lunedì, Marzo 18, 2024
Criminal & Compliance

Tempo dell’oblio versus tempo del processo: la nuova improcedibilità

Lo scorso 4 Ottobre veniva pubblicata in Gazzetta Ufficiale la L. 27 Settembre 2021, n. 134, recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”. Il testo normativo di riferimento rappresenta (almeno in parte) il punto di arrivo della tanto agognata riforma del processo penale, oggetto in primis del disegno di legge AC 2435, sorto in seno al Governo Bonafede e transitato in seguito, con il mutamento dell’Esecutivo, tra le corpose modifiche della Commissione Lattanzi, sino a giungere all’approvazione parlamentare.

La Legge n. 134/2021, pur rinviando, per buona parte degli istituti modificati, ai decreti legislativi di attuazione, contiene numerose disposizioni immediatamente precettive, tra le quali spiccano le modifiche intervenute in materia di prescrizione del reato.

L’art. 2 della legge in commento, infatti, ha modificato gli artt. 159 e 160 c.p. in materia di prescrizione ed ha inserito un nuovo art. 161 bis c.p.; ma, ancora, ha introdotto l’istituto, quanto mai inedito nel nostro ordinamento, dell’improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione (nuovo art. 344 bis c.p.p.).

Severe critiche sono state mosse al citato regime dell’improcedibilità sin da prima della sua entrata in vigore: si pensi ai documenti del 27/07/2021 e del 31/08/2021, a firma di autorevoli esponenti della dottrina[1], nei quali si censurava il nuovo istituto della “prescrizione processuale[2]”, auspicando un revirement del Parlamento a favore del modello della prescrizione sostanziale.

Per riassumere concetti che verranno analizzati nel prosieguo, la nuova disciplina permette di individuare due segmenti temporali: un primo segmento, relativo alla prescrizione del reato, il quale, sulla falsariga della “riforma Bonafede”, inizia a decorrere con la consumazione del reato e cessa definitivamente con la sentenza del Giudice di prime cure (“Tempo dell’oblio”) ed un secondo segmento, che attiene alla durata del giudizio di impugnazione, in ordine al quale si prevedono taluni termini processuali, il cui superamento determina l’improcedibilità dell’azione penale (“Tempo del processo”).

Nel presente contributo, senza alcuna pretesa di esaustività, si tenta di offrire all’interprete una ricostruzione degli istituti della prescrizione e dell’improcedibilità, per come modificati e/o introdotti dalla Legge di riforma, affrontandone, altresì, i relativi problemi interpretativi.

1. Un’esegesi normativa: le modifiche all’istituto della prescrizione.

L’art. 2, comma 1, Legge n. 134/2021, ha determinato alcune modificazioni alle norme relative alla prescrizione del reato.

In primo luogo, si assiste all’abrogazione dei commi secondo e quarto dell’art. 159 c.p. ed alla contestuale introduzione dell’art. 161 bis c.p.

L’abrogazione del secondo comma (il quale, come noto, riportava la regola del “blocco” della prescrizione dopo la sentenza di primo grado) deve essere raccordata alla neointrodotta disciplina di cui all’art. 161 bis c.p., rubricato, con una più condivisibile impostazione dogmatica, “Cessazione del corso della prescrizione”. Non paiono esservi particolari stravolgimenti tra la disciplina della prescrizione sostanziale (per come modificata dalla riforma) in rapporto al “blocco” della prescrizione introdotto dal precedente Esecutivo; si può intravedere una maggiore “onestà” della nuova norma, sia da un punto di vista letterale che sistematico, poiché la disposizione non considera più l’interruzione del dies a quo come una causa di sospensione della prescrizione; diversamente, l’art. 161 bis c.p. afferma come il corso della prescrizione cessi definitivamente con la pronuncia di primo grado.

La prescrizione “sostanziale”, dunque, viene modellata in rapporto al nuovo istituto dell’improcedibilità, che costituisce, come detto, la vera novità della riforma: il tempo dell’oblio può decorrere sino alla pronuncia della sentenza di primo grado. Di talchè, una volta giunti a tale snodo processuale, la prescrizione non potrà più maturare (salva l’eccezione di cui si dirà in seguito). Semmai, nei giudizi di impugnazione, potrà farsi ricorso, nei limiti ed alle modalità descritte dall’art. 344 bis c.p.p., alla neointrodotta improcedibilità dell’azione penale.

Si tratta, all’ovvietà, di una disciplina che in qualche misura cerca di porre rimedio alle distorsioni che si sarebbero create con la riforma Bonafede, la quale avrebbe determinato il rischio di processi irragionevolmente lunghi, in contrasto con i principi costituzionali e convenzionali. Tuttavia, anche con la riforma Cartabia pare definitivamente abbandonata la possibilità di una maturazione del “tempo dell’oblio” in una fase del giudizio successiva a quella di primo grado.

Va segnalato, peraltro, come l’art. 161 bis c.p., nel dettare la regola della cessazione del corso della prescrizione, preveda un’eccezione: nel caso in cui vi sia annullamento della sentenza che comporti la regressione del procedimento al primo grado (o ad una fase anteriore), la prescrizione riprende a decorrere a partire dalla data della pronuncia definitiva di annullamento. Occorre segnalare, sul punto, come la ripresa del dies a quo per effetto della regressione non determina, come già autorevolmente sostenuto, “un azzeramento del timer della prescrizione[3]”, bensì stabilisce la ripartenza del tempo necessario a prescrivere il reato, a decorrere dal momento in cui lo stesso si era fermato con la pronuncia della sentenza di primo grado.

La riforma ha previsto, inoltre, l’abrogazione del comma quarto dell’art. 159 c.p., che limitava la durata della sospensione del corso della prescrizione prevista dall’art. 420 quater c.p.p. (il caso dell’assenza dell’imputato).

Tale abrogazione, tuttavia, mal si concilia con la disciplina riformatrice, che prevede lo strumento della delega (art. 1, comma 7, lett. e) L. 134/2021) in tema di procedimento in absentia: in particolare, il legislatore delegato dovrà prevedere, qualora non sia possibile procedere in assenza dell’imputato, l’obbligo per il giudice di pronunciare sentenza di non doversi procedere; tale pronuncia non determinerebbe la conclusione definitiva del procedimento, atteso come, nei limiti della scadenza del doppio dei termini di prescrizione del reato, si possano continuare le ricerche dell’imputato. Nel caso in cui l’imputato, in tale lasso di tempo, venisse rintracciato, non si terrebbe conto della decorrenza del tempo intercorso, salvo in ogni caso il richiamato limite del doppio dei termini di prescrizione.

I criteri direttivi illustrati non risultano in sincronia con l’abrogazione del comma 4, art. 159 c.p., disposizione immediatamente precettiva: ciò potrebbe determinare il rischio di una sospensione indeterminata della prescrizione nel caso di procedimento in absentia, come sottolineato nella Relazione dell’Ufficio del Massimario.

Va ricordato, infine, come il legislatore abbia nuovamente inserito il decreto penale di condanna fra gli atti interruttivi del corso della prescrizione, ex art. 160 c.p.

Prima di passare all’analisi della nuova improcedibilità, occorre riassumere brevemente alcune questioni di diritto intertemporale, che verranno sviscerate anche con riferimento all’art. 344 bis c.p.p.

L’art. 2, comma 3 della Riforma, nell’applicare la disposizione ex art. 344 bis c.p.p. ai procedimenti di impugnazione riferiti a reati commessi a partire dal 1 Gennaio 2020, nulla ha stabilito, in tal senso, sulla portata temporale dell’art. 161 bis c.p. Sicchè, si è posta la questione circa il momento di entrata in vigore della nuova disciplina della prescrizione sostanziale.

Autorevoli studiosi del diritto penale hanno coerentemente affermato come, in assenza di discipline transitorie, e data la natura sostanziale dell’istituto della prescrizione, occorre applicare l’art. 2 c.p.; perciò, le modifiche intervenute avranno effetto retroattivo soltanto in quanto più favorevoli, come nel caso del ripristino del decreto penale di condanna quale atto interruttivo ex art. 160 c.p[4].

Sulla portata dell’art. 161 bis c.p., la dottrina aveva già evidenziato come la nuova disciplina non avesse carattere sostanzialmente innovativo[5]; tale linea di pensiero è stata recepita anche dalla citata Relazione dell’Ufficio del Massimario, ove si sostiene come, data l’identità strutturale della cessazione della prescrizione con la vecchia “sospensione Bonafede”, l’art. 161 bis c.p. debba trovare applicazione in relazione ai reati commessi dal 1° Gennaio 2020[6].

2. Il nuovo art. 344 bis c.p.p.: l’improcedibilità nei giudizi di impugnazione.

Con l’introduzione dell’art. 344 bis c.p.p., il legislatore ha dato definitivo compimento a quella scissione temporale nei due segmenti di cui si è brevemente detto al principio dello scritto.

Se l’istituto della prescrizione rimane confinato al primo grado di giudizio, al fine di prevenire il rischio, paventato sin dall’introduzione della riforma Bonafede, di processi pendenti sine die, è stato idealmente definito un secondo segmento temporale legato al tempo dei giudizi di impugnazione: il cd. tempo del processo, legato alla nuova causa di improcedibilità

Sulla base degli indici rinvenibili all’interno della Legge Pinto, finalizzati ad assicurare la garanzia costituzionale della ragionevole durata del processo, l’art. 344 bis c.p.p. detta i limiti temporali entro i quali il giudizio di impugnazione deve necessariamente concludersi; in caso di superamento dei termini anzidetti, l’azione penale dovrà considerarsi improcedibile.

2.1 La disciplina normativa.

L’art. 2, comma 2 della Legge di riforma introduce nel codice di rito l’art. 344 bis c.p.p., rubricato “Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione”. I primi due commi della disposizione in esame stabiliscono come la mancata definizione del giudizio di appello e del giudizio di cassazione nei termini, rispettivamente, di due anni e di un anno, costituisca causa di improcedibilità dell’azione penale.

Il tempo di due anni per la definizione del processo d’appello e di un anno per il giudizio innanzi alla Suprema Corte sono simmetricamente costruiti sui termini previsti dalla L. n. 89/2001 (cd. Legge Pinto). Tali limiti temporali, unitamente alla prescrizione sostanziale decorrente nel primo grado del giudizio, assicurerebbero la ragionevole durata del processo per l’imputato.

Il comma 3 dell’articolo 344 bis c.p.p. prevede come i termini anzidetti decorrano a partire dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall’art. 544 c.p.p., ossia il termine previsto dalla legge o stabilito dal Magistrato per il deposito della motivazione.

A parere di chi scrive, il dies a quo dell’improcedibilità appare eccessivamente dilatato nel tempo. La ratio sottesa a tale distacco temporale tra il pronunciamento della sentenza e il decorso dei termini di cui ai primi due commi dell’art. 344 bis c.p.p. andrebbe ricercata nell’esigenza di “coprire” sia il termine per l’eventuale impugnazione, sia i tempi necessari alla cancelleria per la trasmissione degli atti alla Corte territoriale.

Si pensi, però, al seguente caso pratico: il Giudice, a fronte di una motivazione particolarmente complessa, si dà un termine di 90 giorni per il deposito della sentenza. Una volta decorsi, l’art. 344 bis c.p.p. richiede ulteriori 90 giorni prima di far decorrere i termini di 2 anni per il giudizio di appello. Perciò, per far scattare la decorrenza del “tempo del processo”, vi saranno casi in cui dovranno prima trascorrere ben 6 mesi, con ciò allungandosi notevolmente i tempi di definizione del processo.

Controversa è anche la portata del comma 4, il quale concede al Giudice dell’impugnazione la possibilità di prorogare i termini di cui ai commi 1 e 2, con ordinanza motivata ricorribile per Cassazione: proroghe equivalenti a un tempo non superiore ad un anno per il grado d’Appello e non superiore a 6 mesi per la Cassazione. La medesima disposizione, per alcune categorie di reati, permette ulteriori proroghe successive alla prima.

L’istituto è ben ricostruito nella già citata Relazione dell’Ufficio del Massimario, nella quale si evidenzia un triplice regime delle proroghe: la previsione generale, sopra ricordata, è applicabile a tutti i reati; ulteriori proroghe, della medesima durata, senza un limite temporale massimo, sono applicabili per taluni gravi delitti tassativamente indicati dall’art. 344 bis, comma 4, c.p.p. (associazione mafiosa, violenza sessuale aggravata, e via discorrendo); infine, per i delitti aggravati dall’art. 416 bis.1, le proroghe non possono superare, complessivamente, 3 anni in appello e 1 anno e 6 mesi in Cassazione.

La possibilità di ricorrere alle proroghe è subordinata alla particolare complessità del giudizio di impugnazione, “in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare”. Tali presupposti appaiono connotati da manifesta indeterminatezza e sono suscettibili di concedere al Giudice un’ampia discrezionalità circa la possibilità di avvalersi delle proroghe. “(…) Pare fondato il timore (…) che la proroga dei termini risulterà soggetta a giudizi dall’esito tutt’altro che preventivabile[7]”, con distorsioni applicative notevoli che incideranno notevolmente sul “tempo del processo”, con evidente frustrazione dei noti principi costituzionali.

Occorre, infine, ricordare come la disciplina dell’improcedibilità, ai sensi dell’art. 344 bis c.p.p., comma 9, non si applichi ai delitti puniti con l’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di eventuali aggravanti.

2. 2 Il regime transitorio e la natura dell’istituto.

L’art. 2, comma 3, Legge 134/2021, stabilisce come le disposizioni relative all’improcedibilità si applichino ai soli procedimenti di impugnazione che abbiano ad oggetto reati commessi a far data dal 1 Gennaio 2020, saldandosi idealmente e temporalmente con il “blocco” della prescrizione della Riforma Bonafede.

Prima di addentrarsi nelle questioni interpretative sottese al regime transitorio, occorre comprendere quale sia la natura giuridica dell’istituto in commento.

Secondo i primi commenti degli esponenti della dottrina, si tratterebbe di un istituto di natura processuale. In particolare v’è chi ha affermato come, trattandosi di istituto di natura processuale, “(…) in base al principio tempus regit actum dovrebbe applicarsi anche ai procedimenti per fatti commessi prima del 1° Gennaio 2020. (…) A ben vedere, infatti, in assenza di una norma transitoria il nuovo art. 344 bis c.p.p. si applicherebbe a tutti i processi di Appello e di Cassazione a partire dall’entrata in vigore della legge, indipendentemente dalla data in cui è stato commesso il reato.[8]”; altro autorevole Maestro non manca di notare come, pur essendo stata realizzata una notevole processualizzazione della prescrizione, “(…) siamo dell’idea che non vi sia alcuna differenza tra l’estinzione del reato e l’estinzione del processo mediante improcedibilità e che pertanto operi il principio di irretroattività per entrambe le discipline (…)[9]”.

Propende per la natura processuale dell’istituto anche la Relazione dell’Ufficio del Massimario, la quale richiama taluni indici di carattere letterale e logico-sistematico, quali la collocazione topografica della norma tra le cause di procedibilità e la sua riferibilità non già all’estinzione del reato, bensì alla possibilità di proseguire l’azione penale.

Considerando l’improcedibilità come un istituto di natura processuale, dunque, la limitata operatività della previsione normativa nei confronti di fatti di reato commessi a partire dal 1° Gennaio 2020 (e non per tutti i procedimenti pendenti nel giudizio di impugnazione) consentirebbe di trovare un ragionevole punto di equilibrio tra lo sforzo organizzativo richiesto alle Corti d’Appello per adeguarsi al nuovo regime, e la Riforma Bonafede, la quale rendeva i reati “imprescrittibili” anche nel giudizio di impugnazione.

L’art. 2, commi 4 e 5 della Legge in commento estrinseca la durata del tempo del processo durante il regime transitorio. Al comma quarto si prevede che, per i procedimenti che abbiano ad oggetto reati commessi a far data dal 1° Gennaio 2020, nel caso in cui i relativi atti, alla data di entrata in vigore della Legge (rectius: 19 Ottobre 2021), siano già pervenuti al giudice dell’impugnazione, i termini ex art. 344 bis c.p.p. decorrono dalla data di entrata in vigore della Legge (invece che dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine per il deposito della sentenza di primo grado).

L’art. 2, comma 5, invero, prevede (ed è questo lo snodo principale del regime transitorio) come nei procedimenti di cui all’art. 3, qualora l’impugnazione sia proposta entro il 31 Dicembre 2024, i termini ex art. 344 bis c.p.p. risultino pari a 3 anni per il giudizio d’Appello e pari a 1 anno e 6 mesi per il Giudizio di Cassazione. L’assetto normativo dianzi richiamato risponde all’esigenza di permettere, in particolare alle Corti territoriali, un adeguamento organizzativo e funzionale rispetto alla piena entrata in vigore dell’istituto di cui si discute.

Anche in questo caso, non si può fare a meno di notare come il regime transitorio preveda dei termini eccessivamente lunghi, eventualmente prorogabili e con un decorso temporale della causa di improcedibilità piuttosto dilatato rispetto alla pronuncia di primo grado.

Una questione sollevata in relazione al regime transitorio attiene all’applicabilità o meno dei termini più lunghi (ex art. 2, comma 5 della Legge riformatrice) anche ai procedimenti già pervenuti al giudice dell’impugnazione alla data di entrata in vigore della Legge (sempre che, è opportuno ricordarlo, riguardino reati commessi a partire dal 1° Gennaio 2020, secondo quanto stabilito dal precedente comma 3).

Aderendo al dato letterale della normativa dianzi esaminata, sembrerebbe preferibile optare per una soluzione positiva della questione, atteso, da un lato, come il comma quarto si limiti a differire il dies a quo della causa di improcedibilità dell’azione penale, in via d’eccezione, al momento di entrata in vigore della legge;  dall’altro lato, il comma quinto lega la riferibilità dei termini prolungati “ai procedimenti di cui al comma 3” senza distinguere tra procedimenti in cui gli atti siano già pervenuti al giudice dell’impugnazione e procedimenti nei quali l’impugnazione deve essere ancora proposta.

Peraltro, vi è la previsione soltanto di un termine finale nel comma 5 (quello del 31 dicembre 2024), senza alcuna precisazione di un termine iniziale. Nondimeno, anche un argomento logico deporrebbe a favore della tesi richiamata: la previsione di un termine più lungo si legherebbe ad un fattore organizzativo, in particolare per le Corti d’Appello, con una dilazione dei termini “ordinari” di cui ai primi due commi dell’art. 344 bis c.p.p. a data successiva al 31 Dicembre 2024. Così facendo, si va ad individuare un periodo temporale di 3 anni per permettere l’adeguamento degli uffici giudiziari ai tempi scanditi dalla nuova improcedibilità.

Se questa è la ratio sottesa alla modifica normativa, non avrebbe senso applicare, in ordine ai procedimenti già pendenti in Appello o in Cassazione, i più brevi termini previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 344 bis c.p.p.

L’interpretazione in commento, ad ogni modo, è stata avallata dalla ridetta Relazione dell’Ufficio del Massimario.

2.3 L’art. 344 bis c.p.p. e la responsabilità degli enti ex D.Lgs. 231/2001.

Resta da affrontare il tema riguardante la possibile estensione dell’art. 344 bis c.p.p. anche ai procedimenti penali nei confronti delle persone giuridiche.

Il nodo interpretativo della questione si rinviene nell’incontro/scontro tra l’art. 8, D.Lgs. 231/2001, in tema di autonomia della responsabilità dell’ente, e l’art. 34 del Decreto, il quale, come noto, rinvia alle disposizioni del codice di procedura penale, in quanto compatibili.

Già in tempi non sospetti il Prof. Spangher, in una bellissima intervista, aveva evidenziato come nel caso di improcedibilità dell’azione penale “Cade, cade tutto[10]”, condividendo, perciò, la tesi dell’estensione della causa di improcedibilità anche al processo nei confronti dell’ente.

Tale soluzione appare condivisa anche dalla Relazione: essendo istituto di natura processuale, l’improcedibilità “(…) sarebbe immediatamente applicabile anche al processo a carico degli enti, stante il richiamo previsto dall’art. 34, D.Lgs. 231/2001[11]”.

Ciò a cagione dell’esplicito rinvio contenuto nell’art. 34 del Decreto e nell’esigenza di non determinare un processo avente durata indefinita a carico dell’ente.

La soluzione dianzi citata andrebbe a collocare l’improcedibilità, ex 344 bis c.p.p., tra le ulteriori, vistose limitazioni dell’autonomia della responsabilità dell’ente, di cui all’art. 8 del Decreto, unitamente a quelle già previste dagli artt. 4, 37 e 60, D.Lgs. 231/2001; la caratteristica della cd. “insensibilità” del processo agli enti rispetto alle vicende della persona fisica verrebbe meno anche nel caso del superamento dei termini di cui all’art. 344 bis c.p.p.

3. Considerazioni conclusive: un passo indietro rispetto alla Commissione Lattanzi?

La nuova improcedibilità, in stretta connessione con le modifiche normative alla prescrizione del reato, rappresenta certamente un istituto  rivoluzionario nell’ordinamento penale italiano.

Si può notare come la riforma abbia determinato il tramonto della prescrizione sostanziale nei giudizi di impugnazione, a favore di una “prescrizione processuale” incentrata sul canone della ragionevole durata del processo.

Tuttavia, se si osserva quanto era stato proposto nella Relazione Lattanzi, non si può nascondere un certo rammarico. La Relazione, infatti, proponeva due soluzioni sul tema in discorso, più una terza via “alternativa”: una soluzione incentrata sulla prescrizione sostanziale (sulla falsariga del meccanismo previsto dalla Riforma Orlando); un’altra più simile a quella adottata dalla riforma, che prevedeva dei termini di fase a seguito dell’esercizio dell’azione penale; ed infine, una terza soluzione che cumulava i due rimedi anzidetti (forse, seppur complessa, la soluzione che più avrebbe garantito quel richiamato bilanciamento fra tempo del processo e tempo dell’oblio).

Il passaggio alle Camere della riforma ha invece stravolto i piani della Commissione, determinando la nascita di un istituto controverso. Numerose saranno le questioni derivanti dall’introduzione dell’art. 344 bis c.p.p.: dall’eccessiva lunghezza dei termini ivi previsti (si pensi al regime transitorio, alle proroghe ed alla regola dell’inizio della decorrenza dei termini ad un tempo di molto successivo al deposito della motivazione di primo grado), al regime delle proroghe ed ai problemi connessi alla natura processuale dell’istituto.

In una riforma di ampio respiro come quella proposta dal Governo Cartabia, per ciò che riguarda il tema della prescrizione (vista, invece, la bontà di numerose delle modifiche proposte dalla riforma in commento), si è forse persa l’occasione di dare un colpo di spugna alle derive populiste emergenti dalla riforma Bonafede, in quanto il regime della prescrizione odierno, ex art. 161 bis c.p, ricalca in buona misura quella introdotta dalla Legge Spazzacorrotti, seppur con il correttivo dell’improcedibilità, che si spera possa garantire una (tendenziale?) ragionevole durata del processo.

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[1] Il Documento veniva redatto dai Professori Marcello Daniele, Paolo Ferrua, Renzo Orlandi, Adolfo Scafati e Giorgio Spangher.

[2] Cfr. il Documento citato in nota 1.

[3] Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario e del Ruolo – Servizio Penale, Relazione su novità normativa, La legge 27 settembre 2021, n. 134. Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, Roma, 3 Novembre 2021.

[4] G.L. Gatta, Riforma della Giustizia Penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della ‘Legge Cartabia’, in Sistema Penale, 15 Ottobre 2021.

[5] G.L. Gatta, op. cit.

[6] Cfr. Relazione dell’Ufficio del Massimario, cit.

[7] Cfr. Relazione dell’Ufficio del Massimario, cit.

[8] G.L. Gatta, op. cit.

[9] R. Bartoli, Verso la riforma Cartabia: senza rivoluzioni, con qualche compromesso, ma con visione e respiro, comparso sul n. 9/2021 della rivista Diritto Penale e Processo.

[10] L. N. Meazza, R. Lugli, L’improcedibilità secondo Giorgio Spangher, disponibile su Giurisprudenza Penale, 1/10/2021.

[11] Cfr. la Relazione, cit.

Dario Quaranta

https://avvocatodarioquaranta.it/ Avvocato penalista, nato nel 1993. Ha conseguito il Master universitario di secondo livello in Diritto Penale dell'Impresa, presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, con la votazione di 30/30 e lode, ottenendo altresì il premio indetto dall'Associazione AODV231 destinato ad uno studente del Master distintosi per merito, ex aequo con altro partecipante. E' membro dell'Osservatorio Giovani e Open Day dell'Unione delle Camere Penali Italiane ed è responsabile della Commissione Giovani della Camera Penale di Novara. Frequenta dal 2021 il Corso biennale di tecnica e deontologia dell’avvocato penalista, attivato dalla Camera Penale di Torino. Si laurea in Giurisprudenza all'Università del Piemonte Orientale con la votazione di 110/110, discutendo una tesi in diritto penale intitolata: "La tormentata vicenda del dolo eventuale: il caso Thyssenkrupp ed altri casi pratici applicativi". Durante gli studi universitari ha effettuato un tirocinio di 6 mesi presso la Procura della Repubblica di Novara, partecipando attivamente alle investigazioni ed alle udienze penali a fianco del Pubblico Ministero. Da Maggio 2018 è Praticante Avvocato presso lo Studio Legale Inghilleri e si occupa esclusivamente di diritto penale. Da Dicembre 2018 è abilitato al patrocinio sostitutivo. Ad Ottobre del 2020 consegue l'abilitazione all'esercizio della professione di Avvocato presso la Corte d'Appello di Torino, riportando voti elevati nelle prove scritte (40-35-35) ed agli orali. Nel corso della sua attività professionale ha affrontato molte pratiche di rilievo, inerenti in particolar modo i delitti contro la Pubblica Amministrazione,  i delitti contro la persona, contro la famiglia e contro il patrimonio, nonchè in tema di reati tributari, reati colposi, reati fallimentari e delitti relativi al DPR n.309/1990. Si è occupato inoltre di importanti procedimenti penali per calunnia e diffamazione. Ha sostenuto numerose e rilevanti udienze penali in completa autonomia. E' collaboratore dell'area di Diritto Penale di Ius In Itinere e di All-In Giuridica, ed ha pubblicato un contributo sulla rivista Giurisprudenza Penale . E'altresì autore della sua personale rubrica di approfondimento scientifico, denominata "Articolo 40", disponibile sul sito della Camera Penale di Novara. Vanta 46 pubblicazioni sulle menzionate riviste e banche dati, tra contributi autorali e note a sentenza. Indirizzo mail: dario.quaranta40@gmail.com

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