la cultura tedesca con la propensione per la tutela dei soggetti svantaggiati, sta attualmente redigendo una tesi sulle influenze del regime dell'orario di lavoro sulle politiche di tutela dell'occupazione nel diritto italiano e tedesco. Suoi ambiti d'interesse sono le lingue, letterature e culture straniere, i cani, la musica, la cinematografia.

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